Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20911 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 30/09/2020, (ud. 30/06/2020, dep. 30/09/2020), n.20911

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27250-2015 proposto da:

P.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195,

presso lo studio dell’avvocato SERGIO VACIRCA, rappresentato e

difeso dall’avvocato CLAUDIO LALLI;

– ricorrente –

contro

A.R.S.T. S.P.A. – Azienda Regionale Sarda Trasporti, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PAOLA FALCONIERI, 100, presso lo studio dell’avvocato

PAOLA FIECCHI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE

MACCIOTTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 241/2015 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 08/05/2015 R.G.N. 331/2013.

 

Fatto

RILEVATO

1. Il Tribunale di Cagliari aveva dichiarato la nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato tra la A.R.S.T. – Azienda Regionale Sarda Trasporti SPA (anche A.R.S.T., di seguito) – e P.P. con decorrenza dal 27 novembre 2009 e scadenza al 10 giugno 2009, scadenza prorogata al 31 dicembre 2010; aveva dichiarato la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato; aveva condannato l’Azienda al risarcimento in misura pari a tre mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;

2. la Corte di Appello di Cagliari, adita dalla A.R.S.T.. in via principale e dal P. in via incidentale, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato l’illegittimità dei termini apposti ai contratti dedotti in giudizio “senza possibilità di conversione del rapporto di lavoro” ed ha condannato l’A.R.S.T. a pagare al P. il risarcimento del danno nella misura corrispondente a quattro mensilità dell’ultima retribuzione ed ha rigettato l’appello incidentale proposto dal P.;

3. la Corte territoriale ha condiviso la sentenza impugnata quanto alla ritenuta illegittimità della clausola di durata ed ha evidenziato che la stessa mancava della necessaria specificità;

4. il giudice di appello ha ritenuto che la conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo in rapporto di lavoro a tempo indeterminato era impedita perchè il divieto di assunzione in assenza di procedura concorsuale previsto dalla L.R. n. 16 del 1974 doveva ritenersi vigente anche successivamente alla trasformazione dell’A.R.S.T. in società per azioni, avvenuta il 2.8.2007 ai sensi della L.R. n. 11 del 2005; tanto sul rilievo che tale divieto era stato recepito nello statuto della società e ha aggiunto che il medesimo divieto, che trovava ragione nel fatto che l’A.R.S.T. era una società per azione a totale partecipazione pubblica quale società in house della Regione e soggetta a controlli di quest’ultima, era coerente con le disposizioni della legislazione nazionale, che con il D.L. 25 giugno 2008, n. 112 aveva disposto che le società in house, che gestiscono servizi pubblici locali a rilevanza economica, adottano con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35;

5. la Corte territoriale ha condannato l’A.R.S.T. al pagamento dell’indennità risarcitoria parametrandola a 4 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla durata del rapporto, ed ha richiamato le disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 23 del 2015 in tema di licenziamento non sorretto da giustificato motivo oggettivo ritenendo questa fattispecie equiparabile a quella del contratto con termine illegittimo di cui non possa essere disposta conversione;

6. avverso questa sentenza P.P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da successiva memoria, al quale l’A.R.S.T. ha resistito con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

sintesi dei motivi del ricorso.

7. con il primo motivo è denunciata violazione e falsa applicazione della L.R. Sardegna 20 giugno 1974, n. 16 e della L.R. 7 dicembre 2005, n. 21, violazione e falsa applicazione dell’art. 117 Cost., violazione della L. Cost. 28 febbraio 1948, n. 3, illegittimità costituzionale della L.R. Sardegna 20 giugno 1974, n. 16, in relazione agli artt. 3 e 117 Cost. e della L. Cost. 26 febbraio 1948, n. 3;

8. il ricorrente assume che la Corte territoriale ha male interpretato la L.R. Sardegna n. 16 del 1974, che pur stabilendo, all’art. 23, che le assunzioni devono avvenire “esclusivamente mediante concorso pubblico”, non prevede la nullità dei contratti stipulati senza previa procedura concorsuale e sostiene che tanto esclude il carattere inderogabile della disposizione alla quale dovrebbe essere attribuita natura meramente programmatica; assume che la L.R. n. 16 del 1974 non è più in vigore;

