Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20910 del 12/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 20910 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: MANCINO ROSSANA

SENTENZA

sul ricorso 316-2012 proposto da:
DURANTI MARIA LORENA DRNMLR54R64G344N, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 9, presso lo studio
dell’avvocato RICCI ROSELLINA, rappresentata e difesa
dall’avvocato FESTA EMILIO;
– ricorrente contro

2013
1686

POSTE

ITALIANE

S.P.A.,

in

persona

del

legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio dell’avvocato
PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende giusta

Data pubblicazione: 12/09/2013

delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

233/2011

della CORTE D’APPELLO

di PERUGIA, depositata il 19/08/2011 r.g.n. 185/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

14/05/2013

dal Consigliere Dott. ROSSANA

MANCINO;
udito l’Avvocato FESTA EMILIO;
udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega PESSI ROBERTO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

4

r.g.n. 316/2012 Duranti Maria Lorena c/Poste italiane s.p.a.
Ud 14 maggio 2013

i.

Con sentenza del 19 agosto 2011, la Corte d’Appello di Perugia
accoglieva il gravame svolto da Poste italiane s.p.a. contro la
sentenza di primo grado e, per l’effetto, respingeva la domanda di
Duranti Maria Lorena volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità
del licenziamento intimato dalla società.

2

La Corte territoriale puntualizzava che:
– Poste italiane s.p.a. intimava il licenziamento disciplinare senza
preavviso a Duranti Maria Lorena per le gravi irregolarità
riscontrate nel periodo in cui, dal 10 al 15 luglio 2006, la predetta
dipendente era stata chiamata a sostituire la direttrice dell’ufficio
postale di Allerona stazione, assente per ferie;
– gli addebiti mossi dal datore di lavoro – aver corrisposto importi
inferiori rispetto ai prelevamenti contabilizzati da alcuni libretti
postali sui quali comparivano correzioni manuali e aver
trattenuto, a proprio vantaggio, la differenza – venivano
contestati dalla lavoratrice che impugnava il licenziamento per
mancanza d’immediatezza della contestazione degli addebiti (del

3.

29 gennaio 2007);
il primo giudice, nel contraddittorio con il datore di lavoro,
riteneva illegittimo il licenziamento sulla scorta della
contraddittorietà delle risultanze testimoniali acquisite nel
processo penale (nel quale la lavoratrice era stata assolta dai reati
di falso, peculato ed altro) e in quello civile;
la sentenza veniva gravata dalla società.

A sostegno del decisum, la Corte territoriale riteneva:
– erronea la decisione di prime cure, sia per aver trascurato la
reciproca autonomia del giudizio penale e civile, sia per l’erronea
valutazione delle risultanze testimoniali;

Rossana Mancino est.
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Svolgimento del processo

-

accertati, dall’istruttoria espletata, i fatti oggetto di contestazione
disciplinare, e cioè che la Duranti aveva approfittato della sua
posizione per sottrarre denaro ad alcuni clienti, mediante artifici
contabili comportanti addebiti sui conti correnti o libretti di
risparmio superiori rispetto alle somme effettivamente
consegnate a ciascuno dall’addetta allo sportello;
la gravità dell’infrazione ai doveri della dipendente, oltretutto
reiterate in brevissimo periodo;
sussistente il requisito dell’immediatezza della contestazione, da
intendere in senso relativo, posto che il dies a quo dal quale
valutare la tempestività della contestazione degli addebiti non
coincide con la conoscenza legale del fatto da parte del datore di
lavoro, sibbene si identifica con il momento in cui il fatto è
portato a conoscenza del soggetto specificamente competente
alla contestazione secondo l’organizzazione aziendale e, nella
specie, ciò avvenne il 28 novembre 2006 allorché la relazione
ispettiva fu ricevuta dall’ufficio regionale risorse umane di
Firenze, il cui responsabile contestò, in seguito, gli addebiti e
irrogò la sanzione;
il lasso temporale di due mesi, tra la conoscenza del fatto da
parte del soggetto competente alla contestazione (in data 28
novembre 2006) e la contestazione medesima (in data 29
gennaio 2007), non appariva né eccessivo né irragionevole,
tenuto conto della dimensione della società e della sua
organizzazione complessa, ma funzionale ad un’adeguata
valutazione e ponderazione dei fatti.

4. Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, Duranti Maria
Lorena ha proposto ricorso per cassazione fondato su due motivi.
La parte intimata ha resistito con controricorso. Le parti hanno
depositato memorie ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione
5. Con articolato motivo di ricorso, la parte ricorrente denuncia
erroneità e incongruità della motivazione (erroneo ed incongruo
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6. La censura, pur evocando una violazione di legge, investe, invece,
l’accertamento in fatto non censurabile con il mezzo d’impugnazione
prescelto.
7. In ogni caso la doglianza, volta a comparare le deposizioni
testimoniali assunte nelle due diverse sedi processuali (penale e
civile) per suffragarne la non concordanza è inammissibile anche
perché fondata su documenti (risultanze testimoniali in sede penale)
non allegati al ricorso.
8. Con il secondo motivo, deducendo vizio di motivazione e
violazione dell’art.7 L.n.300/70, il ricorrente si duole che la Corte di
merito non abbia adeguatamente motivato, a fronte della specifica
censura, in ordine alla tempestività dell’intimazione di licenziamento
rispetto alla condotta contestata. Assume che il decorso di un lasso
temporale di circa sei mesi tra inadempimento e contestazione
disciplinare, ovvero tre mesi, tenuto conto che già nell’agosto 2006 la
società aveva trasmesso la notizia di reato alla Procura della
Repubblica di Orvieto, sarebbe sintomatico della volontà datoriale
di rinunziare all’esercizio del potere disciplinare e dell’acquiescenza
ai comportamenti del lavoratore, così da rendere inesistente la giusta
causa del licenziamento che non consente la prosecuzione neppure
provvisoria del rapporto di lavoro. Inoltre ritiene che la ragionevole
elasticità del requisito dell’immediatezza debba essere interpretato
nel senso che il giudice debba adeguatamente motivare le ragioni
eccezionali che abbiano indotto il datore a discostarsene.
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apprezzamento dell’esito della prova, travisamento dei fatti, erronea
e incongrua violazione dell’art.2697 c.c.); violazione e omessa
applicazione dell’art. 115 e 116 c.p.c. (omessa valutazione delle prove
acquisite nel primo e nel secondo grado del giudizio comprovanti
l’insussistenza dei fatti sottesi al licenziamento); violazione delle
norme già richiamate per avere la Corte di merito attribuito un fatto
nonostante la mancanza di prova diretta degli elementi costitutivi
dello stesso e la contestuale sussistenza della prova contraria.
Assume che la ricostruzione della Corte di merito non corrisponde
alle risultanze probatorie dei diversi giudizi non correttamente
apprezzate.

10. Peraltro, come ritenuto in numerosi precedenti di questa Corte, il
requisito dell’immediatezza è da intendersi in senso relativo, potendo
in concreto essere compatibile con un intervallo di tempo, più o
meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda
uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessità della
struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il
provvedimento di recesso. (tra le altre v. Cass. nn. 5664/2013;
15469/2010; 5546/2010; 13167/2009; 2580/2009).
E stato, inoltre, precisato che ove sussista un rilevante intervallo
temporale tra i fatti contestati e l’esercizio del potere disciplinare, la
tempestività di tale esercizio deve essere valutata in relazione al
tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilità del fatto,
nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo, la cui prova è a
carico del datore di lavoro (Cass. 7410/2010).

m. Tanto premesso, nella vicenda in esame la ricorrente, a suffragio
dell’intempestività della contestazione, si limita ad evocare la
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Rossana Mancino est.

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9. Osserva il Collegio che costituisce espressione di un principio
consolidato l’affermazione di questa Corte secondo la quale in tema
di licenziamento per giusta causa, l’immediatezza della
comunicazione del provvedimento espulsivo rispetto al momento
della mancanza addotta a sua giustificazione, ovvero rispetto a quello
della contestazione, si configura quale elemento costitutivo del
diritto al recesso del datore di lavoro. Invero, la tempestività della
reazione del datore di lavoro all’inadempimento del lavoratore
riveste un particolare rilievo in quanto, quando si tratti di
licenziamento per giusta causa, il tempo, più o meno lungo, trascorso
tra l’accertamento del fatto attribuibile al lavoratore e la successiva
(contestazione di addebito ed) intimazione di licenziamento
disciplinare può, in concreto, indicare l’assenza di un requisito della
fattispecie prevista dall’art. 2119 cod. civ. (incompatibilità del fatto
contestato con la prosecuzione del rapporto di lavoro) ed essere,
quindi, sintomatico della mancanza d’interesse all’esercizio del diritto
potestativo di licenziare (v., tra le altre, Cass. 15649/2010).

13. Rimane, pertanto, confinato sul piano della mera tesi difensiva
l’assunto secondo cui con la denunzia alla Procura della Repubblica
di Orvieto, per i medesimi fatti storici successivamente contestati, la
società aveva avuto, fin da quel momento, conoscenza degli
accadimenti.
14. La Corte territoriale ha fatto, pertanto, corretta applicazione del
principio secondo cui l’immediatezza della contestazione degli
addebiti va intesa in senso relativo, dovendosi tenere conto – in
specie quando sussistano, come nella specie, ragioni obbiettive che
possono far ritardare il momento della percezione – del tempo
necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti da parte del
soggetto abilitato ad esprimere la volontà imprenditoriale di recedere
(v., fra le altre, Cass. 282/2008).
15. Né, infine, la ricorrente, come già rilevato, ha analiticamente
denunciato la violazione di eventuali pattuizioni collettive recanti la
prescrizione di un termine per la previa contestazione dell’addebito
dalla cognizione del fatto.
/6. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la

soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese, liquidate in euro 50,00 per esborsi, oltre euro 3.500,00
per compensi professionali, oltre accessori di legge

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trasmissione della notitia climinis alla Procura della Repubblica già
nell’agosto del 2006, della quale nella sentenza impugnata non vi è
alcuna menzione, pretendendo in tali termini di confutare l’iter
argomentativo della Corte territoriale per cui al termine
dell’ispezione (25/29 agosto 2006) “la notitia criminis non era neppure
tecnicamente esistente poiché doveva essere firmata dal responsabile
del servizio ispettivo”.

Così deciso in Roma, il 14 maggio 2013.

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