Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20918 del 12/09/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 20918 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 16572-2011 proposto da:
PALIANI PIERFRANCESCO PLNPFR60A09L719K, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PREFETTI 26, presso lo
studio dell’avvocato °RESTANO SALVATORE, che lo
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente 2013
2399

contro

REVLON S.P.A. 00462590589, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

4

in ROMA, VIA ADOLFO RAVA’ 106, presso lo studio
dell’avvocato COMITO FULVIO, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 12/09/2013

difende, giusta delega in atti;
– con troricorrente –

avverso la sentenza n. 10585/2010 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/02/2011 R.G.N.
200/2010;

udienza del 02/07/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato ORESTANO SALVATORE;
udito l’Avvocato COMITO FULVIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Udienza del giorno 2 luglio 2013 — Aula B
n. 8 del ruolo — RG n. 16572/11
Presidente: Roselli – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata respinge l’appello di Pierfrancesco Paliani avverso la
sentenza del Tribunale di Roma n. 18098 del 14 dicembre 2009, di rigetto della domanda del Paliani
volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo
oggettivo, intimatogli dalla datrice di lavoro REVLON s.p.a., con le consequenziale pronunce di cui
all’art. 18 St. lav., nonché il risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale causato dalle
modalità di intimazione del recesso, quantificato in euro 50.000,00.
La Corte d’appello di Roma, per quel che qui interessa, precisa che:
a) è corretta la valutazione complessiva delle deposizioni testimoniali effettuata dal giudice di
primo grado, in quanto essa ha consentito di evidenziare la sussistenza di una crisi economica che
ha colpito l’azienda nei tre anni precedenti il licenziamento del Paliani;
b) a fronte di tale emergenze — documentate dagli estratti dei bilanci della società degli anni
2005, 2006 e 2007 — non ha alcun rilievo, nel presente giudizio, la produzione di un utile del 2,98%
da parte del ricorrente nel proprio settore negli anni 2006 e 2007, perché ai fini della sussistenza di
una condizione di oggettiva difficoltà finanziaria, tale da giustificare il licenziamento, quel che
conta è il fatturato dell’intera impresa non quello del settore di appartenenza del lavoratore
licenziato, tanto più che, per far fronte alla crisi, l’azienda nell’esercizio della propria
discrezionalità può scegliere anche di ridurre i costi in settori che sono di per sé produttivi e, quindi,
non richiedono particolare attenzione;
c) dalla prova testimoniale esperita in primo grado — e, in particolare, dalla deposizione del
teste lacovissi — è emerso con chiarezza che i compiti e le responsabilità attribuite al Paliani, per
ridurre i costi, sono stati affidati allo Iacovissi senza compensi ulteriori;
d) non può essere attribuita, invece, credibilità alle dichiarazioni rese dalla teste Maria Letizia
Campopiano, da considerare irrilevanti ai fini del giudizio e generiche sia con riguardo alla
situazione di “costante crescita” dell’azienda (riferita dalla Campopiano, ma smentita dai bilanci
della REVLON, come si è detto) sia con riferimento alla riferita assegnazione alla dipendente
Francesca Fredella — assunta nel 2007, poco prima del licenziamento del Paliani — dei compiti svolti
da quest’ultimo, visto che si tratta di circostanza priva di riscontri oggettivi, mentre quel che è certo
è che la Fredella è stata assunta con semplici mansioni di impiegata;
e) in ordine alla scelta del dipendente edalicenziare, è stato appurato che i dipendenti con
qualifica di Quadro, all’epoca, erano quattroVeli questi sono stati licenziati il Paliani e la
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Campopiano, mentre sono rimasti in servizio Vincenzo Iacovissi (al quale sono state attribuite le
mansioni del Paliani) e Alessandro Albergotti;

