Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20913 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. II, 21/07/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 21/07/2021), n.20913

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8100-2016 proposto da:

D.R.A., D.R.S., rappresentati e difesi dall’avv.

COSTANTINO ANTONIO MONTESANTO, in virtù di procura a margine del

ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.A., G.M., C.C., rappresentati e

difesi dall’avv. NICOLA BELSITO, virtù di procura a margine del

controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 415/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 23/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/02/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

 

Fatto

RITENUTO

che:

– D.R.A. e D.R.S., proprietari di un fabbricato con giardino in Praiano, chiamavano in giudizio C.C., proprietaria di un fondo confinante, originariamente composto da un piccolo fondo rustico con annessa terraneo, destinato a cantina;

– lamentavano che la convenuta aveva realizzato, a partire dal 1969, rilevanti opere di trasformazione edilizia sfociate nella costruzione di un albergo, con violazione delle norme sulle distanze, abusive usurpazioni di terreno, creazione di servitù abusive e incorrendo in altre violazione del diritto di proprietà degli attori;

– chiedevano la condanna della convenuta alla rimozione e demolizione di quanto costruito sul fondo degli attori o a distanza dal medesimo inferiore a quella prescritta;

– la convenuta, costituendosi, replicava che il proprio fabbricato, nella consistenza e dimensioni attuali, era stato realizzato negli anni dal 1962 al 1967, mentre ciò che era stato fatto in epoca successiva riguardava aspetti (opere interne, consolidamento, divisioni) prive di incidenza nei rapporti con il proprietario vicino;

– conseguentemente, ogni e qualsiasi violazione incorsa nell’attività di edificazione non giustificava alcuna reazione da parte dei vicini, essendo maturato il termine per l’acquisto per usucapione del diritto di mantenere la costruzione nella sua consistenza attuale;

– la C. proponeva domanda riconvenzionale al fine di ottenere la condanna degli attori alla rimozione di opere realizzate dagli stessi su una porzione comune;

– integrato il contraddittorio nei confronti di G.A. e G.M., donatari della C. della nuda proprietà del fabbricato, il tribunale accoglieva in parte la domanda principale, condannando la convenuta e i chiamati all’arretramento e alla demolizione di quanto realizzato successivamente rispetto alle opere di cui alle licenze edilizie del 1963 e del 1965 e fino alla data di instaurazione del giudizio;

– il primo giudice accertava, sulla scorta della consulenza tecnica, che si trattava di opere che ricadevano sotto il regime giuridico della L. n. 765 del 1967 e successive modificazioni;

– accoglieva la domanda riconvenzionale dei convenuti, con la conseguenziale condanna degli attori al ripristino dello stato dei luoghi antecedente alle modifiche realizzate sulla porzione riconosciuta come comune;

– impugnata la sentenza dei contendenti per le parti di rispettiva soccombenza, la Corte d’appello accoglieva l’impugnazione proposta dalla C. (appello principale) e dagli aventi causa di lei;

– la corte di merito riconosceva, sulla scorta degli elementi di prova acquisiti nel giudizio, che “la struttura in contestazione sia rimasta invariata, per quanto concerne l’osservanza delle distanze le aperture rispetto al confine, dall’epoca di realizzazione dei primi due interventi, fino all’instaurazione del presente giudizio” (pag. 15 della sentenza);

– da qui la conseguenza, secondo la stessa corte d’appello, che gli appellanti avevano “adeguatamente provato la fondatezza dell’eccezione di usucapione del diritto al mantenimento di eventuali opere in violazione delle distanze legali o di eventuali occupazioni di suolo altrui effettuate in epoca antecedente al ventennio rispetto alla proposizione della domanda” (pag. 16 della sentenza);

– la sentenza impugnata, una volta riconosciuta la fondatezza dell’eccezione di usucapione, ha ritenuto irrilevante la questione dell’applicabilità della c.d. Legge Ponte, trattandosi di struttura realizzata antecedentemente all’entrata in vigore della stessa legge, escludendone comunque l’applicabilità anche per altri profili;

– la Corte d’appello rigettava l’appello incidentale dei D.R., confermando la loro condanna alla demolizione delle modifiche e delle opere incidenti sulla porzione oggetto della domanda riconvenzionale originariamente proposta dalla C.;

– si riconosceva che i convenuti avevano fornito la prova della proprietà comune della porzione, essendo irrilevante la contraria indicazione catastale invocata dagli attori;

– aggiungeva ancora che il possesso esclusivo dell’area in contestazione, dedotto dagli attori solo in grado d’appello, era smentito dalla presenza di opere e manufatti inerenti alla proprietà della C.;

