Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2091 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. I, 25/01/2022, (ud. 23/11/2021, dep. 25/01/2022), n.2091

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13157/2016 proposto da:

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente pro

tempore, e per il Commissario Straordinario di Governo per

l’Emergenza Rifiuti, ora Unità Tecnica Amministrativa, domiciliati

in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale

dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis;

– ricorrenti –

contro

Unione di Banche Italiane per il Factoring S.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, Via Toscana n. 10, presso lo studio dell’avvocato Rizzo

Antonio, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

Ferretti Roberto, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 901/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 04/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/11/2021 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Con atto notificato nel dicembre 2010 il Commissario Straordinario del Governo per l’Emergenza Rifiuti, successivamente Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile – Unità Stralcio D.L. n. 195 del 2009, ex art. 2, conv. in L. n. 26 del 2010 -, propose appello avverso la sentenza del Tribunale di Napoli con la quale era stata rigettata la propria opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo n. 2217 del 2006, provvisoriamente esecutivo, che lo aveva condannato al pagamento della somma di Euro 1.571.239,08, oltre interessi al tasso di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, fino al soddisfo, in favore di CBI Factor SPA, cessionaria in ragione di scrittura privata del 10/6/2004 del pari credito del Comune di Casalduni, quantificato nel Decreto Commissariale n. 427 del 2003, Decreto Commissariale n. 428 del 2003 e Decreto Commissariale n. 429 del 2003.

Per quanto ancora interessa, l’appellante aveva dedotto che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto provata la domanda attrice sul presupposto che il sub-commissario ex O.P.C.M. n. 2425 del 1996, firmatario degli anzidetti decreti, avesse riconosciuto il debito nei confronti del Comune, perché a tali atti non poteva riconoscersi il valore di ricognizione di debito, in quanto tale tipologia di atto è soggetto al controllo preventivo di legittimità della L. n. 289 del 2002, ex art. 23, comma 5, con trasmissione dello stesso agli organi di controllo ed alla competente Procura della Corte dei Conti e che, in mancanza, il riconoscimento di debito deve essere considerato nullo o inefficace; aveva, in via subordinata, chiesto, previa CTU, di rideterminare la somma dovuta in considerazione dell’effettività della prestazione resa.

La Corte di appello di Napoli ha rigettato il gravame. Tra l’altro, ha affermato che “al di là della condivisibilità o meno delle argomentazioni svolte dalla difesa distrettuale circa la obbligatorietà della sottoposizione del detto riconoscimento al controllo di legittimità, l’onere di fornire la dimostrazione che ciò non è avvenuto grava sull’appellante, onerata della prova della fondatezza dei motivi dei appello; ciò anche in considerazione del principio di vicinanza della prova, atteso che l’invio al controllo e la successiva attività procedimentale sono tutte attività poste sotto il governo della P.A.” (fol. 7 della sent. imp.).

La Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Commissario Straordinario di Governo per l’emergenza rifiuti, in seguito Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile – Unità Stralcio D.L. n. 195 del 2009, ex art. 2, conv. in L. n. 26 del 2010, ora Unità Tecnica Amministrativa L. n. 21 del 2016, ex art. 11 – D.P.C.M. 20 febbraio 2014, hanno proposto ricorso per cassazione con tre mezzi, seguiti da memoria.

Unione di Banche Italiane per il factoring SPA (di seguito, UBI Factor SPA) ha replicato con controricorso corroborato da memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 112,113,115,116,633 e 634 c.p.c., L. n. 289 del 2002, art. 23, comma 5, artt. 1418,1324 c.c.. I ricorrenti si dolgono che la Corte di appello abbia ritenuto provata la domanda dell’originaria attrice cessionaria del credito sul presupposto che il sub Commissario ex O.P.C.M. n. 242 del 1996, firmatario dei decreti commissariali del 14/10/2003, avesse riconosciuto il debito nei confronti del Comune di Casalduni.

Sostengono, in proposito, che tale decisione è errata perché la società cessionaria del credito aveva l’onere di provare in giudizio che i suddetti decreti, aventi valore di ricognizione di debito, atto soggetto al controllo preventivo di legittimità della L. n. 289 del 2002, ex art. 23, comma 5, erano stati trasmessi agli organi di controllo ed alla competente Procura della Corte dei Conti perché, in mancanza della relativa prova, l’atto ricognitivo doveva essere considerato nullo o inefficace.

1.2. Il motivo è fondato e va accolto.

1.3. La ricognizione di debito, di cui all’art. 1988 c.c., ha natura di atto unilaterale recettizio che può essere effettuato solo da chi abbia la disponibilità del negozio giuridico o dell’atto cui si riferisce il riconoscimento. Inoltre, al pari della promessa di pagamento, non costituisce autonoma fonte di obbligazione, ma ha soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, venendo ad operarsi, in forza dell’art. 1988 c.c., un’astrazione meramente processuale della causa debendi, comportante una semplice relevatio ab onere probandi per la quale il solo destinatario della ricognizione è dispensato dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria e che, oltre ad essere preesistente, può anche nascere contemporaneamente alla dichiarazione (o trovarsi in itinere al momento di questa), ma della cui esistenza o validità non può prescindersi sotto il profilo sostanziale, con il conseguente venir meno di ogni effetto vincolante della ricognizione stessa ove rimanga giudizialmente provato che il rapporto fondamentale non è mai sorto, o è invalido, o si è estinto, ovvero che esista una condizione ovvero un altro elemento attinente al rapporto fondamentale che possa comunque incidere sull’obbligazione derivante dal riconoscimento (Cass. n. 15575 del 11/12/2000).

