Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20917 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 30/09/2020, (ud. 17/07/2020, dep. 30/09/2020), n.20917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18233-2015 proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. CESARE 95,

presso lo studio dell’avvocato MICHELE GIANNASIO, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’Avvocato ROSARIA

FRANCESCA SATTA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 124/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 02/02/2015 R.G.N. 599/2013.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. la Corte d’Appello di Roma, per quel che ancora qui rileva, ha respinto il gravame proposto da A.A. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda formulata nei confronti dell’Inpdap, cui era succeduto in corso di causa l’Inps, di riliquidazione dell’indennità di buonuscita, da effettuarsi con inclusione nella base di calcolo dell’intero importo, assoggettato a ritenuta previdenziale, corrisposto dall’Università a titolo di indennità di perequazione D.P.R. n. 761 del 1979, ex art. 31;

2. la Corte territoriale ha premesso in punto di fatto che l’appellante, dipendente dell’Università degli Studi di Roma, era stato dislocato presso il (OMISSIS), assegnato all’area amministrativa gestionale ed equiparato economicamente, ai sensi della norma sopra richiamata, al personale ospedaliero con qualifica di dirigente del ruolo amministrativo;

3. il giudice d’appello ha rilevato che l’ A. con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado non aveva lamentato la mancata inclusione dell’indennità nella base di calcolo della buonuscita, bensì aveva contestato solo l’ammontare dell’indennità in parola che l’istituto previdenziale aveva già inserito fra gli emolumenti da apprezzare ai fini della quantificazione del trattamento di fine servizio;

4. ha, però, ritenuto che l’errore commesso dal Tribunale nell’interpretazione della domanda non fosse decisivo ai fini di causa, perchè correttamente il primo giudice aveva escluso che l’indennità in discussione concorresse a determinare la base di calcolo della buonuscita;

5. ha richiamato giurisprudenza di questa Corte per sostenere che nella stessa non possono essere incluse voci retributive diverse dallo stipendio tabellare e da quelle espressamente indicate dal D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38;

6. ha aggiunto che l’appellante a fondamento della sua pretesa non poteva invocare la sentenza della Corte Costituzionale n. 126/1981 dal momento che la dichiarazione di incostituzionalità del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 nella parte in cui escludeva che l’indennità perequativa potesse essere calcolata a fini previdenziali ed assistenziali, si riferiva al solo personale universitario impegnato in attività di assistenza sanitaria;

7. per la cassazione della sentenza A.A. ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo, illustrato da memoria, al quale ha opposto difese con tempestivo controricorso l’Inps.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. il ricorso denuncia, con un unico motivo formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31, del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38 e addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente circoscritto gli effetti della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 e di avere di conseguenza errato nell’escludere che l’indennità dovesse essere ricompresa nella base di calcolo della buonuscita, perchè quest’ultima corrisponde a quella contributiva, nella quale devono essere inseriti, ai sensi del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 3 tutti gli assegni e gli emolumenti previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale;

2. in via subordinata il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale della L. n. 200 del 1974, art. 1 se ritenuto ancora in vigore, e del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 nella parte in cui per il personale strutturato non medico esclude che l’indennità possa spiegare effetti a fini previdenziali ed assistenziali;

2.1. denuncia il contrasto della disposizione normativa con gli artt. 3,36 e 38 Cost. e deduce che le ragioni per le quali la norma è stata dichiarata in parte qua incostituzionale per il personale sanitario valgono anche per quello amministrativo, atteso che per entrambe le categorie l’indennità ha la medesima funzione perequativa;

3. è infondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla difesa del controricorrente;

3.1. il motivo è specifico, perchè coglie esattamente la ratio decidendi della pronuncia impugnata e la censura con argomentazioni volte a contestare, non già la ricostruzione dei fatti, bensì l’interpretazione delle norme che vengono in rilievo e la valutazione espressa dalla Corte territoriale in merito agli effetti prodotti dalla dichiarazione di parziale incostituzionalità del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31;

3.2. l’inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., seppure configurabile anche a fronte di un solo precedente rinvenibile nella giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 4366/2018), non può essere dichiarata qualora, come accade nella fattispecie, l’orientamento espresso venga censurato in modo specifico dal ricorrente, con deduzioni idonee a sollecitare un’ulteriore riflessione da parte della Corte, alla cui attenzione si sottopongono argomenti in precedenza non evidenziati;

4. quanto al merito della questione controversa, occorre muovere dalla premessa che ai sensi del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 3 l’indennità di buonuscita è pari a “tanti dodicesimi della base contributiva di cui all’art. 38 quanti sono gli anni di servizio computabili…” ed ai fini del calcolo “si considera l’ultimo stipendio o l’ultima paga o retribuzione integralmente percepiti; la stessa norma vale per gli assegni che concorrono a costituire la base contributiva”;

4.1. a sua volta l’art. 38 stesso D.P.R. stabilisce che la base contributiva “è costituita dall’80 per cento dello stipendio, paga o retribuzione annui, considerati al lordo, di cui alle leggi concernenti il trattamento economico del personale iscritto al Fondo”, e concorrono a determinarla, oltre alle componenti espressamente indicate nel comma 1, “gli assegni e le indennità previsti dalla legge come utili ai fini del trattamento previdenziale” (comma 2);

4.2. la giurisprudenza di questa Corte ha fatto proprio il principio in precedenza affermato dai giudici amministrativi e da tempo ha evidenziato che la natura eventualmente retributiva di una determinata indennità o voce stipendiale non è sufficiente a farla rientrare nella base contributiva ai fini del computo del trattamento di quiescenza, dal momento che il D.P.R. n. 1032 del 1973 è ispirato al criterio della tassatività, in forza del quale occorre fare esclusivo riferimento al dato formale, ossia al regime giuridico previsto dalla legge per l’emolumento (Cass. S.U. n. 5759/2012 e Cass. S.U. n. 6326/2012);

