Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20924 del 12/09/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 20924 Anno 2013
Presidente: IANNIELLO ANTONIO
Relatore: TRIA LUCIA

ORDINANZA
sul ricorso 16370-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO
RICCI, CLEMENTINA PULLI, GIUSEPPINA GIANNICO,
EMANUELA CAPANNOLO, giusta procura speciale in calce al
ricorso;

– ricorrente contro
VENUTO FRANCESCO;

– intimato –

Data pubblicazione: 12/09/2013

avverso la sentenza n. 1058/2010 della CORTE D’APPELLO di
MESSINA del 17.6.2010, depositata il 06/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
05/07/2013 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA TRIA;
udito per il ricorrente l’Avvocato Clementina Pulli che si riporta agli

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. GIULIO
ROMANO che si riporta alla relazione scritta.

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scritti.

Sesta sezione — Sotto Sezione Lavoro
Udienza del 5 luglio 2013 – n. 55 del ruolo
RG n. 16370/11
Presidente: Ianniello – Relatore: Tria

ORDINANZA
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che la causa è stata chiamata alla adunanza in Camera di

della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
“1.— La sentenza attualmente impugnata, confermando la decisione del
Tribunale di Messina n. 643 del 17 febbraio 2005, dichiara il diritto di
Francesco Venuto, alla trasformazione della pensione di invalidità (di
cui godeva in base alla normativa precedente a quella della legge 12
giugno 1984, n. 222) in pensione di vecchiaia a far tempo dalla
presentazione della domanda amministrativa, avanzata in data 18
marzo 1999, in applicazione dell’art. 1, comma 10, della legge n. 222
del 1984, con conseguente condanna dell’INPS alla liquidazione e al
pagamento delle differenze sui ratei, maggiorati di interessi legali.
2.— La Corte d’appello di Messina, per quel che qui interessa, precisa
che: 1) la controversia si incentra sulla corretta interpretazione del
comma 10 dell’art. 1 della legge n. 222 del 1984, dovendosi in
particolare verificare se tale disposizione, dettata per l’assegno di
invalidità, possa essere legittimamente invocata anche dai titolari della
pensione di invalidità prevista dal precedente regime normativo; 2) la
questione può risolversi alla luce di un consolidato orientamento
giurisprudenziale, cristallizzato dalla sentenza delle Sezioni unite della
Corte di cassazione n. 8433 del 4 maggio 2004, con la quale si è
affermato che la situazione del lavoratore titolare di pensione di
invalidità, attribuita nel precedente regime, in ragione di una parziale
riduzione della capacità lavorativa e di guadagno, non si differenzia da
quella del soggetto al quale sia attribuito l’assegno di invalidità,
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consiglio del 5 luglio 2013 ai sensi dell’art. 375 cod. proc. civ. sulla base

destinato a trasformarsi in pensione di vecchiaia al compimento
dell’età stabilita; 3) tali considerazioni portano a concludere in favore
dell’applicabilità del disposto del citato comma 10 dell’art. 1 della legge
n. 222 del 1984 anche per il trattamento della pensione di invalidità
previsto dal precedente regime, in quanto espressivo di un principio

tale indirizzo deve essere pienamente condiviso, e non può senz’altro
considerarsi superato dalle più recenti pronunce della Sezione lavoro le
quali hanno, invece, escluso che il periodo di godimento della pensione
di invalidità possa essere utilizzato quale contribuzione figurativa per
incrementare l’anzianità contributiva utile ai fini della pensione di
vecchiaia.
3.— Per la cassazione della suindicata sentenza l’INPS propone ricorso
sulla base di due motivi; il Venuto non svolge attività difensiva.
4.1.— Con il primo motivo l’INPS denuncia, in relazione all’art. 360,
primo comma, n. 3 cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione delle
seguenti norme di legge: a) art. 10 del r.d.l. 14 aprile 1939, n. 639
convertito dalla legge 6 luglio 1939, n. 1272; b) art. 1, commi 6 e 10,
della legge 12 giugno 1984, n. 222; c) art. 8 del d.l. 12 settembre 1983,
n. 463 convertito dalla legge 11 novembre 1983, n. 638; d) art. 60 del
r.d.l. n.1827 del 1935; e) art. 9 del r.d.l. n. 636 del 1939; f) art. 2 della
legge n. 218 del 1952; g) artt. 1, 2, 5 e 6 del d.lgs. n. 503 del 1992.
Premesso che l’assicurato è titolare di pensione di invalidità acquisita in
base alla normativa precedente all’entrata in vigore della legge n. 222
del 1984 (art. 10, r.d.l. n. 636 del 1939 cit.) l’Istituto ricorrente sostiene
che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, la
disciplina della pensione di invalidità non consente l’accredito di
contributi figurativi relativi al periodo di fruizione di tale pensione, e
nemmeno può essere considerato utile, ai fini della maturazione del
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generale di protezione della stessa situazione generatrice di bisogno; 4)