1.4. Di recente è stato affermato, quanto agli effetti della c.d. ricognizione di debito titolata, che la ricognizione esonera dall’onere di provare il rapporto fondamentale soltanto il soggetto al quale è stata indirizzata, a meno che non contenga l’indicazione della causa debendi, perché, in tal caso, anche il cessionario del credito, quale successore a titolo particolare nel rapporto obbligatorio oggetto della scrittura ricognitiva, può avvalersi della presunzione correlata alla sottoscrizione della stessa (Cass. n. 26334 del 20/12/2016).

E’ evidente, però, che nel caso in cui la ricognizione di debito si inserisca in una complessa operazione di cessione del credito – come avvenuto nella fattispecie in esame – tale effetto può prodursi solo ove la ricognizione presenti tutti i requisiti formali e sostanziali di validità ed efficacia, perché, come più volte affermato, l’accettazione della cessione del credito da parte del debitore ceduto non costituisce ricognizione tacita del debito, trattandosi di una dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, sicché, il ceduto non viola il principio di buona fede nei confronti del cessionario, se non contesta il credito, pur se edotto della cessione (Cass. n. 3184 del 18/02/2016), né tale valenza può desumersi dal silenzio del debitore stesso sulla natura del credito ceduto – atteso che quest’ultimo si identifica con il contratto dal quale nasce, da presumersi noto al nuovo creditore – o dalla mancata informativa al cessionario sulle ragioni della contestazione del credito, in quanto l’obbligo di diligenza di cui all’art. 1176 c.c., è imposto al debitore solo nell’adempimento della prestazione, mentre non può essere esteso sino ad includere l’informazione dettagliata delle ragioni del rifiuto di adempiere (Cass. n. 26664 del 18/12/2007).

1.5. In proposito, va rimarcato che, come già affermato da questa Corte, ove l’atto ricognitivo del debito provenga da una pubblica amministrazione lo stesso richiede la forma scritta ad substantiam e la prova della sua esistenza e del suo contenuto non può essere fornita né attraverso la confessione, né mediante la testimonianza (Cass. n. 25435 del 6/12/2007).

Vi e’, inoltre, necessità di un’idonea manifestazione di volontà ricognitiva del debito adottata nelle forme di legge, potendo l’amministrazione obbligarsi solo nelle forme consentite e con assoggettamento dell’atto al riscontro di legittimità della Corte dei conti (Cass. n. 1834 del 21/6/1974), ciò perché la disciplina civilistica dettata dall’art. 1988 c.c. è applicabile agli atti della P.A. nel concorso dei requisiti formali e procedimentali che ne condizionano la validità e l’efficacia (Cass. n. 8643 del 29/05/2003; Cass. n. 25435 del 06/12/2007).

In tema, assume decisivo rilievo la L. n. 289 del 2002, art. 23, comma 5 (legge finanziaria 2003) che prevede l’obbligo delle Amministrazioni pubbliche di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 1, comma 2, “di trasmettere i provvedimenti di riconoscimento di debito agli organi di controllo e alla Procura della Corte dei Conti”.

Come chiarito dalla Corte dei Conti, “Gli artt. 5 e 23 della Legge Finanziaria per il 2003 (L. n. 289 del 2002) che hanno introdotto l’obbligo di trasmettere tutti i provvedimenti di riconoscimento di debito agli organi di controllo ed alla Procura competente della Corte dei Conti, hanno introdotto un adempimento nuovo ed autonomo finalizzato a richiamare le amministrazioni ad un uso limitato e prudente nel predetto istituto – indice sempre e comunque di patologie nell’ordinaria attività gestionale – ma non hanno innovato alla disciplina del controllo preventivo ancorata, per quanto attiene alla attività negoziale della amministrazione, ai limiti di somma previsti dalla L. n. 20 del 1994, art. 3, comma 4… Pur dopo l’intervento della L. n. 289 del 2002, art. 23, comma 5, che impone la trasmissione agli “organi di controllo ” e alla competenti Procure della Corte dei conti dei provvedimenti di riconoscimento di debito, gli atti stessi, allorché provengano da organi dello Stato, continuano ad essere soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte, per “equivalenza di effetti” con i decreti approvativi dei contratti passivi (art. 3, lett. g, ultimo periodo, della L. n. 20 del 1994), soltanto se superiori, per somma, ad un decimo della soglia comunitaria” (Corte dei Conti Sez. contr., n. 17 del 30/12/2003).