O è stato documentato che quest’ultimo aveva un’anzianità di servizio maggiore del Paliani,

g) sono anche infondate le censure sia di violazione dell’obbligo di repechage sia di mancato
assolvimento dell’onere probatorio al riguardo da parte della REVLON, in quanto è stata accertata
l’impossibilità di adibizione del Paliani in mansioni equivalenti per inesistenza di posizioni di
Quadro in ambito aziendale — come indicato nella lettera di licenziamento — e, inoltre, il ricorrente,
fino al licenziamento, non ha mai manifestato la disponibilità ad essere adibito a mansioni di
contenuto inferiore rispetto a quelle rivestite fino al momento del recesso;
h) quanto alle nuove assunzioni esse hanno riguardato solo due dipendenti, entrambe assunte
con la qualifica di impiegate — una otto mesi prima del licenziamento del ricorrente e l’altra dopo la
conclusione del primo grado del presente giudizio — pertanto non risulta disattesa la ragione
giustificativa del recesso del Paliani, consistente nella necessità di riduzione dei costi di produzione
per far fronte alla crisi dell’azienda, non essendo più stato assunto alcun dipendente con la qualifica
del ricorrente.
2.— Il ricorso di Pierfrancesco Paliani, illustrato da memoria, domanda la cassazione della
sentenza per due motivi; resiste, con controricorso, la REVLON s.p.a.
MOTIVI DELLA DECISIONE

I — Sintesi dei motivi di ricorso
1.— Con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, dell’art. 2697 cod. civ.
nonché degli artt. 116 e 246 cod. proc. civ. Erronea e incongrua interpretazione delle prove raccolte
in prime cure; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione su punti
decisivi della controversia.
Si sottolinea che Pierfi-ancesco Paliani,quando gli è stato intimato il licenziamento in oggetto
(4 gennaio 2008) l rivestiva il ruolo di “direttore vendite” della REVLON s.p.a. su tutto il territorio
nazionale, con qualifica di Quadro. Alla base del recesso datoriale, per giustificato motivo
oggettivo, la datrice di lavoro (anche nella lettera del 18 gennaio 2008) ha sempre posto ragioni
apodittiche e generiche “inerenti all’attività produttiva e alla organizzazione del lavoro” e
all’impossibilità di attribuzione di una posizione equivalente a quella occupata di cui si era disposta
la soppressione, “il tutto in un contesto aziendale che impone riduzione dei costi e in un quadro di
progressivo mutamento della struttura di mercato”.
Non ha, quindi, la REVLON adempiuto l’onere probatorio posto a suo carico di dimostrare la
sussistenza e la veridicità incontrovertibili del motivo del licenziamento, ai sensi dell’art. 5 della
legge n. 604 del 1966.
2

sicché si deve considerare legittima e fattibile la scelta di licenziare il lavoratore con minore
anzianità di servizio, per giustificato motivo oggettivo;

Ne consegue che, dovendo considerarsi sfornita di prova la crisi globale dell’impresa, anche
la ininfluenza attribuita dalla Corte d’appello all’incremento del fatturato — pari a circa il 3% —
dovuto all’apporto del ricorrente appare basarsi su elementi generici e giustificata da una
motivazione palesemente illogica e incongrua.
Lo stesso vale per le dichiarazioni del teste Iacovissi in merito alla situazione finanziaria della
società così come per l’esclusione di credibilità della testa Campopiano, disposta in violazione
dell’art. 246 cod. proc. civ. e motivata in modo generico e incongruo.
2.— Con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della legge n. 604 del 1966, dell’art. 2697 cod. civ.
nonché degli artt. 116 e 246 cod. proc. civ. Erronea e incongrua interpretazione delle prove raccolte
in prime cure; b) in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., insufficiente motivazione su punti
decisivi della controversia.
La incongruità già evidenziata nel precedente motivo si riscontra, ad avviso del ricorrente,
anche nell’esame delle risultanze della prova testimoniale esperita in primo grado a proposito
dell’affidamento, dopo il licenziamento, delle mansioni del Paliani ad altri dipendenti.
In particolare, la Corte d’appello con una valutazione più completa della prova testimoniale,
avrebbe potuto accertare che le mansioni del ricorrente sono state affidate in toto alla neo-assunta
Fredella, senza che assuma alcun rilievo, ai fini del presente giudizio, che tale dipendente sia stata
assunta con la qualifica di impiegata.
Inoltre, la Corte territoriale non ha attribuito il dovuto rilievo a tale ultima circostanza ai fini
dell’esame della censura di violazione dell’obbligo di repechage da parte del datore di lavoro.
— Esame delle censure
3.- I due motivi del ricorso — da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione —
non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.
3.1.- Com’è noto, in base all’art. 3 della legge n. 604 del 1966, il licenziamento per
giustificato motivo oggettivo è determinato “da ragioni inerenti all’attività produttiva,
3

