Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20920 del 12/09/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 20920 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

Data pubblicazione: 12/09/2013

ORDINANZA
sul ricorso 10990-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA (c.f. 97103880585), elettivamente domiciliata
in Roma, v.le Mazzini n. 134, presso lo studio dell’Avv. Luigi Fiorillo,
che la rappresenta e difende per delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro
SEBASTIANELLI DANIELA, elettivamente domiciliata in Roma in
via Reno n. 21, presso lo studio dell’Avv. Roberto Rizzo, che la
rappresenta e difende per delega a margine del controricorso;

– controricarrente avverso la sentenza n. 10264/2009 della Corte d’appello di Roma,
depositata in data 23.04.10;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14.06.2013 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;
udito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Giulio Romano.
Ritenuto in fatto e diritto
1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Roma Sebastianelli
Daniela chiedeva che fosse dichiarato nullo il termine apposto a tre
contratti a tempo determinato con i quali era stato assunta alle

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23. Poste Italiane c. Sebastianelli Daniela (10990/11)

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dipendenze di Poste Italiane s.p.a rispettivamente nei periodi 8.11.9731.01.98 (per esigenze eccezionali, ex art. 8 cali 26.11.94 come
integrato dall’accordo sindacale 25.9.97), 31.08-30.09.98 (per necessità
di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie per il
periodo giugno settembre, ai sensi di detto art. 8), 1.03-30.05.00 (di
nuovo per esigenze eccezionali , ex art. 8 cali 26.11.94 come integrato
dall’accordo sindacale 25.9.97).
2.- Rigettata la domanda e proposto appello dalla lavoratrice, la
Corte d’appello di Roma con sentenza del 23.04.10 accoglieva
parzialmente l’impugnazione e dichiarava la nullità del termine con
riferimento al terzo contratto, affermando che tra le parti si era
instaurato un contratto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere
dall’1.03.00. La Corte rilevava che — nell’ambito del sistema dell’art. 23
della legge n. 56 del 1987, che aveva delegato le oo.ss. a individuare
nuove ipotesi di assunzione a termine con la contrattazione collettiva —
il primo ed il terzo contratto erano stati stipulati in forza dell’art. 8 del
CCNL Poste 26.11.94, integrato dall’accordo 25.9.97, per fare fronte
ad esigenze eccezionali connesse alla fase di ristrutturazione
dell’azienda. Considerato che la norma collettiva consentiva
l’assunzione a termine per detta causale solo fino al 30.4.98, riteneva
che sussistesse la nullità del termine apposto a detto terzo contratto,
che risultava stipulato in epoca successiva. Riteneva, inoltre, legittimo il
secondo contratto perché stipulato per una fattispecie prevista dal
testo base dell’art. 8 del cali 1994.
3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso
per cassazione. Rispondeva con controricorso Sebastianelli. Il
consigliere relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c., che è
stata comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori
costituiti assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza della camera
di consiglio.
4.- I motivi proposti dalla soc. Poste possono essere così
riassunti:
4.1.- il rapporto di lavoro avrebbe dovuto essere ritenuto risolto
per mutuo consenso, costituendo l’ampio lasso di tempo trascorso tra
la cessazione del rapporto e l’offerta della prestazione indice di
disinteresse del lavoratore a sostenere la nullità del termine;
4.2.- violazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987 e dei canoni
ermeneutici degli artt. 1362 e segg. c.c., in ragione dell’interpretazione
dell’art. 8 del ccnl 26.11.94 e dell’accordo integrativo 25.9.97 accolta
dal giudice di merito. In particolare, il giudice di merito avrebbe
ignorato che gli accordi successivi a quello del 25.9.97 avevano valenza
ricognitiva delle condizioni legittimanti il ricorso al contratto a termine,

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senza circoscrivere il ricorso a tale strumento solo all’indicato periodo
temporale;
4.3.- omessa ed insufficiente motivazione in quanto il giudice di
merito non avrebbe esposto in modo idoneo le ragioni che porrebbero
in rapporto il contratto collettivo 1994, l’accordo sindacale 25.9.97 ed i
successivi accordi attuativi in relazione al limite temporale cui
sarebbero subordinate le assunzioni a termine;
4.4.- Poste Italiane conclude il ricorso richiamando l’art. 32 della
legge 4.11.10 n. 183, che fissa specifici criteri di risarcimento del danno
connesso alla conversione del contratto per nullità del termine, con
applicazione diretta ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore.
5.- Quanto al primo motivo (risoluzione per mutuo consenso, n.
4.1) la giurisprudenza (v. per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554 e numerose
altre) ha ritenuto che nel giudizio instaurato per il riconoscimento del
rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto
dell’illegittima apposizione del termine finale) per la configurabilità
della risoluzione del rapporto per mutuo consenso è necessario
l’accertamento — in base al lasso di tempo trascorso dopo la
conclusione del contratto a termine, nonché, alla stregua delle modalità
della conclusione, del comportamento delle parti e di eventuali
circostanze significative — una comune volontà delle parti di
concludere definitivamente ogni rapporto lavorativo; la valutazione del
di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni
non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici
o errori di diritto.
La Corte d’appello ha affermato che, in mancanza della prova di
comportamenti positivi attestanti l’effetto estintivo, la contestazione
della legittimità dell’apposizione del termine è avvenuta entro un lasso
di tempo di entità modesta tale da escludere la volontà risolutiva.
Trattasi di considerazioni congruamente motivate, non censurabili sul
piano logico.
6.- I motivi secondo e terzo (4.2-4.3) sono infondati in forza
della giurisprudenza di questa Corte, per la quale l’art. 23 della 1.
28.2.87 n. 56, nel demandare alla contrattazione collettiva
l’individuazione — oltre le fattispecie tassativamente previste dall’art. 1
della 1. 18.4.62 n. 230 nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29.1.83 n. 17, conv.
dalla 1. 15.3.83 n. 79 — nuove ipotesi di apposizione di un telinine al
rapporto di lavoro, configura una delega in bianco a favore dei sindacati, i
quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di
contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (v.
S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno
individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui

