Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2091 del 28/01/2011

Cassazione civile sez. trib., 28/01/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 28/01/2011), n.2091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARLEO Giovanni – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

cui domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12.

– ricorrente –

contro

Autodrive s.r.l.. con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante sig. B.T., rappresentata e difesa per

procura speciale autenticata per atto notaio Dott. Fontana Canneto di

Brescia, rep. n. 21977, dall’Avvocato Russo Andrea, elettivamente

domiciliata presso il suo studio in Roma, viale Castro Pretorio n.

122.

– controricorrente ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 80/63/08 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, Sezione distaccata di Brescia, depositata

il 18 aprile 2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

dicembre 2010 dal consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. Marcello

Matera.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il Collegio, letto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 80/63/09 del 18.4.2008 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, Sezione distaccata di Brescia, che aveva respinto il suo appello per la riforma della pronuncia di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto dalla Autodrive s.r.l., concessionaria per la rivendita di automobili, per l’annullamento dell’avviso di accertamento che le contestava l’omessa fatturazione a fini iva di somme di denaro ricevute dalla concedente a titolo di bonus per standard organizzativi, indice soddisfazione clienti e organizzazione ricambi, avendo ritenuto il giudice di secondo grado che i bonus predetti consistessero nella concessione, in presenza di determinati risultati, di meri sconti sul prezzo di vendita di beni praticati al concessionario, con l’effetto di sottrarli alle operazioni imponibili;

letto il controricorso della società contribuente, che ha proposto altresì ricorso incidentale condizionato;

ritenuta la necessità di riunire i ricorsi, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., in quanto proposti avverso la medesima sentenza;

vista la relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ. dal consigliere delegato Dott. Mario Bertuzzi, che ha concluso per l’infondatezza del ricorso dell’Agenzia delle Entrate, assorbito l’incidentale, osservando che:

– “l’eccezione di inammissibilità del ricorso principale sollevata dalla controricorrente per inesistenza della sua notifica è infondata, atteso che il predetto atto è stato correttamente notificato nel domicilio eletto dalla società con il proprio atto di costituzione in appello”;

– “il primo motivo del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate denunzia vizio di insufficienza motivazione e si conclude con il seguente momento di sintesi: “Il vizio qui denunziato consiste nel non avere la CTR indicato da quali elementi e fonti di prova, precisamente da quali clausole contrattuali, derivi il convincimento che dette attività non fossero qualificabili come vere e proprie prestazioni, non costituissero oggetto di obbligo in capo al concessionario e infine non soggiacessero alla sanzione della risoluzione”;

– “il mezzo appare infondato avendo la Commissione regionale fondato il proprio accertamento mediante richiamo al contenuto delle clausole contrattuali che prevedevano i predetti bonus per standard organizzativi, indice soddisfazione clienti e organizzazione ricambi, argomentando come il raggiungimento di tali risultati da parte della concessionaria non configurassero obbligazioni ma più semplicemente “condizioni all’avverarsi delle quali è prevista una diminuzione del prezzo delle auto vendute”, aggiungendo, a sostegno di tale conclusione, che “nessuna penale e nessuna clausola risolutiva è prevista a carico del concessionario nel caso in cui quegli obiettivi, cioè a dire quelli cui sono connessi i bonus, non vengano raggiunti, sicchè non vi è azione in capo al concedente per ottenere coattivamente le previste attività”;

“il secondo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 2 e 3, si conclude con il seguente quesito di diritto: “Dica la Corte se debbano essere qualificati come corrispettivi da prestazione di servizi ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1, 2 e 3, i bonus riconosciuti dalla società concedente alla concessionaria e che si pongono come compenso di prestazioni specifiche, regolate dal contratto di concessione come distinte dalla mera rivendita dei beni, e se conseguentemente sia illegittima una sentenza che omette di ritenere tali bonus come corrispettivi imponibili ai fini IVA”;

“il mezzo appare chiaramente inammissibile in quanto si risolve nel richiedere a questa Corte un accertamento di mero fatto, in contrasto con quello effettuato dal giudice di merito”;

rilevato che la relazione è stata regolarmente comunicata al Procuratore Generale, che non ha svolto controsservazioni, e notificata alle parti e che la sola Agenzia delle Entrate ha depositato memoria;

ritenuto che le argomentazioni e la conclusione della relazione meritano di essere interamente condivise, apparendo opportuno aggiungere, in risposta alle osservazioni svolte dalla parte ricorrente principale nella propria memoria – laddove in particolare viene ribadito che il contratto intercorso tra concedente e concessionario, diversamente da quanto affermato dal giudice a qua, prevedeva una clausola risolutiva in caso di mancato raggiungimento degli standard per i quali erano stati concessi i bonus – che la relativa censura, che non riproduce l’esatto contenuto della clausola contrattuale che si assume colpevolmente ignorata dal giudice di merito, appare inammissibile per difetto di autosufficienza, il quale impone alla parte che deduca l’omessa considerazione di risultanze istruttorie di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate, al fine di consentire alla Corte – che, attesa la natura non processuale del vizio, non ha accesso diretto agli atti – di valutare la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004);

che, pertanto, il ricorso principale va respinto, mentre quello incidentale si dichiara assorbito, con condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese di giudizio, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale; condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in complessivi Euro 2.100, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali e contributi di legge.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2011

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