Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20921 del 05/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/08/2019, (ud. 19/06/2019, dep. 05/08/2019), n.20921

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6464-2018 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 96,

presso lo studio dell’avvocato BRUNO TAVERNITI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANDREA LAI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI FIRENZE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE LEPORE, rappresentata e difesa dagli avvocati SERGIO

PERUZZI, ALESSANDRA CAPPELLETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1106/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 03/01/2018 R.G.N. 947/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/06/2019 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CIMMINO ALESSANDRO,che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato ANDREA LAI;

udito l’Avvocato MARIA ROMANA CILIUTTI per delega Avvocato SERGIO

PERUZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 3 gennaio 2018) in accoglimento dell’appello del Comune di Firenze rigetta le domande proposte da C.L. nel ricorso introduttivo del giudizio.

La Corte d’appello di Firenze, per quel che qui interessa, precisa che:

a) la C., all’epoca vice ispettore della Polizia Municipale del Comune di Firenze (in pensione da ottobre 2017), ha posto sulla soglia del portone di ingresso del Comando della Polizia Municipale, nei pressi delle telecamere di sorveglianza, il cadavere di un gattino trovato per strada il (OMISSIS) al termine del servizio;

b) dopo un breve periodo di ferie, è stata chiamata dal Comandante che, dopo averle rappresentato che il suo comportamento avrebbe potuto essere inteso come un gesto di dissenso nei confronti del Comune o della Polizia Municipale, ha disposto l’immediato ritiro dell’arma di ordinanza dell’interessata, provvedimento protrattosi per circa due anni;

c) quindi è stato instaurato un procedimento disciplinare che ha portato alla sospensione dal lavoro per tre giorni e, infine, la C. è stata trasferita ad altro reparto;

d) il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 701/2016, ha accolto le domande della ricorrente volte ad ottenere l’accertamento del demansionamento derivante dal ritiro dell’arma e la condanna del Comune al risarcimento dei conseguenti danni;

e) è incontestato che il giorno successivo all’accaduto la C. era in servizio e non ha parlato a nessuno del rinvenimento del cadavere del gattino ed è anche pacifico che, nei giorni successivi, nel Comando sono state poste in essere una serie di attività dirette ad accertare l’autore del fatto, che è stato individuato nella C. solo grazie alla memoria delle telecamere di sorveglianza;

f) la condotta della ricorrente è quindi del tutto anomala e incoerente, gravemente colpevole specialmente in considerazione della qualifica della C. comportante la conoscenza delle corrette modalità di smaltimento della carcassa di un animale;

g) si tratta di un comportamento “con molte probabilità ispirato da fini tutt’altro che encomiabili”, visto che la ricorrente si dichiara animalista convinta;

h) a fronte di una simile condotta, indicativa di scarsa serenità e affidabilità nell’esercizio delle funzioni, il provvedimento di revoca del porto d’armi (con riguardo alla pistola d’ordinanza) appare legittimo e proporzionato.

2. Il ricorso di C.L., illustrato da memoria, domanda la cassazione della sentenza per un unico motivo; resiste, con controricorso, il Comune di Firenze.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I – Sintesi delle censure.

1. Con l’unico motivo di ricorso si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, invalidità della sentenza ex art. 132 c.p.c. e art. 156 c.p.c., comma 2; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in riferimento all’art. 2103 c.c.

Si adduce il carattere meramente apparente e illogico della motivazione della sentenza impugnata nella quale la Corte d’appello non ha considerato che il comportamento della C. – che prima facie poteva anche prestarsi ad essere interpretato, nella sua materialità, come un gesto mosso da intenti non commendevoli – nel caso concreto è stato posto in essere con intenti lodevoli, con risulta ictu oculi dal fatto che il cadavere del gattino è stato posto dalla ricorrente in vicinanza delle telecamere di sorveglianza e dall’assenza di ragioni di rivalsa o acrimonia da parte della C., che era un agente modello, degno di pubblico encomio.

In questa ottica la Corte d’appello ha male interpretato anche il silenzio sull’accaduto serbato dall’interessata nei giorni successivi al fatto, in realtà dovuto alla convinzione che i colleghi avessero provveduto a smaltire la carcassa del gattino.

Peraltro, il Comune di Firenze che non ha mai chiesto di provare che la ricorrente aveva abusato dell’arma di ordinanza, non ha mai offerto alcuna prova delle ragioni del ritiro dell’arma e del conseguente demansionamento essendosi limitato a produrre in giudizio il provvedimento definitivo di irrogazione della sanzione disciplinare di tre giorni di sospensione.