9. aggiunge che una diversa interpretazione determinerebbe l’illegittimità costituzionale di tale normativa per contrasto con la L. Cost. 26 febbraio 1948, n. 3, che dispone che la potestà legislativa della regione deve svolgersi in armonia con la Costituzione e i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali e delle norme fondamentali delle riforme economico sociali della Repubblica, e per contrasto con l’art. 117 Cost., che prevede che l’ordinamento civile è di competenza esclusiva dello Stato;

10. asserisce che la disciplina dei contratti a termine e delle conseguenze del loro abuso è dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001 e dalla L. n. 368 del 2001, di derivazione comunitaria in quanto applicativa della direttiva 70/99/CE;

11. sostiene che è privo di rilievo il riferimento alla L. n. 133 del 2008, art. 2 bis, c.d. patto di stabilità, perchè successiva ai fatti di causa e perchè non prevede il divieto di conversione dei contratti a termine;

12. con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L.R. n. 16 del 1974 e della L.R. n. 21 del 2005, nonchè conseguente violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 (per la ritenuta mancata abrogazione delle prime due norme ad opera del D.Lgs. n. 368 del 2001) nella parte in cui viene negata la conversione del contratto dichiarato nullo nel termine in contratto a tempo indeterminato; omessa e comunque contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia costituito dalla esistenza o meno di un obbligo di assunzione per concorso;

13. il ricorrente sostiene che: nella fattispecie dedotta in giudizio trova applicazione il D.Lgs. n. 368 del 2001; quest’ultimo ha abrogato per incompatibilità la L.R. n. 16 del 1974, a sua volta abrogata dalla L.R. n. 21 del 2005; il D.Lgs. n. 368 del 2001 regola i rapporti di lavoro a tempo determinato di tutti i dipendenti pubblici e privati e aggiunge che non può trovare applicazione il D.Lgs. n. 165 del 2001, perchè l’A.R.S.T. anche al momento della stipula del contratto dedotto in giudizio era una società per azioni e che pertanto trova applicazione il D.Lgs. n. 368 del 2001;

14. con il terzo motivo è denunciata la violazione del principio di effettività del risarcimento del danno conseguente falsa applicazione della liquidazione equitativa, vizio di motivazione, conseguente violazione degli artt. 1218,1219,1223,1224,1225 e 1226 c.c.;

15. il ricorrente imputa alla Corte territoriale di avere violato principio del diritto comunitario di effettività “(avente efficacia dissuasiva)” del risarcimento del danno;

16. assume che: il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36 ove pure non ritenuto abrogato per incompatibilità dal D.Lgs. n. 368 del 2001, deve essere disapplicato perchè, in difformità rispetto ai principi di diritto comunitario ed alla giurisprudenza della CGUE, non indica in misura concreta l’entità del risarcimento del danno; l’indennità risarcitoria deve essere commisurata a tutte le retribuzioni maturate dalla scadenza del contratto in applicazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 368 del 2001;

17. imputa alla Corte territoriale di avere liquidato il danno in via equitativa e forfettaria con mero richiamo, senza alcuna altra specificazione, del D.Lgs. n. 81 del 2015 e in violazione delle norme del codice civile richiamate nella rubrica;

in via preliminare.

18. va respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dalla controricorrente in quanto i requisiti imposti dall’art. 366 c.p.c., rispondono ad un’esigenza che non è di mero formalismo, in quanto finalizzati a consentire al giudice di legittimità di acquisire il quadro degli elementi fondamentali in cui si colloca la decisione impugnata, indispensabile per comprendere il significato e la portata delle censure;

19. non è, quindi, necessario che la sentenza venga trascritta nei suoi esatti termini, essendo sufficiente che il ricorrente individui e sintetizzi le ragioni sulle quali poggia la decisione e li confuti con argomenti specificamente riferibili al “decisum”, ragioni che il ricorrente ha esplicitato nelle prospettazioni difensive sviluppate a sostegno dei vizi addebitati alla sentenza impugnata;

20. a prescindere dai profili di infondatezza e di inammissibilità di cui si dirà innanzi (cfr. “infra” punti da 49 a 51 di questa ordinanza), va rigettata anche l’eccezione di improcedibilità, ovvero di inammissibilità, del ricorso formulata dalla controricorrente sul rilievo della mancata impugnazione della sentenza nella parte in cui ha considerato preclusiva alla conversione del rapporto la disposizione contenuta nel D.L. n. 112 del 2008, art. 18, comma 2 bis convertito con modificazioni nella L. n. 133 del 2008 e integrato dalla L. n. 102 del 2009, art. 19;

21. il ricorrente con i primi due motivi di ricorso ha negato proprio la ricostruzione della disciplina di fonte legale, statale e regionale, ritenuta applicabile dalla Corte territoriale al rapporto dedotto in giudizio, disciplina che compete alla Corte di Cassazione di individuare;

esame dei motivi.

