Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20923 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. II, 21/07/2021, (ud. 17/03/2021, dep. 21/07/2021), n.20923

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17008-2016 proposto da:

G.C.M., G.C.A.,

G.C.G., GR.CI.AS., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA AURELIA 386, presso lo studio dell’avvocato SANDRO CAMPILONGO,

rappresentati e difesi dall’avvocato FILIPPO FIORILLO;

– ricorrenti –

contro

GR.SA., I.R., elettivamente domiciliati in ROMA,

V. DELLA GIULIANA 82, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO RUSSO,

rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO CRUSCO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 34/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 14/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/03/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Gr.Sa. e I.R. citavano, dinanzi il Tribunale di Paola, Gr.Gi. lamentando lo spoglio del diritto di passaggio pedonale esercitato lungo un viottolo in terra battuta costituente accesso ad un’area di corte scoperta retrostante la loro abitazione sita in (OMISSIS).

2. Il Tribunale di Paola accoglieva la domanda e per l’effetto disponeva il reintegro degli attori nel possesso della servitù di passaggio pedonale e carraio, con piccoli mezzi spinti a braccia, sul percorso dedotto in causa, ordinando a Gr.Gi. di ripristinare lo stato dei luoghi e la situazione di fatto e di diritto preesistente lo spoglio, nonché di astenersi per il futuro dal compiere atti di turbativa ovvero di privazione del possesso della servitù di passaggio nei confronti dei ricorrenti.

3. G.A. e G.G. in qualità di eredi di Gr.Gi. nel frattempo deceduto, proponevano appello avverso la suddetta sentenza.

4. La Corte d’Appello di Catanzaro rigettava l’impugnazione e confermava la sentenza del Tribunale di Paola. Il giudice del gravame evidenziava che gli elementi raccolti nel corso della fase del giudizio a cognizione piena deponevano nel senso di ritenere raggiunta la prova della sussistenza dei presupposti per accordare in via definitiva la tutela possessoria invocata dei ricorrenti. Tali elementi invece non erano emersi con sufficiente chiarezza nella fase sommaria nel corso della quale tale tutela era stata negata. In particolare, la Corte d’Appello evidenziava che l’insieme dei dati istruttori acquisiti nel giudizio di merito avevano sul piano probatorio definitivamente consentito di colmare tutte le lacune della fase sommaria e di superare ogni profilo di contraddizione. In tal senso richiamava plurimi e concordanti riferimenti dichiarativi dei testi addotti nell’interesse degli attori che avevano significativamente rievocato, per esserne stati diretti protagonisti, il passaggio da sempre personalmente effettuato sul viottolo in discussione sia per il trasporto effettuato su incarico dei medesimi nell’aria cortilizia anche a mezzo di carriole per il trasporto dell’uva in occasione delle operazioni stagionali di vendemmia, sia comunque per accedere a detto spazio al fine di potervi realizzare altri lavori di manutenzione. Del pari, alla stregua degli elementi istruttori raccolti nella fase del giudizio possessorio a cognizione piena era stato possibile giungere ad un definitivo chiarimento in ordine alla circostanza, oggetto di contestazione tra le parti, circa il fatto se esistesse o meno un percorso di accesso diretto dalla via pubblica all’aria di corte scoperta e al palmeto alternativa al viottolo oggetto della controversia. Si era accertata, infatti, l’insussistenza di tale possibilità dal punto di vista fattuale ed oggettivo e ciò deponeva ulteriormente per il possesso della servitù di passaggio sul percorso oggetto di lite da parte degli attori. A tal proposito la Corte d’Appello richiamava oltre agli elementi derivanti dalla prova orale anche l’esito dell’accesso diretto ai luoghi di interesse effettuato dal giudicante alla presenza delle parti e del loro procuratore, in occasione del quale si era constatata la piena corrispondenza della concreta situazione con quella rappresentata dagli attori e raffigurata nei rilievi fotografici presenti agli atti. La Corte d’Appello, infine, evidenziava che la parte appellante, e resistente in primo grado, aveva tenuto una condotta che rendeva impraticabile il transito sul viottolo in questione e dunque sussistevano gli estremi dello spoglio così come lamentato dagli attori, avendo il convenuto intrapreso la coltivazione di una vigna con messa in opera di piante nella parte finale del viottolo, ostative ad ogni possibilità di passaggio.

