Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2092 del 29/01/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 2092 Anno 2018
Presidente: BIANCHINI BRUNO
Relatore: FALASCHI MILENA

Data pubblicazione: 29/01/2018

Estinzione per non
uso ventennale
SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 26247/12) proposto da:
PESSA LILIANA e VIGNOCCHI GIAN CARLO, rappresentati e difesi, in forza di procura speciale
a margine del ricorso, dall’Avv.to Alessia Fugaro del foro di Pordenone, dagli Avv.ti Alvise
Cecchinato e Susanna Geremia del foro di Venezia e dall’Avv.to Fabio Pontesilli del foro di Roma
ed elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Francesco Orestano n. 21;
– ricorrenti –

contro
FERRARO GERMANO, CARTELLI MARILENA e quali eredi di Ezio Palazzin, MOZZON LUCIANA,
PALAZZIN WALTER e PALAZZIN DEBORAH, rappresentati e difesi dall’Avv.to Emanuele M.
Forner del foro di Venezia, in virtù di procura speciale apposta a margine del controricorso, ed

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elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv.to Giampaolo Balas in Roma, piazza Libertà n.
10;
– controricorrenti –

e contro

– intimata –

avverso la sentenza parziale della Corte d’appello di Venezia n. 72ú depositata il 30 mar g9 2011,
nonché quella definitiva n. 1168 depositata il 22 maggio 2012.
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 16 giugno 2017 dal

Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
uditi gli Avv.ti Fabio Pontesilli, per parte ricorrente, e Emanuele Maria Forner, per parte

resistente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Alessandro

Pepe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 12 maggio e 9 giugno 2003 Germano FERRARO, Marilena
CARTELLI ed Ezio PALAZZIN evocavano, dinanzi al Tribunale di Venezia — Sezione distaccata di
Portogruaro, Gian Carlo VIGNOCCHI e Liliana PESSA e premesso di essere proprietari dei due
appartamenti ubicati al primo piano dell’edificio condominiale sito in località Bibione — Comune di
San Michele al Tagliamento, mentre i convenuti erano proprietari delle altre due unità immobiliari
che formavano il Condominio, precisavano che a favore di questi ultimi i rispettivi titoli di acquisto
della proprietà prevedevano il diritto di erigere sull’area comune due box ad uso garage, diritto di
superficie che tuttavia doveva ritenersi estinto per non uso ventennale, per cui chiedevano —

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PALAZZIN ARIANNA, nella qualità di erede di Ezio Palazzin

accertata l’estinzione — determinarsi le modalità d’uso dell’area scoperta comune in modo tale da
consentire agli attori il pieno e comodo accesso alle porzioni di cortile di proprietà esclusiva.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza dei convenuti, i quali assumevano che le aree in
questione erano di proprietà esclusiva dei proprietari degli appartamenti al piano terra e comunque

usucapione, il giudice adito respingeva le domande attoree.
In virtù di rituale appello interposto dagli originari attori, la Corte di appello di Venezia, nella
resistenza degli appellati, con sentenza non definitiva n. 729 del 2011, accoglieva il gravame e per
l’effetto dichiarava estinto il diritto di superficie sull’area de qua, rimettendo in istruttoria la
controversia quanto all’individuazione dell’uso comune del bene; con la sentenza definitiva, infine,
definiva il tipo di transito e di sosta esercitabile solo con velocipedi e motocicli.
A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che dall’interpretazione della
clausola contenuta in entrambi gli atti di acquisto degli appellati emergeva che la proprietà esclusiva
del sedime doveva essere ravvisato solo per le aree antistanti gli appartamenti posti al piano terra,
mentre per il resto il cortile risultava essere di proprietà comune, precisando che ai proprietari degli
appartamenti al piano terra competeva “il diritto di erigere in fondo al terreno comune due boxes ad
uso garage in costruzione solida”. La medesima precisazione era contenuta anche nei contratti
relativi agli appartamenti posti al primo piano. Concludeva che l’interpretazione letterale dei contratti
faceva intendere che il venditore aveva conferito ai proprietari degli appartamenti al piano terra il
limitato diritto di erigere sull’area “in fondo al terreno comune” due box ad uso garage e non già la
piena proprietà. Ne conseguiva l’accoglimento dell’eccezione di prescrizione del diritto di superficie
ex art. 954, ultimo comma, c.c., per effetto del non uso protratto per venti anni, in quanto il diritto di
superficie costituito nel 1972, non era stato ancora esercitato con la edificazione dei boxes nel
1992, per essere stata la struttura eretta solo nel 2003, in corso di causa. Né condivideva l’assunto
degli appellati circa la non maturazione della prescrizione non consentendo gli strumenti urbanistici