22. è utile premettere che la sentenza impugnata ha accertato, e sul punto non è stata formulata alcuna censura, (cfr. sentenza impugnata, pg. 4 i capoverso), che il P. ha lavorato alle dipendenze della odierna controricorrente in virtù di un contratto a tempo determinato avente decorrenza il 27.11.2009 e scadenza al 30.6.2010, scadenza successivamente prorogata al 31.12.2010;

23. le censure che attengono alla questione relativa alla conversione dei rapporti a tempo determinato in rapporti a tempo determinato stipulati dalla A.R.S.T. (primo e secondo motivo), da scrutinarsi congiuntamente in ragione della connessione logica che le avvince, sono già state affrontate da questa Corte in numerose pronunce (Cass. n. 6818/2018; Cass. n. 6672/2018; Cass. n. 5525/2018; Cass. n. 5524/2018; Cass. n. 5395/2018; Cass. n. 4897/2018; Cass. n. 4358/2018; Cass. n. 3621/2018) relative a fattispecie nelle quali, come nel caso in esame, veniva in rilievo la stipulazione di contratti a tempo determinato stipulati con la A.R.S.T. nella vigenza del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 18 conv. con modd. dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, disposizione citata nella sentenza impugnata;

24. nelle sentenze innanzi richiamate è stato affermato che:

25. il D.L. n. 112 del 2008, art. 18, convertito con modificazioni dalla L. n. 133 del 2008, nel testo applicabile “ratione temporis” risultante dalle modifiche apportate dalla L. n. 102 del 2009, di conversione del D.L. n. 78 del 2009, al comma 1 estende alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi-pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, comma 3, ed al comma 2 prescrive alle “altre società a partecipazione pubblica totale o di controllo” di adottare “con propri provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità”;

26. il comma 2 bis (introdotto dal D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 19, comma 1 convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009, n. 102 e non applicabile “ratione tempris” alla vicenda in esame) prevede che “le disposizioni che stabiliscono, a carico delle amministrazioni di cui al D.Lgs. n. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, e successive modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano, in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale nè commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) ai sensi della L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 5”;

27. il legislatore nazionale, pur mantenendo ferma la natura privatistica dei rapporti di lavoro, sottratti alla disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, ha inteso estendere alle società partecipate i vincoli procedurali imposti alle amministrazioni pubbliche nella fase del reclutamento del personale, perchè l’erogazione di servizi di interesse generale pone l’esigenza di selezionare secondo criteri di merito e di trasparenza i soggetti chiamati allo svolgimento dei compiti che quell’interesse perseguono (C.d.S. – Sezione Consultiva per gli atti normativi n. 2415/2010);

28. la norma recepisce i principi affermati dalla Corte Costituzionale già a partire dalla sentenza n. 466/1993, con la quale il Giudice delle leggi ha osservato che il solo mutamento della veste giuridica dell’ente non è sufficiente a giustificare la totale eliminazione dei vincoli pubblicistici, ove la privatizzazione non as urna anche “connotati sostanziali, tali da determinare l’uscita delle società derivate dalla sfera della finanza pubblica”;

29. la giurisprudenza costituzionale distingue, dunque, la privatizzazione sostanziale da quella meramente formale (Corte Cost. nn. 29/2006, 209/2015, 55/2017) e sottolinea che in detta seconda ipotesi viene comunque in rilievo l’art. 97 Cost., del quale il D.L. n. 112 del 2008, art. 18, costituisce attuazione, tanto da vincolare il legislatore regionale ex art. 117 Cost. (Corte Cost. n. 68/2011);

30. in tema di società partecipate le Sezioni Unite di questa Corte, chiamate a pronunciare sul riparto di giurisdizione fra giudice ordinario, contabile ed amministrativo, hanno evidenziato che la partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta assoggettata al regime 9iuridico proprio dello strumento privatistico adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica (cfr. fra le più recenti Cass. S.U. n. 24591/2016 e con riferimento ai rapporti di lavoro Cass. S.U. n. 7759/2017);

