Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20919 del 12/09/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 20919 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MAMMONE GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 10969-2011 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA (c.f. 97103880585), elettivamente domiciliata
in Roma, p.zza Mazzini n. 27, presso lo studio Trifirò 8c Partners,
rappresentata e difesa dall’Avv. Salvatore Trifirò per delega a margine
del ricorso;

– ricorrente contro
PIANURA MONICA (c.f. PNRMNC73T54G224Y), elettivamente
domiciliata in Roma in via Gramsci n. 20, presso lo studio dell’Avv.
Arnaldo Casamassima, rappresentata e difesa dall’Avv. Maurizio
Riommi per delega a margine del controricorso;
– COlitfOliCOITC1Ite –

avverso la sentenza n. 271/2010 della Corte d’appello di Venezia,
depositata in data 20.01.11;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14.06.2013 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;
udito il P.M. nella persona del Sostituto Procuratore generale dott.
Giulio Romano.
Ritenuto in fatto e diritto

6581

Data pubblicazione: 12/09/2013

22. Poste Italiane c. Pianura Monica (10969/11)

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1.- Pianura Monica, con ricorso al Giudice del lavoro di Padova
chiedeva che fosse dichiarato nullo il termine apposto a due contratti a
tempo determinato con i quali era stata assunta alle dipendenze di
Poste Italiane s.p.a., per i periodi rispettivamente 9.02.98-30.04.98 e
5.11.98-9.04.99 in entrambi i casi per “esigenze eccezionali conseguenti
alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali
in corso …” (ai sensi dell’art. 8 del ccril 26.11.94, come integrato
dall’accordo sindacale 25.9.97).
2.- Accolta la domanda con riferimento ad entrambi i contratti e
proposto appello da Poste Italiane s.p.a., la Corte d’appello di Venezia
con sentenza 20.01.11 rigettava l’impugnazione. La Corte rilevava che
— nell’ambito del sistema dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, che
aveva delegato le oo.ss. a individuare nuove ipotesi di assunzione a
termine con la contrattazione collettiva — i contratti erano stati stipulati
in forza dell’art. 8 del CCNL Poste 26.11.94, come integrato
dall’accordo 25.9.97, per fare fronte ad esigenze eccezionali connesse
alla fase di ristrutturazione dell’azienda. Rilevato che la norma
collettiva consentiva l’assunzione per detta causale solo fino al 30.4.98,
riteneva illegittimo il termine per entrambi i contratti; per il secondo in
quanto apposto per periodo successivo al 30.04.98 (5.11.98-9.04.99),
per il primo, pur apposto per un periodo anteriore (9.02-30.04.98), in
quanto nell’atto scritto non era data alcuna concreta indicazione delle
ragioni della stipulazione sottese alla previsione, astratta e di natura
programmatica, della disposizione collettiva.
3.- Avverso questa sentenza Poste Italiane proponeva ricorso
per cassazione. Rispondeva con controricorso Pianura. Il consigliere
relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c., che è stata
comunicata al Procuratore generale e notificata ai difensori costituiti
assieme all’avviso di convocazione dell’adunanza della camera di
consiglio. Poste Italiane ha depositato memoria.
4.- I motivi proposti dalla soc. Poste possono essere così
riassunti:
4.1.- si sostiene, sotto il duplice profilo della violazione di legge
e della carenza di motivazione, che il rapporto di lavoro avrebbe
dovuto essere ritenuto risolto per mutuo consenso, costituendo
l’ampio lasso di tempo trascorso tra la cessazione del rapporto e
l’offerta della prestazione indice di disinteresse del lavoratore a
sostenere la nullità del termine, di modo che erroneamente il giudice di
merito avrebbe affermato che l’inerzia non costituisce comportamento
idoneo a rappresentare la carenza di interesse al ripristino del rapporto
(primo e secondo motivo);
4.2. violazione dell’art. 23 della legge n. 56 del 1987, dell’art. 8
del ccn1 26.11.94 e dell’accordo integrativo 25.9.97, nonché degli

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accordi successivi 16.1.98 e 27.4.98 in connessione con l’art. 1362 c.c.;
violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale (art. 1362 e segg. c.c.)
in relazione all’interpretazione accolta dal giudice di merito dell’art. 8
del ccnI 26.11.94 e dell’accordo integrativo 25.9.97. In particolare, il
giudice di merito non avrebbe considerato che gli accordi successivi a
quello del 25.9.97 avevano valenza ricognitiva della sussistenza delle
condizioni legittimanti in fatto il ricorso al contratto a termine, senza
che fosse necessario esplicitare ulteriori circostanze fattuali (motivo
terzo);
4.3.- violazione dell’art. 1227 e carenza di motivazione,
ritenendo violati i principi in materia di messa in mora e corrispettività
delle prestazioni, in quanto dall’accertata nullità deriva la prosecuzione
del rapporto, mentre l’obbligo retributivo del datore decorre dalla data
di messa in mora (motivo quarto);
4.4.- Poste Italiane conclude il ricorso richiamando l’art. 32 della
legge 4.11.10 n. 183, che fissa specifici criteri di risarcimento del danno
connesso alla conversione del contratto di lavoro a tempo determinato
per nullità del termine, con applicazione diretta ai giudizi pendenti alla
data di entrata in vigore (quinto motivo).
5.- Quanto ai primi due motivi (risoluzione per mutuo
consenso, nn. 4.1-4.2) la giurisprudenza della Corte di cassazione (v.
per tutte Cass. 17.12.04 n. 23554 e numerose altre seguenti) ha ritenuto
che “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza
di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato (sul presupposto
dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale scaduto)
per la configurabilità di una risoluzione del rapporto per mutuo
consenso è necessario che sia accertata — sulla base del lasso di tempo
trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché,
alla stregua delle modalità di tale conclusione, del comportamento
tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative — una chiara e
certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente
fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della
portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di
merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se
non sussistono vizi logici o errori di diritto”.
La Corte d’appello ha rilevato che la società appellante,
processualmente a tanto onerata, ha omesso di fornire elementi utili a
consentire la prospettata valutazione, non ritenendo sufficiente a
rendere certo il consenso del lavoratore alla cessazione del rapporto la
circostanza che lo stesso non avesse immediatamente intrapreso
l’azione giudiziaria (essendo l’attesa ammissibile purché contenuta nei
limiti prescrizionali) ed avesse intrapreso temporanee occupazioni

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lavorative. Trattasi di considerazioni di merito congruamente motivate,
come tali non censurabili sul piano logico.
6.- Il terzo motivo è fondato quanto al primo contratto ed
infondato quanto al secondo. In forza della giurisprudenza di questa
Corte ritiene che l’art. 23 della 1. 28.2.87 n. 56, nel demandare alla
contrattazione collettiva la possibilità di individuare — oltre le
fattispecie tassativamente previste dall’art. 1 della 1. 18.4.62 n. 230
nonché dall’art. 8 bis del d.l. 29.1.83 n. 17, conv. dalla 1. 15.3.83 n. 79 —
nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di
lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei
sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di
figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per
legge (v. S.u. 2.3.06 n. 4588).
Dato che in forza di tale delega le parti sindacali hanno
individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui
all’accordo integrativo del 25.9.97, la giurisprudenza ritiene corretta
l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto
accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo
sottoscritto in data 16.1.98, ha ritenuto che con tali accordi le parti
abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31.1.98 (e poi
in base al secondo accordo attuativo, fino al 30.4.98), della situazione
di fatto integrante le esigene eccqionali menzionate dal detto accordo
integrativo.
Consegue che per far fronte alle esigenze derivanti da tale
situazione l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad
assunzione di personale straordinario con contratto tempo e che
l’esistenza di dette esigenze costituisse presupposto essenziale della
pattuizione negoziale; da ciò deriva che deve escludersi la legittimità
dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di
presupposto normativo. In altre parole, dato che le parti collettive
avevano raggiunto originariamente un’intesa priva di teitnine ed
avevano successivamente stipulato accordi attuativi che avevano posto
un limite temporale alla possibilità di procedere con assunzioni a
termine, fissato inizialmente al 31.1.98 e successivamente al 30.4.98,
l’indicazione di tale causale nel contratto a termine legittima
l’assunzione solo ove il contratto scada in data non successiva al
30.4.98 (v., exp/urimis, Cass. 23.8.06 n. 18378).
7.- La giurisprudenza ha, altresì, ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di
merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo 18.1.01 in quanto stipulato
dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il
diritto del soggetto si era già perfezionato. Ammesso che le parti
avessero espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi

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precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a
termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25.9.97 (scaduto in
forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque
conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già
perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il
potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica
(previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la
disciplina nel d.lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la
stipulazione di contratti a termine non più legittimi per effetto della
durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12.3.04 n. 5141).
8.- Conseguentemente, per i contratti a tempo determinato
stipulati per far fronte ad “esigenze eccezionali … ecc.”, l’apposizione
del termine è legittima — senza che nell’atto scritto sia necessaria alcuna
ulteriore specificazione se non il richiamo alla fattispecie
contrattualmente fissata dalle parti stipulanti — solo nel caso che i
contratti scadano (o comunque siano stipulati) entro il limite temporale
del 30.4.98. L’apposizione del termine è, invece, illegittima — in quanto
non rientrante nel complesso legislativo-collettivo costituito dall’art. 23
della legge 28.2.87 n. 56 e dalla successiva normazione collettiva che
consente la deroga alla legge n. 230 del 1962 — ove i contratti siano
stipulati per periodo successivo al 30.04.98. Di conseguenza, il motivo
va accolto per il primo contratto (periodo 9.92-30.04.98) e rigettato per
il secondo (periodo 5.11.98-9.04.99).
9.- Con il quinto motivo la ricorrente chiede l’applicazione
dell’art. 32, c. 5, della legge 4.11.10 n. 183 e la liquidazione indennitaria
del risarcimento del danno, evidenziando che il successivo c. 7 prevede
che detta disposizione trovi applicazione anche ai giudizi pendenti alla
data dell’entrata in vigore della legge.
La giurisprudenza della Corte di cassazione ritiene che tale
disciplina, costituente nuova regolazione del rapporto controverso, sia
applicabile ai giudizi pendenti in grado di legittimità, a condizione che
la Corte sia al riguardo investita da un valido e pertinente motivo di
impugnazione (v. Cass. 28.01.11 n. 2112, 31.01.12 n. 1409 e 2.03.12 n.
3305), in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui
perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8.05.06
n. 10547 e 27.02.04 n. 4070). Tale condizione è realizzata nel caso di
specie, atteso che l’applicazione della disciplina in questione è fatta
oggetto di uno specifico motivo, il quinto, con il quale viene
denunziata la difformità del decisum dal nuovo criterio di risarcimento
del danno previsto dalla richiamata legge n. 183 del 2010.
10.- Tanto rilevato, deve considerarsi che la disposizione dell’art.
32 in questione (ritenuta conforme al dettato costituzionale dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 303 del 2011) al c. 5 prevede che

Per questi motivi
La Corte così provvede:
– rigetta i motivi primo e secondo; accoglie il terzo quanto al
primo contratto e rigetta lo stesso motivo quanto al secondo contratto;
accoglie il quinto motivo, assorbito il quarto;
– cassa la sentenza impugnata in relazione all’accoglimento e,
provvedendo nel merito, rigetta la domanda quanto al contratto
stipulato per il periodo 9.2-30.04.98; ‘,( eitteLka/
– rinvia alla Corte d’appello di i~a in diversa composizione
per la determinazione del risarcimento del danno e la regolazione delle
spese del giudizio.
Così deciso in Roma il 14 giugno 2013
Il Presidente

“nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice
condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo
un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di
2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di
fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 della 1. 15.7.66 n. 604”.
Lo stesso art. 32, al successivo c. 6, prevede, inoltre, che “in presenza
di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali,
stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l’assunzione, anche
a tempo indeterminato, di lavoratori già occupati con contratto a
termine nell’ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo
dell’indennità fissata dal c. 5 è ridotto a metà”.
La quantificazione del risarcimento con questi criteri impone
accertamenti di merito che debbono essere rimessi al giudice di rinvio.
11.- In conclusione, rigettati i primi due motivi, accolto il terzo
quanto al primo contratto, rigettato lo stesso quanto al secondo
contratto, accolto il quinto motivo con assorbimento del quarto, la
sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti dell’accoglimento.
Conseguentemente deve provvedersi nel merito quanto al primo
contratto, rigettando al riguardo la domanda, e rinviarsi al giudice
indicato in dispositivo che procederà alla liquidazione del danno
secondo i criteri indicati al capo che precede ed alla regolazione delle
spese del giudizio.

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