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sollevavano eccezione, spiegando la Pessa in via subordinata, domanda riconvenzionale, di

fino a quel momento la realizzazione dell’opera, operando l’art. 2935 c.c. su un piano diverso
rispetto alla previsione di cui agli artt. 2941 e 2942 c.c.. Aggiungeva che non poteva neanche
trovare accoglimento la domanda riconvenzionale di usucapione: non sussistevano le condizioni
per applicare la fattispecie di cui all’art. 1159 c.c. provenendo il bene dal reale proprietario del bene;

quello della sua dante causa, Vittoria Caverzan, non risultando che quest’ultima avesse ceduto alla
figlia anche l’area in contestazione.
Infine quanto alla eccezione di usucapione sollevata dal Vignocchi, osservava che non vi era prova
di un possesso esclusivo in modo inconciliabile con la possibilità di godimento altrui, né erano
rilevanti in tal senso le prove articolate.
Awerso le indicate sentenze della Corte di appello di Venezia hanno proposto ricorso per
cassazione la PESSA ed il VIGNOCCHI, sulla base di sei motivi, cui hanno replicato con
controricorso il FRERRARO, la CARTELLI e i PALAZZIN — MOZZON in qualità di eredi di Ezio
Palazzin, rimasta intimata la sola erede Arianna Palazzin.
In prossimità della pubblica udienza parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 1362 e
1363 c.c. quanto alla interpretazione della intenzione dei contraenti fornita dalla corte di merito,
nonché della interpretazione complessiva delle clausole contrattuali, non avendo il giudice del
gravame tenuto conto delle mappe catastali o comunque delle planimetrie allegate agli atti
contrattali, che con la volontà negoziale costituivano un tutt’uno, prevedendosi nell’accordo quanto
all’oggetto “il tutto come meglio delineato nella planimetria che controfirmata dalle parti viene
allegata al presente atto”. Dalla planimetria viene qualificata “corte esclusiva” non solo la più grande
area giardino anche la più piccola area parcheggio.

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né di quella ordinaria ex artt. 1158 e 1146 c.c. non potendo la Pessa sommare al proprio possesso

Aggiungono che dagli esiti della c.t.u. emerge che l’accesso carraio a detti scoperti non sarebbe
praticabile senza invadere gli spazi di proprietà esclusiva e questo in coerenza con la originaria
volontà delle parti.
Con il secondo mezzo i ricorrenti nel dedurre il vizio di motivazione circa un fatto controverso

in particolare dalla prioritaria rilevanza delle planimetrie allegati ai contratti d’acquisto, insistono
nelle doglianze formulate con il primo motivo.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e/o la falsa applicazione degli artt.
1369 (espressioni con più sensi), 1366 (interpretazione di buona fede e 1371 (regole finali), oltre a
vizio di motivazione costituito dalla necessità di attribuire alle clausole il significato coerente alla
natura e all’oggetto del contratto a buona fede e realizzante l’equo contemperamento degli interessi
delle parti, nella sostanza contestano la logicità della interpretazione fornita dalla corte di merito.
Con il quarto mezzo i ricorrenti nel denunciare la violazione e/o la falsa applicazione degli
artt. 1362 e 1363 c.c., oltre a vizio di motivazione, circa il fatto controverso e decisivo costituito
dall’avere i proprietari degli appartamenti al piano terra utilizzato le aree in contestazione per il
parcheggio delle loro auto sin dal formarsi del condominio, circostanza che tendevano a dimostrare
con la prova articolata non ammessa, mentre è stata esclusa nonostante gli stessi avessero
effettivamente utilizzato le aree in questione in via esclusiva per il parcheggio delle auto ed anche
per altro.
I primi quattro motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente, in quanto tutti vertono, seppure sotto
diversi profili, essenzialmente sull’interpretazione dei contratti di compravendita degli appartamenti
ed all’esatta identificazione del relativo oggetto, anche quanto alla rilevanza delle prove articolate
sul punto. Essi non possono trovare seguito.
In proposito occorre osservare che, come è principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità,
l’interpretazione degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice

