Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20925 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. I, 30/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 30/09/2020), n.20925

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5834/2019 proposto da:

I.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Trionfale, 5637,

presso lo studio dell’avvocato Gabriele Ferabecoli, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositata il 13/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2020 dal Cons. Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto depositato in data 11 gennaio 2019, il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso proposto da I.F., originario di (OMISSIS) ((OMISSIS)) avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, il Tribunale ha osservato: a) che il racconto del richiedente non appariva credibile, alla luce dei criteri indicati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5; b) che, infatti, anche a prescindere dalla valutazione dell’autenticità della documentazione prodotta solo in copia, alle denunce presentate alla polizia (First information report: FIR) non aveva fatto seguito alcuna attività di indagine (nulla emergendo dalla documentazione prodotta nè dalle dichiarazioni del ricorrente), in contrasto con quanto si desume dalle fonti ufficiali più aggiornate sul tema dalle quali emerge che, a seguito della registrazione del FIR, la polizia ha l’obbligo di avviare l’investigazione; b) che, escluso che la sparatoria della quale il richiedente aveva dichiarato di essere stato vittima, potesse essere considerata di natura bagatellare, l’assenza di riscontri doveva essere spiegata col fatto che le forze dell’ordine non avessero rinvenuto elementi utili a proseguire le indagini; c) che ulteriore elemento di inattendibilità era rappresentato dal fatto che i famigliari del richiedente non avessero subito minacce o ritorsioni, pur essendo il terreno ceduto ad una comunità di (OMISSIS) per la costruzione di una chiesa di proprietà di tutta la famiglia; d) che la domanda di protezione era stata presentata solo in 26 maggio 2016, sebbene il richiedente fosse giunto in Italia nel 2014; e) che tale circostanza era indicativa di una scarsa spontaneità della richiesta di tutela; f) che la mancanza di credibilità del ricorrente esime il giudice dall’onere di cooperazione istruttoria; g) che non poteva essere considerato fondato il timore di subire, in caso di rientro in patria, atti di persecuzione per motivi religiosi, in quanto la ragione scatenante della presunta persecuzione era venuta meno nel momento in cui i lavori per la costruzione della chiesa erano stati definitivamente interrotti; h) che comunque gli eventi risalivano al 2013, talchè doveva ritenersi che l’eventuale pericolo non conservasse attualità; i) che non apparivano sussistenti i presupposti della protezione sussidiaria; l) che, quanto alla protezione umanitaria, la produzione di attestati di frequenza a corsi di lingua italiana e di formazione come addetto alla cucina, come pure l’assunzione in un ristorante milanese in qualità di tirocinante cameriere a tempo parziale misto determinato, non consentiva di far emergere uno stabile inserimento nella realtà socio – lavorativa; m) che siffatto inserimento doveva essere apprezzato non solo alla luce della frequentazione di corsi di formazione professionale o di tirocinio – peraltro, allo stato, insufficienti a garantire al richiedente un reddito idoneo a realizzare in modo dignitoso la sua esistenza – ma anche alla luce “della disponibilità di un’autonoma sistemazione alloggiativa, dell’apprendimento della lingua e dei valori su cui si fonda la nostra società, il che porta a ritenere non sussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”; n) che i predetti elementi non consentono di presumere che se il ricorrente fosse costretto a tornare in Pakistan, egli vedrebbe compromesso in modo apprezzabile il suo diritto ad un’esistenza libera e dignitosa “che, in ogni caso, non risulta aver raggiunto in Italia”.

3. Avverso tale decreto nell’interesse di I.F. è stato proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. Il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva. E’ stata depositata memoria nell’interesse del ricorrente.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 3,5 e 7.

Si osserva: a) che il decreto presenta una motivazione meramente apparente riguardo alla valutazione di non credibilità del ricorrente, poichè il Tribunale non ha assolto al dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti, anche per quanto riguarda la verifica della situazione esistente nello Stato di provenienza; b) che, in ogni caso, il Tribunale non aveva compiutamente approfondito i criteri delineati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5; c) che il richiedente aveva prodotto una mole di documenti comprovanti la donazione del terreno sul quale sarebbe stata realizzata la chiesa, le denunce presentate all’autorità di polizia, le fatture attestanti il pagamento dei materiali da utilizzare per la costruzione della chiesa; d) che l’ I., giunto in Italia nel febbraio 2014, si era quasi immediatamente diretto in Germania, dove avrebbe voluto chiedere asilo politico; e) che, tuttavia, a causa del fotosegnalamento avvenuto in Italia, era stato qui rimandato alla fine del 2015.

La doglianza è inammissibile.

Il decreto ritiene inattendibile il racconto del richiedente e poi aggiunge che “in ogni caso”, sia perchè i lavori di costruzione della chiesa sono cessati, sia perchè sono passati sette anni, il pericolo di persecuzione non è attuale.

Il ricorso si disinteressa di questi due ultimi profili, che pure assumono il rilievo di autonoma ratio decidendi.

Al riguardo, va ribadito che, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fondi su distinte ed autonome rationes decidendi, ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perchè possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate. Ne consegue che, rigettato (o dichiarato inammissibile) il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, sono inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che anche se questi ultimi dovessero risultare fondati, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (v., ad es., Cass. 24 maggio 2006, n. 12372).

2. Con il secondo motivo, prospettato in subordine rispetto al mancato accoglimento del primo, si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6, sottolineando che l’ I., nel frattempo, è stato regolarmente assunto, con contratto a tempo pieno, e lavora presso il medesimo ristorante dove aveva svolto il tirocinio.

La doglianza è inammissibile per l’assorbente ragione che non investe il profilo, evidenziato in motivazione, dell’assenza di una situazione di vulnerabilità connesso al rientro del ricorrente in (OMISSIS).

D’altra parte, a fronte delle conclusioni della valutazione comparativa operata dai giudici di merito (Cass., Sez. Un., 13 novembre 2019, n. 29459), il ricorrente si limita ad invocare un diverso apprezzamento delle risultanze istruttorie, precluso in questa sede.

3. In conseguenza, il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla per le spese, dal momento che il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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