5. G.A., G.G., Gr.As. e G.M. in qualità di eredi di Gr.Gi. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sei motivi.

6. Gr.Sa. e I.R. hanno resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’art. 1168 e 1170 c.c. per non aver valutato la presenza degli elementi costitutivi la fattispecie invocata.

A parere del ricorrente non vi erano i presupposti per esercitare l’azione di spoglio, in particolare rispetto al termine annuale per l’esercizio dell’azione possessoria e rispetto all’azione violenta e clandestina oltre all’animus spoliandi. Peraltro, il comportamento di Gr.Gi. non era idoneo a ledere il possesso della controparte non avendo compromesso del tutto il passaggio. Infatti, risulterebbe dagli atti che l’apposizione delle piante non era tale da impedire il passaggio. La sentenza non avrebbe tenuto in debito conto la necessità di contemperare le esigenze del proprietario del fondo con quelle del possessore della servitù di passaggio.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: erronea valutazione delle prove, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c.

La censura attiene all’erronea valutazione delle prove, delle testimonianze e dei testimoni soprattutto in riferimento all’elemento temporale dello svolgersi della vicenda.

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione di legge, mancanza di animus spoliandi ac turbandi violazione e falsa applicazione dell’art. 1140 c.c.

Mancherebbero i presupposti relativi all’elemento soggettivo dello spoglio. La condotta di Gr.Gi. si era limitata alla apposizione di piante.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di legge art. 1140 c.c.

La censura attiene anche in questo caso alla valutazione illogica e contraddittoria delle dichiarazioni rese nella fase sommaria e in quella di merito dai testi sentiti che non erano sufficienti a integrare la prova dello spossessamento. A tali manchevolezze non poteva sopperire il sopralluogo del magistrato che aveva accettato solo la situazione di fatto al momento del sopralluogo.

5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.

La censura è ripetitiva delle precedenti in relazione alla circostanza che la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto della ridotta dimensione del viottolo e delle esigenze dei ricorrenti di godere della loro proprietà in modo pieno.

6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per falso presupposto e motivazione insufficiente illogica e contraddittoria, omesso esame di un punto decisivo ed omessa motivazione e violazione del procedimento logico.

A parere del ricorrente la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare la relazione di fatto e l’esercizio concreto del diritto invocato non essendo sufficiente il passaggio sul fondo essendovi un passaggio alternativo del tutto ignorato.

7. I motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente stante la loro evidente connessione, sono inammissibili.

La questione del termine annuale per esercitare lo spoglio non risulta essere stata trattata nel giudizio di merito sicché deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: “Il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa” (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).

Secondo l’indirizzo consolidato di questa Corte, infatti, “In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio” (ex plurimis Sez. 2, Sent. n. 20694 del 2018, Sez. 6-1, Ord n. 15430 del 2018).

Quanto alla censura relativa alla mancanza dei presupposti per riconoscere un’azione di spoglio nella condotta del Gr., la stessa è inammissibile trattandosi di una valutazione di fatto sindacabile in cassazione solo per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, mentre il ricorrente si limita a richiedere una rivalutazione in fatto di quanto già emerso.

Infine, sotto il profilo probatorio e di ricostruzione dei fatti il ricorso lamenta soltanto erronea valutazione di risultanze probatorie. La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove” (Cass. n. 11892 del 2016). (Cass. S.U. n. 16598/2016).

La deduzione della violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 Ne consegue l’inammissibilità della doglianza che sia stata prospettata sotto il profilo della violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 (Sez. L, Sentenza n. 13960 del 19/06/2014; n. 26965 del 2007).

Il ricorrente non indica alcun omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e il collegio intende dare continuità al seguente principio di diritto: “In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Sez. 3, Sent. n. 23940 del 2017).

In conclusione, deve ribadirsi che: “Con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità” (Sez. 6-5, Ord. n. 29404 del 2017).

8. Il ricorso è rigettato.

9. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 800 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 17 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

 

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