Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20920 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 30/09/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 30/09/2020), n.20920

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18525-2015 proposto da:

Z.F., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati CONCETTA CAMBINO, ANNA RITA ANTONUCCI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI BATTIPAGLIA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE LULLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1521/2014 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 14/01/2015 R.G.N. 1176/2011.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte d’Appello di Salerno, riformando parzialmente la sentenza del Tribunale della stessa città, ha condannato il Comune di Battipaglia al pagamento in favore del proprio dipendente Z.F., addetto all’Ufficio Tecnico, delle differenze retributive per l’attività rientrante nella cat. D1 (ex VII livello) oltre al pagamento di Euro 2.301,35 per ore di straordinario;

la Corte territoriale, rispetto alla questione sulle mansioni superiori, l’unica che è ancora oggetto di contenzioso in questa sede, riteneva provato che allo Z. fossero state fatte svolgere, dal 1996, attività eccedenti rispetto alla qualifica e poi categoria di inquadramento, in concreto tali da contemplare anche disposizioni ed ordini relativi alle opere di competenza comunale, ma riteneva altresì che tali mansioni fossero da riportare alla qualifica D1 (ex VII qualifica funzionale), in quanto “sicuramente rientranti nei compiti ricoperti da soggetti già inquadrati in settima qualifica funzionale” e non alla rivendicata qualifica D3 (ex VIII qualifica funzionale);

2. lo Z. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, poi illustrati da memoria, cui il Comune ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo il ricorrente afferma la nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, per carenza motivazionale, in relazione all’art. 111 Cost., art. 132, comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.

la censura è infondata;

come è noto, la motivazione è inesistente ex art. 132 c.p.c., n. 4 solo allorquando essa “benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232) o, più in particolare, quando essa si caratterizzi per la sussistenza di un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”” (Cass. S.U., 7 aprile 2014, n. 8053), profili specifici di cui non vi è neppure menzione nel motivo in esame;

2. il secondo motivo è rubricato come violazione (art. 360 c.p.c., n. 3) dell’art. 115 c.p.c., comma 2;

secondo il ricorrente la Corte di merito, nel ritenere che le mansioni svolte dallo Z. rientrassero “sicuramente nei compiti ricoperti da soggetti già inquadrati in settima qualifica funzionale”, non avendo fatto riferimento ad alcuna prova fornita al riguardo, avrebbe ritenuto, con l’affermazione “sicuramente”, che l’appartenenza delle mansioni alla VII piuttosto che alla VIII qualifica fosse fatto notorio; in tal modo la Corte, secondo il ricorrente, avrebbe adottato una inesatta nozione di fatto notorio, nè si potrebbe sostenere che la decisione si potesse sorreggere su una scienza individuale dei giudici, estranea anch’essa all’ambito del notorio e dunque delle cognizioni utilizzabili per la decisione;

2.1. il motivo sconta un’inesatta prospettazione del significato della sentenza che lo rende non ammissibile;

la sentenza non ha infatti affermato che “sicuramente” le mansioni svolte rientrassero nella VII qualifica funzionale, ma che “sicuramente” quanto svolto corrispondeva a “compiti ricoperti da soggetti già inquadrati in settima qualifica funzionale”;

non si è dunque apprezzato l’inquadramento dovuto sulla base di un fatto notorio, ma è stata svolta una diversa operazione argomentativa nel senso che, in concreto, quei compiti venivano svolti da chi era (“già”, dice non a caso la Corte di merito) inquadrato in VII qualifica; il motivo è dunque eccentrico rispetto alla ratio decidendi e come tale inammissibile;

3. con il terzo motivo il ricorrente afferma la violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) degli artt. 3 e 7 dell’all. C del c.c.n.l. Comparto Regioni ed Autonomie Locali per il personale non dirigente e dell’all. A del D.P.R. n. 347 del 1983, anche in ordine agli artt. 1362 c.c. e ss..

il ricorrente, muovendo dal presupposto di fatto, affermato anche dalla Corte d’Appello, secondo cui egli nel periodo in esame avrebbe svolto attività di capo Sezione Ufficio Lavori, sostiene che essa sarebbe rientrata nell’ambito della ottava qualifica funzionale di cui al D.P.R. n. 347 del 1983 (e non nella settima) e quindi, con il passaggio alle categorie di cui alla sopravvenuta contrattazione collettiva, avrebbe dovuto essergli attribuito, ai sensi dell’art. 7 del c.c.n.l. e della tabella C di corrispondenza tra qualifiche e categorie/posizioni economiche, il livello D3;

il motivo non è accoglibile per un duplice ordine di ragioni;