31. detta ricostruzione sistematica è stata fatta recentemente propria dal legislatore che del D.Lgs. n. 165 del 2016, art. 1, comma 3 (Testo Unico delle società a partecipazione pubblica) ha previsto che “Per tutto quanto non derogato dalle disposizioni del presente decreto, si applicano alle società a partecipazione pubblica le norme sulle società contenute nel codice civile e le norme generali di diritto privato”;

32. quanto ai rapporti di lavoro l’art. 19 richiama al comma 1 “le disposizioni del capo 1, titolo 2, del libro 5 del codice civile, delle leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell’impresa, ivi incluse quelle in materia di ammortizzatori sociali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, e dai contratti collettivi” facendo, però, salve le diverse disposizioni speciali dettate dallo stesso decreto che, per quel che qui rileva, art. 19, comma 2, impone alle società a controllo pubblico di stabilire “criteri e modalità per il reclutamento del personale nel rispetto dei principi, anche di derivazione Europea, di trasparenza, pubblicità e imparzialità e dei principi di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 35, comma 3” ed al comma 4 prevede espressamente la nullità dei contratti di lavoro stipulati in difetto dei provvedimenti e delle procedure di cui al comma 2;

33. il legislatore del Testo Unico, quindi, pur ribadendo la non assimilabilità delle società partecipate agli enti pubblici e l’inapplicabilità ai rapporti di lavoro dalle stesse instaurati delle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, ha previsto significative deroghe alla disciplina generale, che trovano la loro giustificazione della natura del socio unico o maggioritario e negli interessi collettivi da quest’ultimo curati, sia pure attraverso il ricorso allo strumento societario;

34. dai principi affermati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità nonchè dell’evoluzione del quadro normativo non si può prescindere nel pronunciare sulle conseguenze che derivano dalla violazione del D.L. n. 112 del 2008, art. 18 norma richiamata nella sentenza impugnata, e sui riflessi della normativa speciale rispetto a quella generale dettata in tema di contratti di lavoro flessibile;

35. quanto al primo aspetto, premesso che non può dubitarsi del carattere imperativo della disposizione in commento, l’omesso esperimento delle procedure concorsuali previste dal comma 1 e di quelle selettive richiamate nel comma 2, determini la nullità del contratto ai sensi dell’art. 1418 c.c., comma 1, perchè la violazione attiene al momento genetico della fattispecie negoziale e, quindi, la stessa non può essere solo fonte di responsabilità a carico del contraente inadempiente;

36. le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. n. 26724 del 2017), nel delimitare l’ambito delle cosiddette nullità virtuali, hanno osservato che in linea generale occorre tener conto della “tradizionale distinzione tra norme di comportamento dei contraenti e norme di validità del contratto: la violazione delle prime, tanto nella fase prenegoziale quanto in quella attuativa del rapporto, ove non sia, altrimenti stabilito dalla legge, genera responsabilità…. ma non incide sulla genesi dell’atto negoziale, quanto meno nel senso che non è idonea a provocarne la nullità”;

37. hanno, però, precisato che le norme che incidono sulla validità del contratto non sono solo quelle che si riferiscono alla struttura o al contenuto del regolamento negoziale ma anche quelle che “in assoluto, oppure in presenza o in difetto di determinate condizioni oggettive o soggettive, direttamente o indirettamente, vietano la stipulazione stessa del contratto: come è il caso dei contratti conclusi in assenza di una particolare autorizzazione al riguardo richiesta dalla legge, o in mancanza dell’iscrizione di uno dei contraenti in albi o registri cui la legge eventualmente condiziona la loro legittimazione a stipulare quel genere di contratto, e simili; se il legislatore vieta, in determinate circostanze, di stipulare il contratto e, nondimeno, il contratto viene stipulato, è la sua stessa esistenza a porsi in contrasto con la norma imperativa; e non par dubbio che ne discenda la nullità dell’atto per ragioni – se così può dirsi – ancor più radicali di quelle dipendenti dalla contrarietà a norma imperativa del contenuto dell’atto medesimo”;

38. l’omesso esperimento delle procedure concorsuali o selettive non genera solo responsabilità contabile a carico dei dirigenti delle società partecipate, posto che l’individuazione del contraente con modalità difformi da quelle prescritte dal legislatore, si risolve nella mancanza in capo a quest’ultimo dei requisiti soggettivi necessari per l’assunzione;

39. in merito al rapporto fra procedura concorsuale del D.Lgs. n. 165 del 2001 e contratto di lavoro, si è osservato che “sussiste un inscindibile legame fra la procedura concorsuale ed il rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica, poichè la prima costituisce l’atto presupposto del contratto individuale, del quale condiziona la validità, posto che sia la assenza sia la illegittimità delle operazioni concorsuali si risolvono nella violazione della norma inderogabile dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, attuativo del principio costituzionale affermato dall’art. 97, comma 4 della Carta fondamentale” (Cass. n. 13884/2016).