Infatti, la crisi economica dell’azienda addotta in giudizio come ragione del licenziamento — e
considerata dalla Corte romana adeguatamente provata — non solo non corrisponde alle ragioni
poste a giustificazione del licenziamento nella relativa comunicazione — consistenti nella esigenza
di riorganizzazione dell’azienda per ottenere una riduzione dei costi — ma non è stata neppure
adeguatamente dimostrata, visto che, a tal fine, non è sufficiente la produzione dei bilanci societari,
oltretutto, nella specie, contestati. Né va omesso di considerare che la REVLON dopo aver
depositato una documentazione palesemente incompleta, in seguito all’ordine di esibizione emesso
dal giudice di primo grado, ha esibito una “mole inconsultabile di faldoni” limitandosi a depositare
solo alcuni estratti e così, di fatto, impedendo al Tribunale e al Paliani di effettuare l’esame della
documentazione meramente esibita e di riscontrarne la corrispondenza con quella prodotta in
giudizio.

all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”. Il successivo art. 5 stabilisce che
spetta al datore di lavoro l’onere della prova della sussistenza del giustificato motivo di
licenziamento.

a) il motivo oggettivo di licenziamento determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva —
nel cui ambito rientra anche l’ipotesi di riassetto organizzativo attuato per la più economica gestione
dell’impresa — è rimesso alla valutazione del datore di lavoro, senza che il giudice possa sindacare
la scelta dei criteri di gestione dell’impresa, atteso che tale scelta è espressione della libertà di
iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost., mentre al giudice spetta il controllo della reale
sussistenza del motivo addotto dall’imprenditore, sicché non è sindacabile nei suoi profili di
congruità ed opportunità la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del settore
lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente licenziato, sempre che risulti
l’effettività e la non pretestuosità del riassetto organizzativo operato, non essendo neanche
necessario, ai fini della configurabilità del giustificato motivo, che vengano soppresse tutte le
mansioni in precedenza attribuite al lavoratore licenziato, ben potendo le stesse essere solo
diversamente ripartite ed attribuite (vedi, fra le molte: Cass. 23 ottobre 2001, n. 13021; Cass. 4
novembre 2004, n. 21121; Cass. 14 giugno 2005, n. 12769; Cass. 2 ottobre 2006, n. 21282; Cass. 3
novembre 2010, n. 24235; Cass. 11 luglio 2011, n. 15157).
b) il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, ex art. 3 della legge 15 luglio
1996, n. 604, è determinato non da un generico ridimensionamento dell’attività imprenditoriale, ma
dalla necessità di procedere alla soppressione del posto o del reparto cui è addetto il singolo
lavoratore, soppressione che non può essere meramente strumentale ad un incremento di profitto,
ma deve essere diretta a fronteggiare situazioni sfavorevoli non contingenti; il lavoratore ha quindi
il diritto che il datore di lavoro (su cui incombe il relativo onere) dimostri la concreta riferibilità del
licenziamento individuale ad iniziative collegate ad effettive ragioni di carattere produttivoorganizzativo, e non ad un mero incremento di profitti, e che dimostri, inoltre, l’impossibilità di
utilizzare il lavoratore stesso in altre mansioni equivalenti a quelle esercitate prima della
ristrutturazione aziendale (vedi, per tutte: Cass. 26 settembre 2011, n. 19616);
c) in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche,
organizzative e produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri
di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al
quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari,
l’effettività delle ragioni che giustificano l’operazione di riassetto (Cass. 14 maggio 2012, n. 7474);
d) il licenziamento per motivo oggettivo determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva
è scelta riservata all’imprenditore, quale responsabile della corretta gestione dell’azienda anche dal
punto di vista economico ed organizzativo, sicché essa, quando sia effettiva e non simulata o
pretestuosa, non è sindacabile dal giudice quanto ai profili della sua congruità ed opportunità (Cass.
22 agosto 2007, n. 17887);
4