La Corte d’appello ha ritenuto giustificato il ritiro dell’arma pur in assenza di tale prova, così violando gli artt. 2697 e 2103 c.c., limitandosi ad affermare la legittimità e proporzionalità del provvedimento, sull’assunto secondo cui il comportamento della C. è stato “con molte probabilità ispirato da fini tutt’altro che encomiabili”, senza dare alcuna giustificazione di tale assunto, così confermando il carattere soltanto apparente della motivazione perchè manifestamente illogica e fondata su deduzioni prive di riferimenti ai fatti concreti oltre che basate sul rovesciamento della regola dell’onere probatoria quale stabilita dall’art. 2697 c.c.

II – Esame delle censure.

2. Il ricorso deve essere accolto per le ragioni di seguito indicate.

3. Per consolidati e condivisi indirizzi di questa Corte:

a) la sentenza è nulla ai sensi dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ove risulti del tutto priva dell’esposizione dei motivi sui quali la decisione si fonda ovvero la motivazione sia solo apparente, estrinsecandosi in argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendì”, cioè, in particolare, ove non siano indicati gli elementi da cui il giudice ha tratto il proprio convincimento ovvero tali elementi siano indicati senza un’adeguata disamina logica-giuridica, mentre tale evenienza resta esclusa con riguardo alla valutazione delle circostanze probatorie in senso difforme da quello preteso dalla parte (Cass. 8 gennaio 2009, n. 161; Cass. SU 21 dicembre 2009, n. 26825);

b) la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. SU 3 novembre 2016; n. 22232);

c) sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella perplessa e incomprensibile: in entrambi i casi, invero – e purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali – l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass. SU 3 novembre 2016; n. 22232; Cass. SU 5 agosto 2016 n. 16599; Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053 e ancora, ex plurimis, Cass. n. 4891 del 2000; n. 1756 e n. 24985 del 2006; n. 11880 del 2007; n. 161, n. 871 e n. 20112 del 2009).

4. Nella specie, la Corte d’appello è stata chiamata ad accertare se il demansionamento della C., conseguente al provvedimento di ritiro dell’arma di ordinanza fosse, o meno, giustificato e legittimo.

4.1. Dal complessivo esame della L. 7 marzo 1986, n. 65 (Legge quadro sull’ordinamento della polizia municipale), del D.M. n. 4 marzo 1987, n. 145 (Norme sull’armamento degli appartenenti alla polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza) nonchè della L.R. Toscana 3 aprile 2006, n. 12 (Norme in materia di polizia comunale e provinciale) si desume che lo status di agente di pubblica sicurezza costituisce una prerogativa accessoria ed eventuale rispetto alle funzioni di servizio dell’agente di polizia municipale (Consiglio di Stato, Sez. III, n. 3711 del 10 luglio 2013), che è necessario per l’attribuzione all’agente di polizia municipale del porto d’armi ma non implica automaticamente anche tale attribuzione.

In base alla L. n. 65 del 1986 cit., art. 5, comma 2:

“il prefetto conferisce al suddetto personale, previa comunicazione del sindaco, la qualità di agente di pubblica sicurezza, dopo aver accertato il possesso dei seguenti requisiti:

a) godimento dei diritti civili e politici;

b) non aver subito condanna a pena detentiva per delitto non colposo o non essere stato sottoposto a misura di prevenzione;

c) non essere stato espulso dalle Forze armate o dai Corpi militarmente organizzati o destituito dai pubblici uffici”.

Inoltre, per il successivo comma 5, agli addetti al servizio di polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agente di pubblica sicurezza, può essere consentito, previa deliberazione in tal senso del Consiglio comunale, anche di portare, senza licenza, le armi, di cui possono essere dotati, secondo quanto stabilito da appositi Regolamenti.

4.2. Come precisato dalla giurisprudenza, la valutazione compiuta dall’Amministrazione in materia è caratterizzata da ampia discrezionalità sia per l’attribuzione sia per la revoca del porto d’armi ed è finalizzata a prevenire, per quanto possibile, l’abuso delle armi da parte di soggetti non pienamente affidabili (vedi, di recente: Cons. Stato, Sez. III, 11 marzo 2015 n. 1270).

Pertanto il giudizio di “non affidabilità” è giustificabile anche in situazioni che non hanno dato luogo a condanne penali o misure di pubblica sicurezza, ma semplicemente contrarie alle regole di civile convivenza (C.d.S., Sez. III, 14 ottobre 2014, n. 5398 19 settembre 2013, n. 4666).

