Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20917 del 05/08/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/08/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 05/08/2019), n.20917

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13651-2012 proposto da:

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SIENA, in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, presso i cui Uffici domicilia ope legis in

ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

C.G., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI N. 5, presso lo studio dell’avvocato

LUIGI MANZI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

LORENZO PICOTTI;

– D.J.E., + ALTRI OMESSI, tutti elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA EZIO n. 19, presso lo studio dell’avvocato

MICHELE ALLIEGRO, rappresentati e difesi dagli avvocati PIETRO DINOI

e ISETTA BARSANTI MAUCERI;

– controricorrenti –

e contro

A.H.E.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 44/2012 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/01/2012 R.G.N. 1611/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/06/2019 dal Consigliere Dott. ANNALISA DI PAOLANTONIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha con concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GABRIELLA D’AVANZO;

udito l’Avvocato LORENZO PICOTTI;

udito l’Avvocato MICHELE ALLIEGRO per delega Avvocato PIETRO DINOI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte d’Appello di Firenze ha respinto l’appello proposto dall’Università degli Studi di Siena avverso la sentenza del Tribunale di quella città che aveva rigettato le opposizioni ai decreti ingiuntivi con i quali l’Ateneo era stato condannato a pagare ai collaboratori esperti linguistici ed agli ex lettori di madrelingua straniera indicati in epigrafe la retribuzione, relativa al mese di maggio 2010, nell’ammontare previsto dal Contratto Collettivo Integrativo del 27/12/2006.

2. L’Università con Delib. 3 maggio 2010 aveva deciso di corrispondere il solo trattamento fondamentale previsto dal c.c.n.l. perchè, a seguito di controlli effettuati dal Collegio dei Revisori dei Conti, era emersa l’assenza di copertura finanziaria degli obblighi assunti con il c.c.I., da ritenersi pertanto affetto da nullità D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 40.

3. Il giudice di prime cure aveva respinto le opposizioni sul rilievo che la sola indisponibilità delle risorse necessarie non giustificasse l’esercizio del potere di autotutela da parte dell’Università, la quale avrebbe dovuto richiedere un previo accertamento giudiziale dell’invalidità delle clausole della contrattazione integrativa.

4. La Corte d’appello ha confermato la decisione con diversa motivazione, rilevando che per mezzo del trattamento integrativo di ateneo la retribuzione riconosciuta agli ex lettori ed ai collaboratori esperti linguistici era stata commisurata a quella del ricercatore confermato a tempo definito e, quindi, era stata data attuazione al D.L. n. 2 del 2004, emanato per ottemperare alla pronuncia della Corte di Giustizia del 26 giugno 2001. Ha escluso, pertanto, che l’atto negoziale fosse contra legem perchè, al contrario, l’obbligazione assunta corrispondeva a quella prevista dalla fonte legale ed assicurava una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro prestato.

5. La Corte territoriale ha evidenziato che l’Università non poteva neppure invocare la L. n. 240 del 2010, art. 26 in quanto la disposizione “di chiara e sostanziale portata retroattiva, al di là del dichiarato intento interpretativo” non poteva incidere su trattamenti retributivi già maturati prima della sua entrata in vigore. Ha richiamato, infine, l’art. 2126 c.c. rilevando che la norma di salvaguardia trovava applicazione ai rapporti di lavoro in discussione, qualificati espressamente dal legislatore “di diritto privato”.

6. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso l’Università degli Studi di Siena sulla base di cinque motivi, ai quali hanno resistito con distinti controricorsi i litisconsorti indicati in epigrafe.

7. Hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c. l’Università nonchè i controricorrenti difesi dagli avvocati Manzi e Picotti.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. 30 dicembre 2010, n. 240, art. 26, comma 3. Rileva che la Corte territoriale avrebbe dovuto tener conto della legge di interpretazione autentica, applicabile a tutti i giudizi in corso al momento della sua entrata in vigore, con la quale era stato precisato che a decorrere dalla data di instaurazione del nuovo rapporto disciplinato dal D.L. n. 120 del 1995 il trattamento retributivo da riconoscere agli ex lettori era quello previsto dalla contrattazione collettiva di comparto, salvo il diritto a conservare il maggiore importo computato secondo i criteri di cui al D.L. n. 2 del 2004 se di miglior favore.

2. La seconda censura addebita alla sentenza impugnata il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo della contraddittorietà e della insufficienza della motivazione, in quanto la stessa, pur riconoscendo la portata retroattiva della legge di interpretazione autentica, ne esclude l’applicazione nella fattispecie, perchè relativa a controversia sorta in data antecedente all’entrata in vigore della legge stessa.

3. Con la terza critica l’Università si duole della “violazione e falsa applicazione del D.L. 14 gennaio 2004, n. 2, art. 1,comma 1, conv. con modif. nella L. 5 marzo 2004, n. 63, come autenticamente interpretato dalla L. 30 dicembre 2010, n. 240, art. 26” e rileva che erroneamente la Corte fiorentina ha ritenuto il trattamento integrativo di Ateneo legittimo, perchè rispondente al criterio di determinazione della retribuzione indicato dal decreto-legge richiamato in rubrica. Rileva la ricorrente che il contratto integrativo non ha operato alcuna distinzione fra collaboratori esperti linguistici di nuova assunzione ed ex lettori, ed in tal modo ha finito per porsi in contrasto con la disposizione normativa nonchè con la sentenza della Corte di Giustizia, alla quale il legislatore nazionale aveva dato attuazione. Allo Stato Italiano, infatti, era stato addebitato di non avere tenuto conto della pregressa esperienza acquisita dalla categoria degli ex lettori divenuti collaboratori linguistici e di averli equiparati senza valorizzare l’anzianità acquisita dai primi. I giudici del merito, pertanto, avrebbero dovuto considerare che il c.c.I., oltre ad essere stato sottoscritto in assenza della necessaria copertura finanziaria, aveva previsto un trattamento retributivo non imposto dalla legge ed anzi in contrasto con la stessa.