Con riguardo all’interpretazione delle suddette disposizioni, in base a consolidati e condivisi
orientamenti di questa Corte:

f) in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni tecniche,
organizzative e produttive, compete al giudice – che non può, invece, sindacare la scelta dei criteri
di gestione dell’impresa, espressione della libertà di iniziativa economica tutelata dall’art. 41 Cost. il controllo in ordine all’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro, in ordine al
quale il datore di lavoro ha l’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari,
l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni diverse da quelle
precedentemente svolte; tale prova, tuttavia, non deve essere intesa in modo rigido, dovendosi
esigere dallo stesso lavoratore che impugni il licenziamento una collaborazione nell’accertamento
di un possibile repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli
poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere del datore di lavoro di
provare la non utilizzabilità nei posti predetti (ex plurimis Cass. 8 febbraio 2011, n. 3040; Cass. 18
marzo 2010, n. 6559; Cass. 22 ottobre 2009, n. 22417; Cass. 20 gennaio 2003, n. 777; Cass. 12
giugno 2002, n. 8396; Cass. 3 ottobre 2000, n. 13134).
3.2.- Dall’insieme dei riportati principi si desume che, nella sostanza, la sentenza impugnata è
ad essi conforme, pur contenendo alcune imprecisioni nella motivazione, che peraltro, non
rivestendo un ruolo essenziale — come vedremo — sono suscettibili di correzione, ai sensi dell’art.
384, ultimo comma, cod. proc. civ.
L’anzidetta conformità è desumibile dal fatto che la Corte d’appello ha accertato che la
diminuzione delle entrate dell’azienda nel suo complesso — nel triennio di riferimento — è stata
effettiva e non simulata o pretestuosa ed ha giustificato il disposto riassetto organizzativo, che ha
comportato la soppressione delle due posizioni di Quadro in ambito aziendale, rispettivamente
occupate dalla Campopiano e dal Paliani, che sono stati licenziati.
La Corte ha anche accertato che le rilevanti mansioni svolte, con impegno, dal Paliani sono
state attribuite a Vincenzo Iacovissi, senza alcun compenso aggiuntivo ed ha, altresì, ritenuto non
provata la circostanza dell’assegnazione alla dipendente Francesca Fredella — assunta nel 2007,
poco prima del licenziamento del Paliani — dei compiti svolti dal Paliani, circostanza che peraltro
non ha un ruolo determinante, visto che la Fredella è stata assunta con semplici mansioni di
impiegata e quindi con costi certamente inferiori per l’azienda rispetto al Paliani.
D’altra parte — non essendo rinvenibili, nella specie, violazioni di legge, per quel che si è detto
— si deve ricordare che il controllo in sede di legittimità della adeguatezza della motivazione del
5

e) il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, nella previsione della seconda parte
dell’art. 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, comprende anche l’ipotesi di un riassetto
organizzativo dell’azienda attuato al fine di una più economica gestione di essa e deciso
dall’imprenditore, non pretestuosamente e non semplicemente per un incremento di profitto, bensì
per far fronte a sfavorevoli situazioni — non meramente contingenti — influenti in modo decisivo
sulla normale attività produttiva, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario,
senza che sia rilevante la modestia del risparmio in rapporto al bilancio aziendale, in quanto, una
volta accertata l’effettiva necessità della contrazione dei costi, in un determinato settore di lavoro,
ogni risparmio che sia in esso attuabile si rivela in diretta connessione con tale necessità e quindi da
questa oggettivamente giustificato (vedi, di recente: Cass. 24 febbraio 2012, n. 2874);