requisito contributivo richiesto per la pensione di vecchiaia, il periodo
di godimento della pensione di invalidità alla luce di una
interpretazione estensiva o analogica della disciplina dell’assegno
ordinario di invalidità ex art. 1 della legge n. 222 del 1984. Infatti, la
mancata previsione di norme che consentano espressamente tale

cui alla legge n. 222 del 1984, non consentono una interpretazione
giurisprudenziale estensiva, che possa ritenere equiparabile la predetta
pensione all’assegno ordinario di invalidità.
4.2.— Con il secondo motivo l’Istituto previdenziale lamenta, in
relazione all’art. 360, primo cornma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione
o la falsa applicazione delle seguenti norme di legge: a) art. 1, comma
10, della legge n. 222 del 1984; b) art. 8 del d.l. n. 463 del 1983 cit.; b)
art. 60, r.d.l. n. 636 del 1939; c) art. 2 della legge n. 218 del 1952; d)
artt. 1, 2, 5 e 6 del d.lgs. n. 503 del 1992, per aver la Corte di merito
erroneamente ritenuto che la trasformazione della pensione di
invalidità in pensione di vecchiaia implichi il diritto a conservare, se più
favorevole, l’importo del trattamento di invalidità in godimento.
5.— Il ricorso, le cui censure è opportuno trattare congiuntamente, è
manifestamente fondato.
5.1.— La più recente giurisprudenza di questa Corte, infatti, esclude
l’applicabilità dell’art. 1, comma 10, della legge n. 222 del 1984,
espressamente riferito all’assegno di invalidità, anche ai titolari di
pensione di invalidità acquisita nel regime del r.d.l. n. 636 del 1939, sia
nella parte in cui consente di incrementare i contributi effettivamente
versati con quelli figurativamente accreditati, sia nella parte in cui
stabilisce che la trasformazione dell’assegno in pensione di vecchiaia
opera automaticamente, in presenza dei requisiti di assicurazione e di

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possibilità, nonché il carattere eccezionale della previsione legislativa di

contribuzione prescritti e in coincidenza del compimento dell’età
stabilita per il diritto alla fruizione della relativa pensione.
Più specificamente, superando l’orientamento espresso nella sentenza
delle Sezioni unite n. 8433 del 2004, richiamata dalla Corte territoriale a
fondamento della propria decisione, le più recenti pronunce di questa

2012, n. 10780; 27 dicembre 2011, n. 29015; 17 febbraio 2011, n. 3855)
hanno affermato che deve escludersi la possibilità di applicare alla
pensione di invalidità la regola — prevista dal citato art. 1, comma 10,
della legge n. 222 del 1984 in riferimento all’assegno di invalidità,
secondo la quale i periodi di godimento di tale assegno si considerano
utili ai fini del diritto al conseguimento della pensione di vecchiaia —
giacché ostano a tale interpretazione la mancanza di ogni previsione in
tal senso nella normativa relativa alla pensione di invalidità, il carattere
eccezionale delle previsioni che nell’ordinamento previdenziale
attribuiscono il medesimo incremento in mancanza di prestazione di
attività lavorativa e di versamento contributivo, nonché le differenze
esistenti tra la disciplina relativa alla pensione di invalidità e a quella di
vecchiaia.
5.2.— Conseguentemente, va accolta anche la censura relativa
all’affermazione del giudice del merito nel senso che, in ipotesi di
conversione, in ogni caso l’importo della pensione di vecchiaia non
possa essere inferiore a quello del trattamento di invalidità in
godimento, trattandosi, anche in questo caso, di previsione valida solo
nel regime della trasformazione della prestazione da assegno ordinario
di invalidità in pensione di vecchiaia (vedi, tra le innumerevoli, Cass. 27
giugno 2012, n. 10780 cit.; 27 luglio 2010, n. 17474).

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Corte (ex plurimis, Cass. 31 gennaio 2013, n. 2267; Cass. 27 giugno

6.— In conclusione, per le suesposte ragioni, si propone la trattazione
del ricorso in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380
bis e 375 cod. proc. civ., per esservi accolto”;
che sono seguite le rituali comunicazione e notifica della suddetta
relazione, unitamente al decreto di fissazione della presente udienza in

Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione
contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ.;
che, pertanto, il ricorso deve essere accolto perché fondato e la
sentenza impugnata va cassata;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può
essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda introduttiva del
giudizio;
che la descritta evoluzione del quadro giurisprudenziale di riferimento,
giustifica la compensazione, tra le parti, delle spese giudiziali dei due
gradi di merito;
che, invece, l’attuale intimato va condannato al pagamento, in favore
dell’INPS, delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate
nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo
la causa nel merito, respinge la domanda introduttiva del giudizio.
Compensa, tra le parti, delle spese giudiziali dei due gradi di merito e
condanna l’attuale intimato al pagamento, in favore dell’INPS, delle
spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 50,00
(cinquanta/00) per esborsi, euro 1500,00 (millecinquecento/00) per
compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione
civile, il 5 luglio 2013.

Camera di consiglio.

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