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e decisivo per il giudizio costituito dalla necessità di interpretazione sistematica delle clausole, ed

del merito: tale accertamento è incensurabile in Cassazione se sorretto da motivazione sufficiente
ed immune da vizi logici o da errori di diritto e sia il risultato di un’interpretazione condotta nel
rispetto delle norme di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c..
L’individuazione della volontà contrattuale – che, avendo ad oggetto una realtà fenomenica ed

sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì quando siano inficiate da
contraddittorietà logica o giuridica.
Pertanto in questa sede di legittimità la censura dell’interpretazione data dai giudici di merito ai
contratti ed alle clausole che li compongono, può essere formulata sotto due distinte angolazioni:
denunciando l’errore di diritto sostanziale per non essere state rispettate le regole di ermeneutica
dettate dagli artt. 1362 e seguenti c.c.; ovvero investendo la coerenza formale del ragionamento
attraverso il quale la sentenza impugnata è pervenuta a ricostruire la comune intenzione delle parti.
Questa Corte ha anche più volte rilevato che non è sindacabile in sede di legittimità la scelta da
parte del giudice del merito del mezzo ermeneutico più idoneo all’accertamento della comune
intenzione delle parti, qualora sia stato rispettato il principio del gradualismo, secondo il quale deve
farsi ricorso ai criteri interpretativi sussidiali solo quando i criteri principali (significato letterale e
collegamento tra le varie clausole contrattuali) siano insufficienti all’individuazione della comune
intenzione stessa.
Spetta in particolare al giudice del merito valutare il contenuto del contratto al fine di identificarne
l’oggetto: il risultato di tale indagine è sindacabile in Cassazione solo sotto il profilo della logicità e
non apparenza della motivazione (ex multis, Cass. n. 9215 del 2004, anche se con riferimento
all’art. 360 n. 5 c.p.c. nella formulazione anteriore alla riforma del 2012; ma già, Cass. n. 615 del
1967; Cass. n. 647 del 1970 e Cass. n. 758 del 1979).
Nel caso in esame l’impugnata sentenza è ineccepibile: la corte di merito ha proceduto in modo
corretto alla interpretazione del contenuto dei contratti in questione con riferimento all’esatta

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obiettiva, si risolve in un accertamento di fatto – è censurabile non già quando le ragioni poste a

individuazione del contenuto del diritto trasferito ai proprietari degli appartamenti posti al piano terra
sull’area posta “in fondo al terreno comune”, ossia della limitata facoltà loro riconosciuta di erigere
due box ad uso garage, compatibile con il diritto di superficie e non già con la piena proprietà,
tenendo conto delle varie clausole e richiamando espressamente la previsione contenuta anche

Il giudice di secondo grado ha valutato il significato letterale e logico delle espressioni adoperate
dalle parti giungendo – come sopra riportato nella parte narrativa che precede – alla conclusione: a)
che – al contrario di quanto sostenuto dai Pessa – Vignocchi — la proprietà esclusiva del sedime
doveva essere rawisato solo per le aree antistanti gli appartamenti posti al piano terra (laddove
veniva fatto riferimento alla cessione ‘in proprietà esclusiva’), mentre per il resto il cortile risultava
essere di proprietà comune; b) che — sempre contrariamente a quanto dedotto dai ricorrenti — ai
proprietari degli appartamenti posti al piano terra competeva “il diritto di erigere in fondo al terreno
comune due boxes ad uso garage in costruzione solida”.
La corte d’appello, con incensurabile indagine in fatto condotta attraverso tutti gli elementi
desumibili dal contesto generale degli atti negoziali in esame ha svolto coerentemente il compito di
determinare il contenuto dei contratti di compravendita in questione, accertando che da essi era
desumibile l’esatta individuazione dell’oggetto di tali contratti ed indicando minuziosamente le
ragioni poste a base della decisione adottata. Le argomentazioni al riguardo svolte nella sentenza
impugnata sono esaurienti, logicamente connesse tra di loro e tali da consentire il controllo del
processo intellettivo che ha condotto alla indicata conclusione. Il procedimento logico-giuridico
sviluppato nell’impugnata decisione è ineccepibile, in quanto coerente e razionale, ed il giudizio di
fatto in cui si è concretato il risultato dell’interpretazione del contenuto dei detti contratti è fondato
su un’indagine condotta nel rispetto dei comuni canoni di ermeneutica e sorretto da motivazione,
adeguata ed immune dai vizi denunciati.