Inoltre, la licenza di porto d’armi può essere negata o revocata anche in assenza di pregiudizi e controindicazioni connessi al corretto uso delle armi, potendo l’Autorità amministrativa valorizzare, nella loro oggettività, sia fatti di reato, sia vicende e situazioni personali che non assumono rilevanza penale (e non siano attinenti alla materia delle armi), da cui si possa, comunque, desumere la non completa “affidabilità” del soggetto interessato all’uso delle stesse (C.d.S., Sez. III, 29 luglio 2013, n. 3979).

Quel che è certo, però, è che i provvedimenti con i quali si nega o si revoca il porto d’armi ad un agente di polizia municipale devono essere motivati, secondo le norme del giusto procedimento dettate dalla L. n. 241 del 1990 – che qui rilevano ex artt. 1175 e 1375 c.c. – al fine di consentire al destinatario di verificare la coerenza delle ragioni poste a base del provvedimento (nella specie di revoca) con quanto stabilito dalla relativa disciplina.

La motivazione è necessaria – tanto più che si tratta di provvedimenti d contenuto negativo per il destinatario – anche nell’ipotesi in cui il Comando di Polizia Municipale disponga il ritiro dell’arma “in caso di sospensione dal servizio”, come previsto da alcuni regolamenti comunali, perchè le tipologie, le cause e la durata di simili provvedimenti sospensivi sono molteplici.

4.3. Nel presente giudizio è pacifico la C. aveva allegato gli elementi di fatto significativi per dimostrare l’illegittimità del suddetto provvedimento con il quale è stato disposto nei suoi confronti il ritiro dell’arma di ordinanza cui è conseguito il dedotto demansionamento.

E’ altrettanto certo – perchè non specificamente contestato dal controricorrente – che il Comune non ha offerto alcuna prova delle ragioni poste a base del ritiro dell’arma e del demansionamento, essendosi limitato a produrre in giudizio il provvedimento definitivo di irrogazione della sanzione disciplinare di tre giorni di sospensione, che non rientrava nel thema decidenclum non essendo stato impugnato.

In questa situazione, il Giudice del merito, per effettuare la valutazione che gli era stata richiesta – muovendo dal presupposto in questi casi incombe sul datore di lavoro l’onere di provare la correttezza del proprio comportamento – avrebbe dovuto prendere in considerazione le, precise e non generiche, contestazioni del Comune di Firenze circa i fatti posti dalla ricorrente a fondamento della domanda e le eventuali allegazioni ulteriori del Comune stesso volte a dimostrare il legittimo esercizio del proprio potere direttivo.

Questa era la base ineludibile perchè il giudice del merito potesse effettuare la propria valutazione sulla legittimità o meno dei provvedimenti impugnati e, quindi, sulla conformità, o meno, del comportamento del Comune ai criteri generali di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.), qui applicabili alla stregua dei principi di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

E di questa operazione la Corte d’appello avrebbe dovuto dare conto nella motivazione della sentenza in modo tale da rendere possibile il controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento effettuato per giungere alla decisione adottata (vedi, per tutte: Cass. 7 aprile 2017, n. 9105).

5. Nella sentenza impugnata, invece, la valutazione espressa dalla Corte territoriale è avulsa da qualunque riferimento alle allegazioni offerte dal Comune per giustificare – nel caso concreto – l’emanazione del provvedimento di revoca del porto d’armi e anzi si snoda attraverso una serie di passaggi nei quali, del tutto apoditticamente, la condotta della ricorrente viene considerata “del tutto anomala, incoerente, gravemente colpevole” nonchè ispirata “con molte probabilità.. da fini tutt’altro che encomiabili” – imprescrutabilmente desunti dal fatto che la ricorrente si dichiara animalista convinta, elemento che mal si concilia con quanto detto prima e dopo – concludendosi, sempre in modo criptico, che si è trattato di un comportamento indicativo “di scarsa serenità e affidabilità nell’esercizio delle funzioni” e quindi meritevole del provvedimento di revoca del porto d’armi (con riguardo alla pistola d’ordinanza).

Ne deriva che la motivazione della sentenza stessa rende impossibile l’individuazione di una effettiva – e giuridicamente adeguata – ratio posta a base della decisione adottata.

Questo rende meramente apparente – e comunque non conforme a diritto – la motivazione medesima, alla stregua della nozione di motivazione apparente innanzi delineata.

III – Conclusioni.

6. In sintesi, in accoglimento del motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere dichiarata nulla e cassata con rinvio alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione che provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 19 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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