– per la cassazione della sentenza D.R.A. e D.R.S. hanno proposto ricorso affidato a quattro motivi;

– C.C., G.M. e G.A. hanno resistito con controricorso, con il quale hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso perché proposto oltre il termine di sessanta giorni dalla notificazione della sentenza;

– i controricorrenti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il ricorso è tempestivo, dovendosi avere riguardo al raffronto fra la data di notificazione della sentenza impugnata (8 gennaio 2016) e la data in cui il ricorso è stato consegnato all’ufficiale giudiziario per la notificazione (8 marzo 2016);

– il mancato perfezionamento della notificazione a causa dell’erronea indicazione dell’indirizzo del domiciliatario lascia ferma la tempestività dell’iniziativa di parte, trattandosi di vizio che avrebbe consentito in ipotesi la rinnovazione della stessa notificazione, con effetto ex tunc;

– è stato infatti chiarito che “il luogo in cui la notificazione del ricorso per cassazione viene eseguita non attiene agli elementi costitutivi essenziali dell’atto, sicché i vizi relativi alla sua individuazione, anche quando esso si riveli privo di alcun collegamento col destinatario, ricadono sempre nell’ambito della nullità dell’atto, come tale sanabile, con efficacia “ex tunc”, o per raggiungimento dello scopo, a seguito della costituzione della parte intimata (anche se compiuta al solo fine di eccepire la nullità), o in conseguenza della rinnovazione della notificazione, effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c.” (Cass., S.U., n. 14916/2016; conf. n. 7703/2018);

– il primo motivo di ricorso denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– la sentenza è oggetto di censura nella parte in cui si afferma che le volumetrie del terzo piano, riportate nella concessione del 1981, erano state già realizzate nel 1963;

– la corte di merito ha omesso di considerare essenziali profili della relazione di consulenza tecnica del 6 marzo 2000 e della relazione integrativa del 25 gennaio 2010;

– il consulente aveva chiarito che “Le volumetrie riportate come esistenti nel progetto di variante n. (OMISSIS) non sono state realizzate in precedenza (…) bensì in epoca successiva, mentre la costruzione autorizzata con la predetta concessione edilizia n. (OMISSIS) ha creato una nuova volumetria in cui sono state aperte porte, finestre, balconi e luci integranti non una mera sostituzione della precedente struttura”;

– in particolare, la corte d’appello ha omesso di considerare quanto affermato dal consulente tecnico a pag. 44 e pag. 46 della relazione del 6 marzo 2000;

– la presenza di modifiche di consistenza e volumetria era stata confermata dal consulente a pag. 39 della relazione integrativa del 25 gennaio 2010;

– il motivo è inammissibile;

– la corte d’appello è pervenuta alla soluzione oggetto di censura, e cioè che “da struttura organica dell’albergo è rimasta invariata dall’epoca di realizzazione dei lavori di cui alla seconda licenza edilizia del 1965” (pag. 14), argomentando che la soluzione trovava conferma in quanto affermato dallo “stesso c.t.u. P.”;

– è richiamato, in particolare, il passaggio della relazione nel quale il consulente “ha evidenziato che nei progetti di cui alla licenza edilizia del 1975 e alla concessione del 1981 si faceva riferimento alle volumetria del terzo piano sotto strada” (pag. 14);

– la corte d’appello, inoltre, mostra di essere perfettamente consapevole che il consulente tecnico aveva poi opinato diversamente;

– ha aggiunto però di dover dissentire dalla relativa soluzione, argomentando che il medesimo tecnico “nel sostenere che alcune delle opere realizzate successivamente al 1979 risulterebbero in violazione della normativa all’epoca vigente, non ha potuto, poi, omettere di rilevare che dai relativi progetti risultavano già esistenti volumetrie e situazioni prospettiche non riportate in quelli precedenti, il che sostanzialmente conferma che tali interventi erano stati già di fatto realizzati in precedenza, sebbene non risultanti dai progetti di costruzione. Infine, i due testimoni escussi, della cui attendibilità non è dato in questa sede dubitare, hanno confermato la corrispondenza della situazione attuale di fatto, per quanto qui in contestazione, rispetto al complesso degli interventi realizzati dalla C. tra il 1963 e il 1967” (pag. 17);

– insomma, diversamente da quanto sostengono i ricorrenti, la corte d’appello ha considerato quanto affermato dal consulente tecnico in ordine alla più recente epoca di realizzazione di talune opere;