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nei contratti relativi alla vendita degli appartamenti posti al primo piano.

In altri termini, nella sentenza impugnata sono evidenziati i punti salienti della decisione e risulta
chiaramente individuabile la “ratio decidendi” adottata. A fronte delle coerenti argomentazioni poste
a base della conclusione cui è pervenuto il giudice di secondo grado, è evidente che le censure in
proposito mosse dai ricorrenti – sotto opposti e contrastanti profili – devono ritenersi rivolte non alla

e, cioè, all’interpretazione del contratto e delle clausole contrattuali in modo difforme da quello
auspicato.
Deve pertanto ritenersi corretta l’operazione ermeneutica compiuta dalla corte di merito, la quale
non è incorsa nella denunciata violazione dei criteri interpretativi di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c.
ed anche se i ricorrenti denunciano la violazione delle citate norme codicistiche, svolgendo al
riguardo generiche argomentazioni, la rilevata coerente applicazione dei canoni interpretativi da
parte della corte territoriale, rende manifesto che è stato investito essenzialmente il “risultato”
interpretativo raggiunto, il che è inammissibile in questa sede.
La Corte territoriale ha aggiunto, altresì, che le circostanze articolate con i capitoli di prova non
potevano costituire dimostrazione del possesso esclusivo ad usucapionem dell’area de qua in
quanto, ai fini del possesso utile all’usucapione rileva un profilo di fatto e non le mere previsioni di
un contratto. Tanto chiarito, il giudice di appello ha correttamente negato valore, ai fini della prova
del possesso esclusivo dell’area in questione alla esistenza di trattative precontrattuali ovvero
all’opinione degli altri condomini circa la natura del diritto esercitato dai ricorrenti, peraltro in
considerazione dell’uso degli immobili limitato solo a taluni periodi dell’anno, trattandosi — come
affermato dall’appellato stesso — di ‘casa vacanza’.
Il vizio di violazione o falsa applicazione di norme di diritto – deducibile come motivo di ricorso per
cassazione osservando il principio dell’indicazione analitica delle ragioni di doglianza – deve essere
denunciato mediante una circostanziata critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel
risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia (tra le tante, Cass. n. 10385 del 2005).

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base del convincimento del giudice, ma, inammissibilmente in questa sede, al convincimento stesso

In particolare, quanto alla prova dell’usucapione questa Corte ha ripetutamente affermato che
l’accertamento relativo al possesso “ad usucapionem”, alla rilevanza delle prove ed alla
determinazione del decorso del tempo utile al verificarsi dell’usucapione è devoluto al giudice del
merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua ed immune da

Con il quinto mezzo i ricorrenti, nel dedurre un vizio di motivazione, denunciano quale
fatto decisivo per il giudizio la circostanza dell’avere i proprietari degli appartamenti al piano
terra posseduto le aree in contestazione in modo pacifico, pubblico, continuo ed ininterrotto da
oltre un ventennio, per cui lamentano la mancata ammissione delle prove articolare che proprio
dette circostanze andavano a dimostrare.

E’ priva di pregio anche la quinta censura.

Risulta imprescindibile il riferimento all’insegnamento impartito con la sentenza n. 2944 del
9.4.1990 di questa Corte, alla cui stregua, in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un
mutamento della detenzione in possesso, nè una interversione del possesso nei rapporti tra i
comproprietari (invero, alla regola della interversio possessionis, intesa in senso propriamente
tecnico, è posta una deroga dall’art. 1102 c.c., nell’ipotesi di compossesso, dato che il
compossessore se intende estendere il suo possesso esclusivo sul bene comune, non ha
alcuna necessità di fare opposizione al diritto dei condomini, così come invece previsto nel
caso di vera e propria interversio possessionis, ma è sufficiente solo che compia “atti idonei a
mutare il titolo del suo possesso”: a tal specifico riguardo cfr. Cass. 15 novembre 1973 n.
3045), ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un
comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi, per un verso,
l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene
e, per altro verso, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera

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vizi logici (v. ex multis Cass. n. 4035 del 2007; Cass. n. 1899 del 2011, in motivazione).

esclusiva, per cui ove possa sussistere un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale,
il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia
stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva.

considerazione dell’uso dell’immobile, limitato solo a taluni periodi dell’anno” non risultava
l’esistenza di elementi stabili e permanenti, quali recinzioni, cartelli od altro, che rendessero
fattivamente impossibile l’utilizzazione dell’area de qua agitur da parte di terzi, essendo
dirimente il fatto che parte appellata vanta il possesso di uno spazio condominiale del quale
aveva l’uso in qualità di comproprietario e non come mero possessore, per cui tale spazio non
può essere usucapito.