4. Sulla base degli stessi argomenti la ricorrente denuncia, con il quarto motivo, “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” e ribadisce che il trattamento integrativo di Ateneo, riconosciuto in assenza della necessaria copertura finanziaria, non può essere giustificato facendo leva sulla decretazione di urgenza e sulle pronunce della Corte di Giustizia.

5. Infine con il quinto motivo l’Università si duole della violazione dell’art. 2126 c.c., impropriamente richiamato dal giudice d’appello, in quanto la disposizione è applicabile nei casi in cui l’esistenza del rapporto realizza un contrasto con norme imperative, non già nell’ipotesi in cui vi sia difformità tra la disciplina pattizia e quella legale.

6. E’ fondata l’eccezione di inammissibilità del ricorso.

Nello storico di lite si è evidenziato che la Corte territoriale, nel confermare con diversa motivazione la sentenza del Tribunale, ha ritenuto priva di rilievo ai fini di causa la circostanza che il contratto integrativo non avesse la necessaria copertura finanziaria ed ha evidenziato che l’Università non poteva sottrarsi al pagamento, in quanto la contrattazione di ateneo “aveva dato attuazione ad una norma di legge (D.L. 14 gennaio 2004, n. 2, convertito in L. 5 marzo 2004, n. 63) per assicurare agli ex lettori e ai c.e.l. la retribuzione complessiva dovuta in base alle fonti nazionali e comunitarie come sopra citate e correttamente interpretate dalle parti stipulanti… “.

I motivi di ricorso contestano la ratio decidendi della pronuncia perchè, in realtà, in sede di contrattazione integrativa di Ateneo sarebbe stato concordato un trattamento retributivo non corrispondente, nell’ammontare, al criterio indicato dal legislatore e non rispettoso dei limiti soggettivi di applicabilità della normativa, riservata ai soli ex lettori, con la conseguenza che la contrattazione stessa doveva essere ritenuta affetta da nullità, in quanto stipulata senza il necessario rispetto dei vincoli imposti dal D.Lgs. n. 165 del 2001.

Le censure, pertanto, finiscono tutte per essere incentrate sul contenuto della contrattazione di ateneo, rispetto alla quale, però, non risultano assolti dalla ricorrente gli oneri di specificazione e di allegazione imposti dall’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6 e art. 369 c.p.c., n. 4.

6.1. Il Collegio, nel ribadire quanto già affermato da Cass. n. 20765/2018, rileva che con il D.L. n. 120 del 1995 “il legislatore, pur definendo di diritto privato il rapporto di lavoro intercorrente fra l’Università ed il collaboratore linguistico ne ha affidato la disciplina alla contrattazione collettiva, con un meccanismo di rinvio non dissimile da quello previsto per l’impiego pubblico contrattualizzato dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 2 vigente all’epoca della decretazione di urgenza. La contrattazione intervenuta a disciplinare il rapporto è infatti quella per il personale del Comparto Università stipulata ai sensi del richiamato D.Lgs. n. 29 del 1993 e poi del D.Lgs. n. 165 del 2001, sicchè trovano applicazione i medesimi principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. nn. 21558 e 23329 del 2009) in relazione alla particolare natura del contratto collettivo di diritto pubblico, derivante dal peculiare procedimento formativo, dal regime di pubblicità, dalla sottoposizione a controllo contabile della compatibilità dei costi previsti”.

Detti principi, peraltro, valgono solo in relazione alla contrattazione nazionale di comparto e non possono essere estesi ai contratti integrativi i quali, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 nel testo applicabile ratione temporis (Cass. 19.3.2004 n. 5565; Cass. 22.9.2006 n. 20599; Cass. 5.12.2008 n. 28859; Cass. 19.3.2010 n. 6748; Cass. 25.6.2013 n. 15934; Cass. 14.3.2016 n. 4921).

A detti contratti non si estende, inoltre, il particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8, sicchè, vengono necessariamente in rilievo gli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4 ed il ricorrente è tenuto a depositarli, a fornire precise indicazioni sulle modalità e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, a trascrivere nel ricorso le clausole sulle quali si incentra la censura (si rimanda, fra le più recenti, a Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 2709, 95 del 2018).

A tanto l’Università nella specie non ha provveduto perchè non ha riportato nell’atto, quantomeno nelle parti essenziali, la disciplina contrattuale; non ha depositato in questa sede il contratto di ateneo; non ha specificato dove, quando e da chi lo stesso era stato prodotto nel giudizio di merito.

7. Il ricorso va, pertanto dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo. Non è applicabile ratione temporis il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater che, inoltre, non trova applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Università ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per competenze professionali in favore dei controricorrenti difesi dagli avvocati Picotti e Manzi ed in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per competenze professionali in favore dei controricorrenti difesi dagli avvocati Dinoi e Barsanti Mauceri, oltre rimborso spese generali del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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