3.1 iniziando, secondo l’ordine cronologico, dal possibile inquadramento secondo il sistema previgente delle qualifiche funzionali, si osserva che caratteristica della VIII è “lo svolgimento di funzioni con rilevanza esterna”, ma in un contesto di “elevata specializzazione professionale” e di “notevole grado di difficoltà”, caratteristiche che non necessariamente, anche per il criterio di prevalenza che governa la materia (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, comma 3, ma prima già D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 3, quale modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998 e comunque con regola in parte già desumibile dagli originari D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, comma 2 e art. 57, comma 4: per il richiamo del principio in un caso anche anteriore al D.Lgs. n. 80 del 1998, v. Cass., S.U., 11 dicembre 2007, n. 25837) devono essere ritenute insite nel fatto che in concreto il ricorrente in quei periodi impartisse “ordini”;

peraltro, l’accertamento recato in sentenza neppure specifica se si trattasse di ordini interni all’ufficio o anche a terzi;

non può quindi dirsi che l’argomentare della sentenza entri in contraddizione con l’assetto delle qualifiche quale sopra sommariamente delineato nei tratti caratterizzanti;

3.2. ciò sarebbe già sufficiente, in quanto se non ricorrono elementi per il riconoscimento della VIII qualifica, non vi sarebbe comunque ragione perchè, con il sopravvenire della contrattazione collettiva, il ricorrente dovesse rientrare in D3 in applicazione delle regole di confluenza ragione dall’uno all’altro sistema;

in realtà deve dirsi anche tale ulteriore ragionamento basato sulle menzionate regole di confluenza è comunque errato;

infatti, una cosa è la regola di transito dall’uno all’altro inquadramento, al mutare del sistema da quello delle qualifiche a quello delle categorie contrattuali ed altra cosa è la rivendicazione delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, la quale presuppone che, in ciascun lasso di tempo, sia dimostrato lo svolgimento di mansioni qualificabili come inerenti ad un livello superiore a quello di inquadramento, senza poter fruire tout court delle regole di coordinamento che riguardano soltanto le operazioni di ricollocazione di personale da un inquadramento ad un altro (v. Cass. 19 dicembre 2008 n. 29827);

il ricorrente, nulla peraltro neppure adducendo rispetto alle declaratorie proprie delle categorie di cui al c.c.n.l., si affida dunque ad un ragionamento comunque errato;

4. il quarto motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di una circostanza obiettiva acquisita alla causa tramite prova scritta la quale, se fosse stata presa in considerazione, secondo lo Z., avrebbe condotto con certezza ad una diversa decisione;

la circostanza consiste nei fatto che il ricorrente sarebbe stato chiamato a svolgere, ed aveva di fatto svolto, le mansioni del geom. F., già appartenente alla VIII qualifica, circostanza che, secondo il ricorrente, si sarebbe desunta dalle disposizioni di servizio con cui era stata stabilita tale sostituzione;

la sentenza impugnata fa riferimento alle mansioni superiori svolte dal 1996 e, nel richiamare la pronuncia del Tribunale, afferma che la condanna di primo grado riguardò il periodo successivo al 1.7.1998, perchè quello precedente non era pertinente alla giurisdizione ordinaria;

non rileva dunque il provvedimento del 18.8.1995 di attribuzione delle funzioni del F. durante il congedo ordinario di quest’ultimo, ma semmai il provvedimento del settembre 1996 con cui lo Z. fu chiamato a svolgere le funzioni del predetto a causa del trasferimento del superiore;

tuttavia, il testo stesso di tale provvedimento, quale riportato nel motivo di ricorso in esame attesta – a differenza del provvedimento del 1995 che la sostituzione avvenne per “ovviare almeno in parte” ai problemi sopravvenuti di gestione di quell’ufficio e che essa avvenne rispetto ai “seguenti compiti specifici”, ritenuti tali da non comportare l’esercizio di mansioni superiori perchè limitati ad “alcuni soltanto dei compiti propri” di esse (in linea con l’allora vigente D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 57, comma 4);

il presupposto posto a base del motivo, ovverosia la prova certa di una totale sostituzione del superiore, non sussiste dunque come tale;

d’altra parte, le evenienze della sostituzione, quali desumibili dagli elementi riportati nella censura, per avere rilievo favorevole al ricorrente dovrebbero consentire di poter affermare il ricorrere dei già menzionati requisiti di prevalenza rispetto ai tratti caratterizzanti del livello rivendicato, il che comporterebbe la necessità di una nuova valutazione di merito, di esito incerto, ad ulteriore riprova che il motivo non contiene elementi sufficienti al fine di determinare di per sè solo, come richiesto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’elevata probabilità logica di una diversa decisione sulla base soltanto di quanto risultante dal ricorso per cassazione;

5. alla reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

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