– tuttavia ha ritenuto che il consulente non avesse offerto “adeguata giustificazione di tale suo assunto”, che non trovava riscontro “in documenti obiettivamente valutabili, quali fotografie della situazione preesistente dei luoghi né nelle conclusioni del precedente consulente, e risulta, inoltre, contrastato dalle deposizioni testimoniali raccolte nel presente grado del giudizio ed dal contenuto degli atti successivi al 1966 che riportano come già esistenti manufatti in contestazione” (pag. 18);

– la corte d’appello infine, in relazione alla violazione delle distanze lamentata dagli attori con riferimento al piano terra e al terzo piano sotto strada richiama la nozione di costruzione così come delineata dalla giurisprudenza di legittimità;

– l’analisi della decisione rende perciò evidente che, sotto la veste della denuncia di omesso esame di un fatto, i ricorrenti mirano a una valutazione delle prove diversa da quella fatta propria dalla corte d’appello: il che rende inammissibile la censura (Cass., S.U., n. 34476/2019);

– in quanto all’ulteriore argomento, portato a sostegno della censura, e cioè che gli accertamenti compiuti dal consulente tecnico non potevano essere superati dalle deposizioni testimoniali, si trascura che, fatta astrazione dal giuramento – per il quale è stata dettata una particolare disciplina – non esiste alcuna gerarchia fra i mezzi di prova (Cass. n. 1596/1969);

– fuori dai casi di prova legale, le prove sono tutte liberamente valutabili dal giudice di merito per essere poste a fondamento del suo convincimento, del quale il giudice deve dare conto con motivazione il cui unico requisito è l’immunità da vizi logici (Cass. n. 1747/2003; n. 9245/2007);

– la corte d’appello, del resto, non ha riconosciuto l’automatica prevalenza di una prova rispetto all’altra, ma ha operato, come risulta evidente dall’analisi delle ragioni del decidere, una complessiva e sintetica valutazione del materiale probatorio, pervenendo infine alla conclusione di cui sopra;

– tale analisi non rileva errori logici o giuridici;

– essa e’, perciò, incensurabile in questa sede;

– i ricorrenti, con il primo motivo in esame, denunciano la violazione dell’art. 1158 c.c., ma è del tutto chiaro che l’errore lamentato non riguarda l’interpretazione della norma, ma il fatto che la corte abbia riconosciuto la sussistenza dei presupposti dell’usucapione nel caso concreto;

– in altre parole, ad onta della rubrica, l’intera censura si esaurisce sul plano della ricostruzione del fatto (Cass. n. 15499/2004);

– i ricorrenti rimproverano alla Corte d’appello di non avere considerato quanto affermato dal consulente tecnico nella relazione integrativa del 25 gennaio 2010;

– in effetti non si rinvengono nella sentenza impugnati riferimenti specifici a tale ulteriore relazione;

– ma è chiaro che, in conformità al costante insegnamento di questa Corte, ciò non è sufficiente a fondare una censura di omesso esame di un fatto decisivo, trattandosi al più di mancata considerazione di un elemento istruttorio;

– il “fatto” è stato ampiamente considerato dalla sentenza impugnata, discutendosi pur sempre della consistenza iniziale del fabbricato e della incidenza, su tale consistenza, delle opere sopravvenute (Cass., S.U., n. 8053/2014);

– il secondo motivo, con rubrica identica al precedente, denuncia la sentenza nella parte in cui la corte d’appello ha riconosciuto che “alla luce dei riscontri anche documentali relativi alla situazione preesistente al 1979 deve ritenersi che la struttura in contestazione sia rimasta invariata, per quanto concerne l’osservanza delle distanze e le aperture rispetto al confine, dall’epoca di realizzazione dei primi due interventi fino alla instaurazione del presente giudizio”;

– il motivo è inammissibile;

– esso ripropone la medesima questione di fatto oggetto del motivo precedente, in rapporto alle implicazioni tratte dalla corte d’appello in ordine alla violazione delle norme in materia di distanze;

– l’errore nelle implicazioni intanto sussiste in quanto si riconosca che la struttura del fabbricato avesse subito modifiche nel corso del ventennio: ciò che la corte d’appello ha escluso sulla base di considerazioni incensurabili in questa sede;

– il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 150 del 1942, art. 41- quinquies come aggiunto dalla L. n. 765 del 1967, art. 7 e del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444, art. 9 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– si rimprovera alla corte d’appello di non avere deciso la fattispecie in applicazione delle norme sopra indicate, immediatamente rilevanti anche nei rapporti fra privati;

– il motivo è inammissibile;

