Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20921 del 18/10/2016

Cassazione civile sez. III, 17/10/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 17/10/2016), n.20921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10033/2015 proposto da:

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE DI VILLA

PAMPHILI 25, presso lo studio dell’avvocato PIERALFONSO LONGO,

rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO ROSSI giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Direttore della Direzione Centrale Entrate D.M.G.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo

studio dell’avvocato ANTONINO SGROI, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, GIUSEPPE

MATANO, SCIPLINO ESTER ADA, EMANUELE DE ROSE giusta procura in calce

al ricorso notificato;

– resistente con procura speciale –

avverso la sentenza n. 2485/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 11/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2016 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato FABIO ROSSI;

udito l’Avvocato GIUSEPPE MATANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per la cassazione senza rinvio in

subordine rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 1665 del 5 novembre 2007, il Tribunale di Latina accoglieva parzialmente l’opposizione all’esecuzione proposta da C.F. nei confronti dell’INPS in relazione al pagamento delle somme portate da Decreto Ingiuntivo esecutivo n. 630 del 1994, ottenuto dall’INPS a titolo di mancato versamento di contributi previdenziali, somme aggiuntive L. n. 48 del 1988 ex art. 4 e sanzioni amministrative, oggetto del precetto opposto.

La decisione, gravata da impugnazione del C., era confermata dalla Corte di appello di Roma, la quale con sentenza in data 11 aprile 2014, rigettava l’appello, condannando l’appellante al pagamento delle ulteriori spese nei confronti dell’INPS,

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione C.F., svolgendo quattro motivi.

L’INPS non ha depositato controricorso, ma procura speciale per partecipare alla discussione orale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con i motivi di ricorso si denuncia: a) violazione o falsa applicazione del D.L. n. 6 del 1993, art. 4 e D.L. n. 166 del 1996, art. 3 (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); b) violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); c) violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 61, 191 e 194 c.p.c., nonchè art. 345 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3); d) omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5) e violazione o falsa applicazione degli artt. 353 e 616 c.p.c. (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3).

2. E’ superfluo lo scrutinio dei motivi di ricorso. Ciò in quanto – come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, oltre che dalla sentenza impugnata – si verte in una causa di opposizione all’esecuzione, decisa in primo grado con sentenza n. 1665 dep. il 5 novembre 2007, come tale soggetta al disposto dell’art. 616 c.p.c., nel testo introdotto dalla L. n. 52 del 2006, art. 14, che nell’ultima parte così recitava: “la causa è decisa con sentenza non impugnabile”.

Valga considerare che al fine di individuare il regime di impugnazione applicabile ad una determinata sentenza non rileva la data di introduzione del giudizio che con quella sentenza si è concluso, bensì unicamente la data di pubblicazione della pronuncia da sottoporre ad impugnazione. Pertanto, le sentenze che abbiano deciso opposizioni all’esecuzione pubblicate prima del primo marzo 2006, restano esclusivamente appellabili; per quelle, invece, pubblicate successivamente a tale data e fino al 4 luglio 2009, non è più ammissibile l’appello, in forza dell’ultimo periodo dell’art. 616 c.p.c., sopra testualmente riportato, introdotto dalla L. 24 febbraio 2006, n. 52, con la conseguenza dell’esclusiva ricorribilità per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7; le sentenze, infine, in cui il giudizio di primo grado sia ancora pendente al 4 luglio 2009 e siano quindi pubblicate successivamente a tale data, tornano ad essere appellabili, essendo stato soppresso l’ultimo periodo dell’art. 616 c.p.c., ai sensi della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 49, comma 2 (cfr. Cass. ord. 17 agosto 2011, n. 17321; Cass. 20 marzo 2012, n. 4380).

E poichè, per quanto innanzi evidenziato, nel presente giudizio, la sentenza di primo grado venne emessa nel periodo intercorrente tra il 1 marzo 2006 e il 4 luglio 2009, n. 52, la Corte di appello di Roma, erroneamente investita dell’impugnazione, non avrebbe potuto conoscere del merito della stessa, ma avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità dell’appello, trattandosi di sentenza impugnabile solo con ricorso straordinario.

2.1. E’ appena il caso di aggiungere che la questione è stata rilevata dal P.G. in udienza e, comunque, può essere rilevata di ufficio dalla Cassazione, anche senza l’interlocuzione delle parti prevista dall’art. 384 c.p.c., che è esclusa quando si tratta di questioni in punto di mero diritto (Cass. Sez. Un., 30 settembre 2009, n. 20935) e, segnatamente, qualora la questione di diritto sia di natura esclusivamente processuale (come quando attenga al corretto mezzo di impugnazione a disposizione della parte, punto che il giudice superiore deve preliminarmente e d’ufficio esaminare, a prescindere dall’iter processuale seguito anteriormente), perchè anche la prospettazione preventiva del tema alle parti non avrebbe potuto involgere profili difensivi non trattati (Cass. ord., 30 aprile 2011, n. 9591).

In definitiva – non avendo la Corte territoriale rilevato l’inammissibilità del gravame – sussiste il potere-dovere di questa Corte di rilevare l’inammissibilità dell’appello, trattandosi di prendere atto del passaggio in giudicato sulla sentenza di primo grado.

E’ necessario allora, pronunciando sul ricorso, cassare senza rinvio la sentenza di secondo grado, ai sensi dell’ultima parte del capoverso dell’art. 382 c.p.c. (cfr. Cass. 13 novembre 2009, n. 24047), provvedendo a compensare le spese del grado di appello (per il carattere ufficioso del rilievo che lo definisce in questa sede); mentre le spese del giudizio di legittimità sono liquidate come in dispositivo, avuto riguardo alla partecipazione della resistente alla discussione orale.

L’esito del ricorso, pur comportando la cassazione della sentenza impugnata, è il riflesso dell’inammissibilità dell’impugnazione (per l’errato esperimento in appello con conseguente giudicato sulla sentenza di prime cure); ciò comporta l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata per l’inammissibilità dell’appello; compensa le spese del giudizio di appello tra le parti;

condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.400,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2016

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