Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20912 del 15/10/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 20912 Anno 2015
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: PETITTI STEFANO

sentenza con motivazione
semplificata

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro
tempore,

pro

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei
Portoghesi n. 12, è domiciliato per legge;
ricorrente contro
BOZZAOTRO Salvatore, IAVARONE Antonio, BORZACCHELLI
Salvatore, BONAVOLTA Mariano, FERRARO Gaetano, FERRARA
Taddeo, FONTANELLA Antonio, BARBETTA Salvatore;

Sq03
—t5

intimati

Data pubblicazione: 15/10/2015

avverso il decreto della Corte d’Appello di Roma,
depositato in data 30 ottobre 2013 (R.G.V.G. n.
54040/2010).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Dott. Stefano Petitti.
Ritenuto che, con distinti ricorsi depositati presso
la Corte d’appello di Roma tra il 12 aprile e il 28 giugno
2010, BOZZAOTRO Salvatore, IAVARONE Antonio, BORZACCHELLI
Salvatore, BONAVOLTA Mariano, FERRAR() Gaetano, FERRARA
Taddeo, FONTANELLA Antonio, BARRETTA Salvatore chiedevano
la condanna del Ministero della giustizia al pagamento del
danno non patrimoniale derivante dalla irragionevole
durata di un giudizio civile instaurato dinnanzi alla
sezione lavoro del Tribunale di Napoli il 27 luglio 2001,
deciso in primo grado con sentenza depositata il 18 aprile
2007, avverso la quale era stato proposto appello con atto
in data 11 giugno 2007, ancora pendente in grado di
appello alla data della domanda;
che l’adita Corte d’appello, disattese le eccezioni di
inammissibilità formulate dalla difesa erariale, rilevava
che il giudizio presupposto, di ordinaria complessità,
avrebbe dovuto avere una durata di tre anni in primo grado
e di due anni in appello, sicché, alle date di
proposizione della domanda di equa riparazione, lo stesso

-2-

udienza del 15 settembre 2015 dal Presidente relatore

aveva avuto una durata complessiva di otto anni e undici
mesi per Barretta, Fontanella, Ferrara e Ferraro; di otto
anni e dieci mesi per Bonavolta e Borzacchelli e di 8 anni
e nove mesi per Iavarone e Bozzoatro;

la Corte d’appello, applicando il criterio di 750,00 euro
per i primi tre anni di ritardo e di 1.000,00 euro per
ciascuno degli anni successivi, liquidava l’importo di
euro 3.166,00 per i primi, di euro 3.083,00 per i secondi
e di euro 3.000,00 per i terzi;
che per la cassazione di questo decreto il Ministro
della giustizia ha proposto ricorso, notificato al
difensore domiciliatario nel domicilio eletto il 29 aprile
2014, sulla base di un motivo;
che gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Considerato che il Collegio ha deliberato l’adozione
di una motivazione in forma semplificata;
che con l’unico motivo di ricorso

(violazione e/o

falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89 del 2001)
il Ministero ricorrente si duole che la Corte d’appello
abbia ritenuto ragionevole la durata del giudizio
presupposto di tre anni in primo grado e di due anni in
appello, avendo l’istruttoria richiesto solo l’escussione
di quattro testimoni e l’acquisizione di alcuni documenti;

che, in relazione alla irragionevole durata accertata,

che, rileva il Ministero ricorrente, la complessità
della causa non deve essere valutata esclusivamente con
riguardo alla complessità dell’istruttoria, dovendosi
anche tenere conto anche di altri indici che, nella

che, in particolare, la difesa erariale deduce che sin
dall’atto di costituzione aveva eccepito la complessità
della causa, sia per il numero delle parti, sia per
l’oggetto della causa (interposizione di manodopera), sia
per la pluralità delle domande proposte, sia per l’entità
della posta in gioco; indici, questi, che, ove tenuti
presenti, avrebbero dovuto indurre la Corte d’appello, a
determinare la durata ragionevole in quattro anni per il
primo grado e in tre anni per il grado di appello;
che del resto, prosegue la difesa erariale, la durata
ragionevole di sette anni era già stata accertata in
relazione al medesimo giudizio presupposto, dalla stessa
Corte d’appello di Roma con decreto prodotto in primo
grado e del quale si riservava la produzione in questa
fase di legittimità;
che il ricorso è infondato;
che secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in
tema di diritto all’equa riparazione di cui alla legge 24
marzo 2001, n. 89, per la valutazione della ragionevole
durata del processo deve tenersi conto dei criteri

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specie, la Corte d’appello non avrebbe considerato;

cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte
europea dei diritti dell’uomo, alle cui sentenze,
riguardanti l’interpretazione dell’art. 6, par. l, della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, richiamato

di precedente, non sussistendo nel quadro delle fonti
meccanismi normativi che ne prevedano la diretta
vincolatività per il giudice italiano. Anche in tale
prospettiva, l’accertamento della sussistenza dei
presupposti della domanda di equa riparazione – ovvero, la
complessità del caso, il comportamento delle parti e la
condotta dell’autorità – così come la misura del segmento,
all’interno del complessivo arco temporale del processo,
riferibile all’apparato giudiziario, in relazione al quale
deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della
relativa durata, risolvendosi in un apprezzamento di
fatto, appartiene alla sovranità del giudice di merito e
può essere sindacato in sede di legittimità solo per vizi
attinenti alla motivazione» (Cass. n. 24399 del 2009);
che, nella specie, la Corte d’appello ha effettuato la
propria valutazione in ordine alla complessità del
giudizio presupposto alla luce dei criteri legali di cui
all’art. 2 della legge n. 89 del 2001, sicché ogni altra
valutazione avrebbe dovuto dall’amministrazione ricorrente
essere introdotta attraverso la pertinente deduzione di un

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dalla norma interna, deve riconoscersi soltanto il valore

vizio di omesso esame di un fatto decisivo, nei limiti in
cui il vizio è oggi deducibile avverso provvedimenti che,
come quello di specie, siano stati depositati dopo 1’11
settembre 2012 (Cass., S.U., n. 8053 del 2014);

impugnato la circostanza che, in relazione al medesimo
giudizio presupposto, la stessa Corte d’appello di Roma ha
determinato la durata ragionevole dello stesso in sette
anni per i due gradi di giudizio, atteso che, da un lato,
il decreto stesso non risulta essere stato riprodotto nel
presente giudizio; dall’altro, non è neanche stato
allegato che il decreto stesso sia divenuto irrevocabile,
con conseguente impossibilità di ritenere in qualche modo
vincolante il diverso accertamento nel presente giudizio;
che, in conclusione, il ricorso deve essere rigettato;
che non vi è luogo a provvedere sulle spese del
presente giudizio di cassazione, non avendo gli intimati
svolto attività difensiva.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della
VI – 2 Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione,

che non può neanche costituire vizio del provvedimento

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