40. va esclusa la portata innovativa del D.Lgs. n. 175 del 2016, art. 19, comma 4, che, nel prevedere espressamente la nullità dei contratti stipulati in violazione delle procedure di reclutamento, ha solo reso esplicita una conseguenza già desumibile dai principi sopra richiamati in tema di nullità virtuali in quanto sugli effetti del mancato rispetto degli obblighi imposti dal D.L. n. 112 del 2008, art. 18, la giurisprudenza di merito aveva espresso orientamenti opposti, sicchè la nuova normativa assume anche una valenza chiarificatrice della disciplina previgente (sulla possibilità che la norma sopravvenuta, seppure non di interpretazione autentica, possa non essere innovativa cfr. in motivazione Cass. S.U. n. 18353/2014 e Cass. n. 20327/2016).

41. Va affermato che per le società a partecipazione pubblica il previo esperimento delle procedure concorsuali e selettive condiziona la validità del contratto di lavoro, non può che operare il principio richiamato innanzi secondo cui anche per i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 36, la regola della concorsualità imposta dal legislatore, nazionale o regionale, impedisce la conversione in rapporto a tempo indeterminato del contratto a termine affetto da nullità;

42. diversamente opinando si finirebbe per eludere il divieto posto dalla norma imperativa che, come già evidenziato, tiene conto della particolare natura delle società partecipate e della necessità, avvertita dalla Corte Costituzionale, di non limitare l’attuazione dei precetti dettati dall’art. 97 Cost., ai soli soggetti formalmente pubblici bensì di estenderne l’applicazione anche a quelli che, utilizzando risorse pubbliche, agiscono per il perseguimento di interessi di carattere generale;

43. dette conclusioni non contrastano con quanto affermato da Cass. n. 23702/2013 perchè in quel caso veniva in rilievo un contratto a termine stipulato in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.L. n. 112 del 2008 e, quindi, in un contesto normativo diverso da quello che disciplina il contratto dedotto in giudizio;

44. le Sezioni Unite di questa Corte con le sentenze nn. 28330/2011 e 7759/2017, ribadita la inapplicabilità del D.Lgs. n. 165 del 2001, hanno solo escluso la giurisdizione del giudice amministrativo in relazione alle procedure concorsuali e selettive previste dal D.L. n. 112 del 2008, art. 18, commi 1 e 2, ma non hanno pronunciato sulle questioni che qui vengono in rilievo;

45. non v’è il denunciato contrasto con la direttiva 1999/70/CE e la eccepita illegittimità costituzionale della normativa per violazione dell’art. 3 Cost.;

46. la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha da tempo chiarito che spetta alle autorità nazionali adottare misure adeguate per far fronte agli abusi nella reiterazione dei contratti a termine e che queste ultime possono essere anche diverse dalla conversione in rapporto a tempo indeterminato, purchè rispettino i principi di equivalenza e siano sufficientemente effettive e dissuasive per garantire l’efficacia delle norme adottate in attuazione dell’Accordo quadro recepito dalla direttiva (v. da ult. C. Giust. UE, 12 dicembre 2013, C-50/13, Papalia; Id., 7 settembre 2006, C-53/03, Marrosu e Sardino; Id., 7 settembre 2006, C-180/04, Vassallo; Id., 4 luglio 2006, C212/04, Adeneler);

47. la Corte Costituzionale, che ha evidenziato la assimilabilità al lavoro pubblico dei rapporti instaurati con le società partecipate, ha escluso che una difformità di trattamento con l’impiego privato, rispetto alla sanzione generale della conversione di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, possa dirsi ingiustificata ove vengano in rilievo gli interessi tutelati dall’art. 97 Cost., ed in particolare le esigenze di imparzialità e di efficienza dell’azione amministrativa (Corte Cost. nn. 89/2003), esigenze che ad avviso della stessa Corte stanno alla base della disciplina dettata dal richiamato del D.L. n. 112 del 2008, art. 18 (Corte Cost. n. 68/2011);