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all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta
l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto
accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo
sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti
abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi
in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione
di fatto integrante le esigene eccqionali menzionate dal detto accordo
integrativo.
Consegue che per far fronte alle esigenze l’impresa poteva
procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale
straordinario con contratto tempo e che l’esistenza di dette esigenze
costituisse presupposto essenziale della pattuizione negoziale; da ciò
deriva che deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati
dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. In
altre parole, dato che le parti collettive avevano raggiunto
originariamente un’intesa priva di termine ed avevano successivamente
stipulato accordi attuativi che avevano posto un limite temporale alla
possibilità di procedere con assunzioni a termine, fissato inizialmente
al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98, l’indicazione di tale causale nel
contratto a termine legittima l’assunzione solo ove il contratto scada in
data non successiva al 30.4.98 (v., exp/urimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
7.- La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti, l’irrilevanza attribuita all’accordo
18.1.01 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza
dell’ultima proroga, e cioè quando il diritto del soggetto si era già
perfezionato. Ammesso che le parti avessero espresso l’intento di
interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti
comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la
copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in forza degli accordi attuativi),
la suddetta conclusione è comunque conforme alla regula iuris
dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già perfezionatisi, dovendosi
escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante lo
strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per il settore del
lavoro pubblico, secondo la disciplina del d.lgs. n. 165 del 2001), di
autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non
più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per
tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).
8.- Conseguentemente i contratti scadenti (o comunque
stipulati) al di fuori del limite temporale del 30.4.98 sono illegittimi in
quanto non rientranti nel complesso legislativo-collettivo costituito
dall’art. 23 della legge 28.2.87 n. 56 e dalla successiva legislazione
collettiva che consente la deroga alla legge n. 230 del 1962. Nella
specie il contratto ora in considerazione fu stipulato per “esigenze
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Per questi motivi
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eccezionali ecc. …” per il periodo 1.03.00-3.05.00, per cui i motivi
debbono essere rigettati.
9.- Con il quarto motivo la ricorrente chiede l’applicazione
dell’art. 32, c. 5, della legge 4.11.10 n. 183 e la liquidazione indennitaria
del risarcimento, evidenziando che il successivo c. 7 prevede che detta
disposizione trovi applicazione anche ai giudizi pendenti alla data
dell’entrata in vigore della legge.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene che tale
disciplina, costituente nuova regolazione del rapporto controverso, sia
applicabile ai giudizi pendenti in grado di legittimità, a condizione che
la Corte sia investita da un valido e pertinente motivo di impugnazione
(v. Cass. 28.01.11 n. 2112, 31.01.12 n. 1409 e 2.03.12 n. 3305), in
ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è
limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8.05.06 n. 10547 e
27.02.04 n. 4070). Tale condizione è nella specie realizzata, atteso che
l’applicazione della disciplina in questione è fatta oggetto di uno
specifico motivo, il quarto ora in esame, con il quale viene denunziata
la difformità del decisum dal nuovo criterio di risarcimento del danno
previsto dalla richiamata legge n. 183 del 2010.
10.- Tanto rilevato, deve considerarsi che la disposizione dell’art.
32 in questione (ritenuta conforme al dettato costituzionale dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2011) al c. 5 prevede che
“nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice
condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo
un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di
2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della 1. 15.7.66 n. 604”.
Lo stesso art. 32 al successivo c. 6 prevede, inoltre, che “in presenza di
contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali,
stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche
a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a
termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo
dell’indennità fissata dal c. 5 è ridotto a metà”. La quantificazione del
risarcimento con questi criteri impone accertamenti di merito che
debbono essere rimessi al giudice di rinvio.
11.- In conclusione, rigettati i primi tre motivi, deve essere
accolto il quarto motivo. Cassata la sentenza impugnata nei limiti
dell’accoglimento, deve rinviarsi al giudice indicato in dispositivo che
procederà alla liquidazione del danno secondo i criteri indicati al capo
che precede ed alla regolazione delle spese del giudizio.

La Corte rigetta i motivi primo, secondo e terzo ed accoglie il
quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento e
rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per
la regolazione delle spese del giudizio.
Così deciso in Roma il 14 giugno 2013
Il Presidente

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