La L. n. 289 del 2002, art. 23, comma 5, ha, invero, superato anche il vaglio di costituzionalità e la Corte Costituzionale, con la sentenza 13-29 gennaio 2005, n. 64, ha affermato che deve ritenersi legittimo il controllo svolto da un organo terzo, quale è la Corte dei Conti, sulla ricognizione di debito che integra una tipologia di provvedimento indice di possibili patologie nell’ordinaria attività di gestione, venendo altresì incontro alle esigenze di contenimento della spesa pubblica e di rispetto del patto di stabilità interno, in conformità al principio di buon andamento delle pubbliche amministrazioni.

1.6. Ne consegue che, l’adempimento della trasmissione dell’atto scritto di ricognizione di debito alla Procura regionale della Corte dei Conti, prescritto dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 23, comma 5, per le pubbliche amministrazioni nei casi ivi disciplinati, integra un requisito formale e procedimentale della ricognizione di debito che ne condiziona la validità e l’efficacia e di cui va tratta necessaria evidenza dal documento stesso, in quanto vincolato alla forma scritta, sia in ordine alla previsione dell’invio alla competente Procura regionale della Corte dei Conti, sia in ordine al tempestivo adempimento dell’onere stesso.

1.7. Tornando al caso in esame, se ne deduce che la Corte di appello, errando, ha ritenuto che fosse onere della debitrice ceduta provare il mancato adempimento della trasmissione della L. n. 289 del 2002, ex art. 23, comma 5, invocando, anche, il principio di vicinanza della prova, e non, invece, che fosse onere della creditrice cessionaria documentare di avere agito in giudizio sulla scorta di un atto connotato dalla ricorrenza dei requisiti formali e procedimentali richiesti, nel caso di specie, per potersi avvalere della ricognizione di debito “titolata” o, in mancanza, provare il rapporto fondamentale.

Va osservato, in proposito, richiamando i principi prima enunciati, che la cessione del credito non integra una ricognizione di debito tacita; che la ricognizione di debito cd. titolata può esonerare il creditore dall’onere di provare il rapporto fondamentale solo ove vi sia stata un’idonea manifestazione di volontà ricognitiva del debito; che la pubblica amministrazione può procedere alla ricognizione del debito – assimilabile per “equivalenza di effetti” con i decreti approvativi dei contratti passivi – solo nelle forme consentite e con assoggettamento dell’atto al riscontro di legittimità della Corte dei conti, ciò perché la disciplina civilistica dettata dall’art. 1988 c.c., è applicabile agli atti della P.A. nel concorso dei requisiti formali e procedimentali che ne condizionano la validità e l’efficacia; che l’adempimento dell’onere di trasmissione della ricognizione di debito ex art. 23, comma 5, cit., deve trovare evidenza nell’atto ricognitivo stesso, vincolato alla forma scritta ad substantiam; che, in mancanza di tale evidenza, la ricognizione risulta inefficace, a meno che il creditore che intende farla valere non provi che l’adempimento vi è stato, e che, in mancanza, il creditore cessionario ha l’onere di provare il rapporto fondamentale, senza che ciò possa avvenire sulla scorta della mera accettazione della cessione del credito.

La Corte di appello non si è attenuta a tali principi e la sentenza va cassata con rinvio, affinché vi dia applicazione.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c., artt. 112,113,115,116633 e 634 c.p.c., artt. 1260-1267 c.c., sotto un diverso profilo. I ricorrenti si dolgono che la Corte di appello abbia ritenuto provata la domanda dell’attrice cessionaria del credito sul presupposto del riconoscimento del debito.

Sostengono, in proposito, che, essendo l’operazione di cessione collegata all’erogazione di finanziamenti pubblici funzionali alla realizzazione di specifiche opere (mutuo di scopo) che potevano essere riconosciuti in via definitiva (e consuntivo) solo dopo la dimostrazione, da parte del Comune cedente, dell’effettiva esecuzione dei lavori e della loro corrispondenza al programma delle opere ammesse al finanziamento, l’effetto del trasferimento del credito e, quindi, del corrispondente debito verso Ubi Factor SPA – dal Comune al Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti – non si era mai verificato, non essendo stato provato dalla cessionaria che i crediti erano venuti ad esistenza, ovvero che il finanziamento potesse essere in concreto erogato al Comune per i lavori effettivamente eseguiti ed ammessi al finanziamento.

2.2. Con il terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 2 e segg. e dell’art. 1219 c.c.. I ricorrenti criticano il riconoscimento degli interessi nella misura di cui al D.Lgs. cit., come richiesto da Ubi Factor SPA, perché sostengono che i decreti commissariali di riconoscimento del diritto del Comune a conseguire il finanziamento pubblico, posti a base dell’accoglimento della domanda della cessionaria del credito, pacificamente non costituiscono transazione commerciale onde l’inapplicabilità degli interessi commerciali, riconosciuti nel caso specifico. Pur negando la dovutezza degli interessi moratori in concreto, sostengono che avrebbero dovuto, al più, essere applicati gli interessi legali con decorrenza dalla messa in mora.

2.3. I motivi secondo e terzo sono assorbiti dall’accoglimento del primo.

3. In conclusione va accolto il primo motivo, assorbiti gli altri; la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione per il riesame e per la liquidazione delle spese di legittimità.

P.Q.M.

– Accoglie il primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 23 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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