48. il Collegio ritiene di dare continuità ai principi affermati nelle sentenze richiamate nel punto n. 23 di questa ordinanza condividendone tutte le ragioni esposte, da intendersi qui richiamate ex art. 118 disp. att. c.p.c., atteso che il ricorrente nel ricorso e nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. non apporta argomenti decisivi che impongano la rimeditazione dell’orientamento giurisprudenziale innanzi richiamato, posto che la sentenza di questa Corte n. 5063 del 2018, invocata dal ricorrente nella memoria, costituisce un precedente isolato, superato dalle sentenze nn. Cass. n. 6818/2018; Cass. n. 6672/2018; Cass. n. 5525/2018; Cass. n. 5524/2018; Cass. n. 5395/2018;

49. le prospettazioni difensive sviluppate dal ricorrente (primo e secondo motivo) correlate alle L.R. n. 16 del 1974 e L.R. n. 21 del 2005 e al D.Lgs. n. 368 del 2001 (“per la ritenuta mancata abrogazione delle prime due norme ad opera del D.Lgs. n. 368 del 2001”), oltrechè prive di decisività alla luce delle considerazioni innanzi svolte in merito al divieto di conversione imposto dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 18 conv. con modd. dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, disposizione richiamata nella sentenza impugnata, sono inammissibili perchè non sono in alcun modo correlate alla “ratio decidendi” che sorregge la sentenza impugnata (cfr. infra punti nn. 50 e 51 di questa ordinanza);

50. la questione posta dalla controricorrente (controricorso pgg. 9, 29), relativa alla sopravvivenza del divieto previsto dalla L.R. n. 16 del 1974, art. 23 in ragione del suo recepimento nello statuto dell’A.R.S.T. spa, pur pregnante, oltrechè non decisiva alla luce di quanto innanzi considerato in ordine al divieto di conversione imposto dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 18 conv. con modd. dalla L. 6 agosto 2008, n. 133, disposizione questa, che come innanzi ribadito, è richiamata nella sentenza impugnata, non è esaminabile perchè estranea ai motivi di ricorso;

51. infatti, come già evidenziato, l’affermazione della Corte territoriale (cfr. punto n. 4 di questa sentenza) secondo cui il divieto di conversione del rapporto a termine previsto dalla L.R. n. 16 del 1974 era stato recepito nello statuto della A.R.S.T. spa, in piena coerenza con le disposizioni contenute nel D.L. n. 112 del 2008, non risulta aggredita da nessuna delle censure formulate dal ricorrente il quale ha denunciato (primo motivo) la violazione delle L.R. n. 16 del 1974 e L.R. n. 21 del 2005, dello Statuto della Regione Sardegna (approvato con la Legge Costituzionale n. 3 del 1948, deducendone il contrasto con gli artt. 3117 Cost., e la violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001 (secondo motivo) senza correlazione alcuna con affermata esistenza nello Statuto della A.R.S.T. spa del divieto di assunzione in assenza di procedura concorsuale e con la statuizione che ha ritenuto il divieto conforme e coerente alle disposizioni contenute nel D.L. n. 112 del 2008;

52. il terzo motivo di ricorso è inammissibile per difetto di rilevanza;

53. il ricorrente si duole del criterio di liquidazione del danno adottato dalla Corte d’Appello, in quanto il risarcimento, equitativo e forfettario, non sarebbe effettivo come, invece, nel caso della corresponsione di tutte le retribuzioni dalla scadenza del contratto alla sentenza;

54. in tal modo, tuttavia, prescinde, sia pure quanto al profilo risarcitorio, dall’intera “ratio decidendi” della statuizione del giudice di appello che ha come inscindibile presupposto logico-giuridico la legittima impossibilità di dare corso alla trasformazione e riconoscere al lavoratore un posto di lavoro a tempo indeterminato, a cui consegue la non assimilabilità della mancata trasformazione a voce di danno;

55. quanto all’applicazione del D.Lgs. n. 183 del 2010, art. 32 il ricorrente non ne contesta la quantificazione, nè ha dedotto di aver allegato e provato danni ulteriori.

56. sono inammissibili le censure che addebitano alla sentenza il vizio di omessa e comunque contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (secondo motivo) e il vizio di motivazione (terzo motivo) perchè estranee al perimetro del mezzo impugnatorio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile “ratione temporis” perchè la sentenza impugnata è stata pubblicata il 9 gennaio 2015);

57. in conclusione, il ricorso va rigettato;

56. le spese del giudizio di legittimità, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza;

57. ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato paria quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

P.Q.M.

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali forfetarie, oltre IVA e CPA.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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