Tale rilievo, si badi, è più che sufficiente, ex se, a dar ragione del difetto di univocità della
rappresentazione dell’intenzione dei Pessa – Vignocchi di possedere la porzione del cortile in
maniera esclusiva. Più esattamente, nel segno dei menzionati insegnamenti n. 2944 del 9
aprile 1990 e n. 3045 del 15 novembre 1973 di questa Corte, vi è da reputare, alla luce delle
specifiche circostanze del caso concreto, che lungo tutto l’arco temporale all’esito del quale si
assume maturata l’usucapione, l’intenzione dei Pessa – Vignocchi di possedere in via
esclusiva la porzione del cortile limitrofa all’area annessa ai loro appartamenti non si è palesata
in forme inequivoche agli altri condomini e non è sicuramente questa la sede per rivisitare
detto giudizio in ordine alle circostanze di fatto alla stregua della cui valutazione la corte
distrettuale ha concluso l’insussistenza di possesso ad usucapionem. Invero, la deduzione di
un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al giudice di legittimità non il
potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì
la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico –

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In questi termini va rilevata la decisività dell’affermazione della corte di merito secondo cui “in

formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito (cfr. Cass. 9 agosto 2007 n. 17477;
Cass. 7 giugno 2005 n. 11789).

Con il sesto ed ultimo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e/o la falsa

della prescrizione per non uso del ritenuto diritto di superficie costituito dall’impossibilità
secondo gli strumenti urbanistici locali di erigere i boxes, ritenuto inconferente dalla corte
territoriale, mentre trattandosi di impossibilità giuridica a realizzare l’opera avrebbe dovuto
essere considerata.

Parimenti infondata è l’ultima censura.

Questa Corte in due casi abbastanza analoghi a quello che qui si decide ha affermato il
principio — che si condivide e a cui va data continuità — secondo il quale il decorso del termine
di prescrizione per non uso del diritto di superficie non può essere condizionato da disposizioni
urbanistiche impeditive del diritto di edificazione e che la sospensione di detto decorso può
“verificarsi soltanto nei casi espressamente e tassativamente previsti negli artt. 2941 e 2942
c.c., non estensibili a fatti materiali e ragioni giuridiche non contemplate da dette norme …”
(Cass. 20 luglio 1987 n. 6364, di recente riaffermato con la sentenza 12 marzo 2010 n. 6046).
Risulta, dunque, vano richiamarsi al principio posto dall’art. 2935 c.c., secondo cui la
prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere esercitato, per sostenere
che nel caso di specie, non consentendo all’epoca gli strumenti urbanistici il rilascio da parte
della P.A. del permesso di costruire, il diritto di superficie dei ricorrenti non potesse essere
esercitato e, quindi, la relativa prescrizione non potesse cominciare a decorrere. Infatti, nessun
elemento in atti autorizza a ritenere che le parti abbiano inteso comunque subordinare
l’efficacia del negozio costitutivo del diritto di superficie in favore dei Pessa – Vignocchi al
verificarsi dell’awenimento futuro ed incerto costituito dall’emanazione di futuri strumenti

il

applicazione dell’art. 2935 c.c., oltre a vizio di motivazione, quanto al rilievo della sospensione

urbanistici, per cui deve in ogni caso escludersi che nel caso in esame la prescrizione non
abbia iniziato il suo corso sin dal momento della costituzione del diritto di superficie.

In conclusione il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;
condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione in favore
dei controricorrenti, che liquida in complessivi €. 2.700,00, di cui €. 200,00 per esborsi, oltre
alle spese forfettarie e agli accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2″ Sezione Civile, il 16 giugno 2017.

Il Presidente

Il Consigliere stensore
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DEPOSTO CANCILLENA
Roma,

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

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