– la corte d’appello ha negato l’applicazione della disciplina di cui alle norme richiamate nella rubrica del motivo in esame sulla base del rilievo che si era in presenza di “una struttura organica realizzata antecedentemente all’entrata in vigore della relativa disciplina”;

– tale ratio della decisione, immediatamente dipendente dalla ricostruzione in fatto, non ha costituito oggetto di censura;

– è vero che la corte d’appello ha poi espresso ulteriori considerazioni di carattere generale sull’inapplicabilità diretta della disciplina sopravvenuta dei rapporti fra privati;

– ma è altrettanto vero che tali considerazioni ulteriori, oggetto di critica, sono prive di qualsiasi incidenza sul dispositivo, essendo perciò inammissibile le relative censure (Cass. n. 669/1868; n. 10420/2005; n. 11160/2004);

– il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 2, e degli artt. 1362, 948, 1140 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

– la sentenza è oggetto di censura nella parte relativa all’accoglimento della domanda riconvenzionale dei convenuti, in quanto erroneamente fondato sulla comproprietà del terreno oggetto di interventi da parte degli attori, condannati perciò alla rimozione;

– la corte d’appello ha riconosciuto che la comproprietà era stata ammessa dagli attori (per aver dedotto l’esistenza di un viottolo “compadronale” catastalmente aggraffato alla proprietà D.R.) e ciò rifletteva innanzitutto un errore nella interpretazione delle deduzioni di parte;

– i ricorrenti, inoltre, avevano dedotto di essere al possesso esclusivo del bene: tale deduzione, legittimamente proposta in appello, avrebbe dovuto portare a una diversa distribuzione dell’onere della prova: gli attori, in quanto al possesso del bene, avrebbero potuto provare il diritto anche con presunzioni;

– è oggetto di censura ancora la considerazione della corte d’appello con la quale si nega il possesso esclusivo degli attuali ricorrenti in base al rilievo che, sulla porzione contesa, esistevano anche opere di pertinenza dell’albergo dei convenuti;

– tale considerazione non poteva bastare a negare il possesso della diversa porzione occupata dai D.R.;

– il motivo è inammissibile;

– sono proposte censure diverse ed eterogenee che non vanno a incidere sulla ratio della decisione, essenzialmente fondata sul riscontro documentale della comproprietà del terreno: l’atto di compravendita de 17 novembre 1921 e l’atto di donazione e compravendita del 29 agosto 1960;

– comunque sia scendendo nel dettaglio delle censure formulate a pag. 14 del ricorso:

– la violazione dell’art. 345 c.p.c. è censura irrilevante, perché la corte d’appello, pur dubitando della tempestività della deduzione del possesso esclusivo, l’ha poi esaminata, ritenendola infondata nel merito;

– la violazione della norma dell’art. 1362 c.c., riscontrata dai ricorrenti in riferimento al significato attribuito dalla corte d’appello all’espressione “viottolo compadronale”, così come proposta, costituisce petizione di principio;

– le norme dettate per l’interpretazione negoziale sono applicabili anche alla domanda giudiziale (Cass. n. 28421/2005; n. 20325/2006), ma vale pur sempre il principio che, in cassazione, la critica deve tradursi nella denuncia di un errore nella loro applicazione e non nella espressione di un mero dissenso (cfr. Cass. n. 28319/2017);

– in ogni caso il rilievo attribuito all’espressione letterale usata dalle parti, nell’economia della sentenza, costituisce argomento aggiuntivo e concorrente della decisione, essenzialmente fondata sul riconoscimento della comproprietà in base ai titoli;

– tale affermazione consente di superare anche l’ulteriore censura mossa con il motivo in esame, che i ricorrenti, essendo nel possesso del bene, avrebbero potuto provare la proprietà con ogni mezzo;

– infatti, la corte d’appello ha accolto la domanda di controparte non per una insufficiente prova del diritto da parte degli attori, ma perché, appunto, ha riconosciuto positivamente provata la comproprietà;

– in quanto al mancato riconoscimento del possesso esclusivo, in capo agli attori, della porzione più ristretta interessata dalle modifiche da essi realizzate, si rileva che, nella causa, si discuteva della titolarità del diritto sull’intero viottolo a confine, che la corte d’appello ha riconosciuto oggetto di comproprietà, disattendendo la pretesa degli attori di esserne gli esclusivi proprietari;

– il supposto possesso esclusivo di una più ristretta porzione del viottolo non si pone, di per sé, in contraddizione con tale accertamento, per cui non si comprende neanche la rilevanza della censura;

– in conclusione, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese; – ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1- quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”.

PQM

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

 

 

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