Inoltre, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra
prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa abbia determinato l’omissione
di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero
non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di
certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato
il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di
fondamento (Cass. 17 maggio 2007, 11457).
Ne deriva che i profili di censura relativi alla valutazione della prova testimoniale non
assumono rilievo, in questa sede, non essendosene dimostrata la decisività, nel suddetto senso.
Mentre, la valutazione della Corte d’appello in merito all’incremento del fatturato — pari a
circa il 3% — dovuto all’apporto del ricorrente e il collegamento fattone con il disposto
licenziamento — secondo cui, per far fronte alla crisi, l’azienda nell’esercizio della propria
discrezionalità può scegliere anche di ridurre i costi in settori che sono di per sé produttivi e, quindi,
non richiedono particolare attenzione — rappresentano enunciazioni puramente incidentali, prive di
relazione causale col deciso e, come tali, irrilevanti, in questa sede (vedi: Cass. 8 febbraio 2012, n.
1815).
3.3.- Quanto al repéchage, quel che conta, in questa sede, è che la Corte territoriale ha
precisato che; 1) la REVLON ha adeguatamente provato l’impossibilità di adibizione del Paliani in
mansioni equivalenti per inesistenza di residue posizioni di Quadro in ambito aziendale, come
indicato nella lettera di licenziamento; 2) le nuove assunzioni hanno riguardato solo due dipendenti,
entrambe assunte con la qualifica di impiegate, una otto mesi prima del licenziamento del
ricorrente e l’altra dopo la conclusione del primo grado del presente giudizio, sicché risulta
comprovata la ragione giustificativa del recesso del Paliani, consistente nella necessità di riduzione
dei costi di produzione per far fronte alla crisi dell’azienda, non essendo più stato assunto alcun
dipendente con la qualifica del ricorrente.
In tal modo, implicitamente, la Corte d’appello ha anche escluso che — come, del resto, viene
confermato nel presente ricorso — il lavoratore abbia collaborato nell’accertamento di un possibile
repechage, mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli poteva essere
utilmente ricollocato, obbligando così il datore di lavoro a provare la non utilizzabilità nei posti
predetti. E, come si è detto, tale collaborazione — benché non corrisponda ad un onere probatorio a
carico del lavoratore e, quindi, solo in senso ampio, debba essere svolta in modo coerente con il
principio della riferibilità o vicinanza o disponibilità dei mezzi di prova, riconducibile all’art. 24
Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile
6

giudice di merito non può servire a mettere in discussione il convincimento in fatto espresso da
quest’ultimo, che come tale è incensurabile, ma costituisce lo strumento attraverso il quale si può
valutare solamente la legittimità della base di quel convincimento e neppure consente di valutare
l’eventuale ingiustizia in fatto della sentenza; pertanto, il vizio riscontrato deve riguardare un punto
decisivo, tale, cioè, da rendere possibile una diversa soluzione ove il relativo errore non fosse stato
commesso (vedi, per tutte: Cass. 12 febbraio 2000, n. 1595).

l’esercizio dell’azione in giudizio — tuttavia, specialmente quando le realtà aziendali abbiano grandi
dimensioni, può rappresentare un utile mezzo di difesa.

Assume, invece, carattere marginale — e va quindi semplicemente corretto, come si è detto —
il riferimento operato dalla Corte romana ad una possibile adibizione del ricorrente in mansioni di
contenuto inferiore rispetto a quelle di appartenenza.
Tale riferimento — formulato in termini generali — non è conforme alla consolidata e condivisa
giurisprudenza di questa Corte secondo cui quando il datore di lavoro procede a licenziamento per
giustificato motivo oggettivo, in particolare per soppressione del reparto cui sono addetti i lavoratori
licenziati, la verifica della possibilità di repéchage va fatta con riferimento a mansioni equivalenti;
ove i lavoratori abbiano accettato mansioni inferiori onde evitare il licenziamento, la prova
dell’impossibilità di repéChage va fornita anche con riferimento a tali mansioni, ma occorre, in
quest’ultimo caso, che il patto di demansionamento sia anteriore o coevo al licenziamento, mentre
esso non può scaturire da una dichiarazione del lavoratore espressa in epoca successiva al
licenziamento e non accettata dal datore di lavoro, specie se il lavoratore abbia in precedenza agito
in giudizio deducendo l’illegittimità del licenziamento (vedi, per tutte: Cass. 18 marzo 2009, n.
6552).
3.5.- Quanto, infine, alle censure del ricorrente in merito al mancato adempimento, da parte
della REVLON, dell’onere probatorio posto a suo carico di dimostrare la sussistenza e la veridicità
incontrovertibili del motivo del licenziamento, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 604 del 1966, si
osserva quanto segue.
Le censure si basano sui seguenti rilievi: a) gli estratti dei bilanci della società degli anni
2005, 2006 e 2007 sono assolutamente inidonei allo scopo; b) neppure può considerarsi sufficiente
la produzione dei bilanci societari, oltretutto, nella specie, contestati; c) la REVLON, dopo aver
depositato una documentazione palesemente incompleta, in seguito all’ordine di esibizione emesso
dal giudice di primo grado, ha esibito una “mole inconsultabile di faldoni” limitandosi a depositare
solo alcuni estratti e così, di fatto, impedendo al Tribunale e al Paliani di effettuare l’esame della
documentazione meramente esibita e di riscontrarne la corrispondenza con quella prodotta in
giudizio.
Deve essere, al riguardo, precisato che, in linea generale, per avere contezza di una
diminuzione di fatturato di un’azienda, anche ai fini che qui interessano, si deve partire dall’esame
dei relativi documenti contabili, primo fra tutti il bilancio (vedi, per tutte: Cass. 8 marzo 2012, n.
3628).
7