4.3. nella fattispecie, peraltro, il richiamato principio non può essere ritenuto risolutivo perchè, sebbene l’indennità disciplinata dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 non rientri fra quelle elencate nel comma 1, occorre accertare se la stessa per disposizione normativa sia utile ai fini del trattamento previdenziale e, quindi, possa essere ricondotta alla previsione del menzionato art. 38, comma 2;

5. le conclusioni alle quali sul punto è pervenuta la Corte territoriale non sono condivisibili, perchè non colgono l’effettiva natura dell’emolumento in parola e di conseguenza limitano erroneamente al solo personale medico gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale n. 126/1981, con la quale è stata dichiarata l’incostituzionalità del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 nella parte in cui escludeva che l’indennità fosse utile ai fini previdenziali ed assistenziali;

6. quanto al primo aspetto occorre evidenziare che la stessa Corte Costituzionale, con la successiva pronuncia n. 136/1997, valorizzando l’applicazione generalizzata dell’art. 31 a tutto il personale universitario che presta servizio presso strutture ospedaliere, ha escluso che l’indennità persegua la finalità di compensare l’attività assistenziale in senso stretto e ne ha posto in risalto la ratio perequativa, evidenziando che il legislatore ha perseguito l’obiettivo di evitare disparità di trattamento fra dipendenti che svolgono la medesima attività;

6.1. la finalità perequativa, desumibile dal tenore letterale dell’art. 31 (…nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità…), è stata rimarcata dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con la sentenza n. 9279/2016, sviluppando il principio in precedenza affermato dalle stesse S.U. (Cass. S.U. n. 8521/2012), hanno limitato l’equiparazione automatica alle componenti del trattamento economico complessivo del personale sanitario discendenti dal solo inquadramento contrattuale ed hanno precisato che gli ulteriori emolumenti, legati all’attribuzione di uno specifico incarico, rilevano ai fini dell’equiparazione stessa solo qualora un analogo incarico venga attribuito al personale universitario;

6.2. dalla motivazione della sentenza n. 126/1981 della Corte Costituzionale si evince, altresì, che anche quella pronuncia (seppure resa in un giudizio nel quale veniva in rilievo l’attività prestata da dirigenti medici ed era stata sottoposta alla Corte la questione di legittimità della L. n. 213 del 1971, art. 4) ha individuato la funzione dell’indennità nella “equiparazione economica fra sanitari ospedalieri e docenti universitari”, sulla quale ha poi fatto leva per affermare che l’indennità stessa, in quanto componente del trattamento spettante al professore universitario, deve essere apprezzata a fini previdenziali ed assistenziali;

7. il giudice delle leggi, avvalendosi del potere di cui alla L. n. 87 del 1953, art. 27 ha esteso la dichiarazione di illegittimità al D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 “nella parte in cui stabilisce che la indennità ivi preveduta, identica a quella già preveduta dall’art. 4 suddetto, non è utile a fini previdenziali ed assistenziali” e ciò ha fatto perchè, come evidenziato dalle Sezioni Unite di questa Corte nelle citate decisioni, l’indennità, originariamente prevista per il personale docente dalla L. n. 213 del 1971, art. 4 e per il personale non medico dalla L. n. 200 del 1974, art. 1 era stata poi disciplinata per entrambe le categorie dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 sullo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali;

7.1. gli effetti della pronuncia non possono essere limitati al solo personale impegnato nell’attività assistenziale, sia per quanto si è già detto sulla natura dell’indennità, sia perchè la disposizione si riferisce indifferentemente “al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura”;

7.2. in tal senso le Sezioni Unite di questa Corte si sono espresse nella motivazione delle decisioni sopra citate, ove si sottolinea che l’indennità prevista dal D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 è divenuta pensionabile a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale n. 126/1981;

7.3. dall’intervento manipolativo del giudice delle leggi, che ha soppresso l’inciso “non utile ai fini previdenziali ed assistenziali”, discende l’applicabilità alla fattispecie del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38, comma 2 al quale l’art. 3 stesso D.P.R. rinvia, e, quindi, l’inclusione dell’indennità perequativa nella base di calcolo della buonuscita;

7.4. la giurisprudenza amministrativa (TAR Toscana n. 2261/2003 che richiama Corte dei Conti, deliberazione Sezione del Controllo n. 160/93 del 22.4.1993) si è espressa in tal senso e, pertanto, non a caso l’Inpdap aveva tenuto conto dell’indennità nel quantificare la buonuscita spettante all’ A., sia pure errando, secondo l’assunto di quest’ultimo, nella quantificazione del relativo importo;

8. in via conclusiva il Collegio, alla luce delle considerazioni sopra esposte e del principio affermato da Cass. S.U. n. 9276/2016, incidente, sia pure indirettamente, sulla questione qui controversa, ritiene di non poter ribadire le diverse conclusioni alle quali è pervenuta Cass. n. 1156/2014, richiamata nella sentenza impugnata;

9. La pronuncia, pertanto, deve essere cassata, con rinvio alla Corte territoriale indicata in – dispositivo, che procederà ad un nuovo esame, attenendosi al principio di diritto di seguito enunciato: “per effetto della sentenza n. 126/1981 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 761 del 1979, art. 31 nella parte in cui escludeva l’utilità ai fini previdenziali e assistenziali dell’indennità ivi disciplinata, quest’ultima concorre, ai sensi del combinato disposto del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 3 e art. 38, comma 2, a formare la base contributiva rilevante ai fini del calcolo dell’indennità di buonuscita”;

9. al giudice del rinvio è demandato anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità;

10. l’accoglimento del ricorso rende inapplicabile il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 17 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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