3.4.- In questa situazione, la sussistenza degli estremi per affermare la legittimità del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo di cui si tratta risulta essere adeguatamente
motivata, non risultando che il lavoratore abbia adeguatamente e tempestivamente sostenuto e
provato in giudizio — come pure avrebbe potuto fare (vedi: Cass. 2 dicembre 2004, n. 23683; Cass.
14 marzo 2013, n. 6501) — che la suddetta giustificazione del recesso fosse meramente apparente e
nascondesse altro tipo di motivazione (discriminatoria, ritorsiva o altra).

Così, se si depositano, producono o esibiscono in giudizio voluminosi faldoni di documenti,
privi di un ordine o di un indice può risultarne impossibile la consultazione per le parti e per lo
stesso giudice.
Va, tuttavia, osservato che l’esibizione di cui si tratta nel presente giudizio è disciplinata
dall’art. 210 cod. proc. civ. (e dagli artt. 95 e 96 disp. att. cod. proc. civ.) e il secondo comma di tale
disposizione stabilisce che il giudice, nell’ordinare l’esibizione, “dà i provvedimenti opportuni circa
il tempo, il luogo e il modo dell’esibizione”.
D’altra parte, secondo il regime generale che vale per gli atti ed i documenti prodotti prima o
dopo la costituzione in giudizio, la mancata osservanza degli adempimenti rispettivamente da
osservare al riguardo ai sensi degli artt. 74 ed 87 disp. att. cod. proc. civ, rendendo irrituale la
compiuta produzione, preclude alla parte la possibilità di utilizzarli come fonte di prova, ed al
giudice di merito di esaminarli, sempreché la controparte legittimata a far valere le irregolarità non
abbia, pur avendone preso conoscenza, accettato, anche implicitamente, il deposito della
documentazione, giacché, ove non sussista alcuna tempestiva opposizione alla produzione irrituale
(da effettuare nella prima istanza o difesa successive all’atto o alla notizia di esso), non è dato
apprezzare la violazione del principio del contraddittorio, che le anzidette norme sono dirette ad
assicurare (Cass. 9 marzo 2010, n. 5671; Cass. 5 luglio 2001, n. 9077).
Nella specie, come rileva anche la controricorrente, non risulta — né il ricorrente lo deduce in
questa sede, in conformità con il principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione — che,
nel giudizio di primo grado, il Paliano abbia tempestivamente fatto rilevare l’irregolarità della
produzione dei bilanci o che abbia lamentato di non essere stato messo in grado, data l’ingente mole
dei documenti, di estrarne copie, in base alla relativa autorizzazione del giudice, di cui, peraltro, non
dimostra di essersi avvalso.
Ne consegue che le suddette censure non possono avere ingresso nel presente giudizio di
cassazione.
III — Conclusioni
4.- In sintesi il ricorso deve essere respinto. La peculiarità fattuale della controversia e la
natura delle questioni trattate giustificano la compensazione delle spese del presente giudizio di
cassazione.
P.Q.M.
8

Quanto alla esibizione di una “mole inconsultabile di faldoni”, da parte della REVLON, va
sottolineato che, in linea astratta, il problema evidenziato può essere rilevante, in quanto l’effettività
dei diritti fondamentali, tra i quali va certamente annoverato il diritto di difesa di cui all’art. 24,
secondo comma, Cost., viene meno non soltanto nel caso in cui ne sia radicalmente impedito
l’esercizio, pur formalmente riconosciuto, ma anche se è possibile che si creino, senza la previsione
di adeguati rimedi, situazioni tali da rendere eccessivamente difficile l’esercizio stesso (arg. ex
Corte cost., ord. N. 142 del 2009).

La Corte rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 2 luglio 2013.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA