Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20909 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. II, 21/07/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 21/07/2021), n.20909

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26233/2016 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI GRACCHI

39, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCA GIUFFRE’, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati CONCETTA DONATACCI

CIRELLI, FAUSTA BRIGHENTI;

– ricorrente –

contro

M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE

SANTO 10/A, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FOSCHIANI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA CECILIA

FRANCHETTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1651/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 08/10/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. M.G. citò in giudizio innanzi al Tribunale di Modena B.M. per chiedere, con sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., il trasferimento dei 50% di un immobile sito in (OMISSIS), che la convenuta aveva promesso di vendere con contratto preliminare concluso tra le parti in data 21.5.2002.

1.1. La B. si costituì in giudizio per resistere alla domanda e, pur non disconoscendo l’autenticità delle firme apposte sul contratto, contestò la validità dell’accordo e negò di aver ricevuto la caparra confirmatoria.

1.2. Il Tribunale accolse la domanda.

1.3. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza dell’8.10.2015, rigettò l’appello proposto da B.M..

1.4. La Corte d’appello ritenne, in primo luogo, che la regolarità urbanistica dell’immobile promesso in vendita era stata dimostrata con la produzione, nel giudizio di appello, della concessione edilizia in sanatoria, rilevando che il titolo di proprietà prodotto in primo grado si riferiva ad un’autorimessa e non al villino, che era stato successivamente realizzato e regolarizzato dal punto di vista urbanistico. Detta produzione era ammissibile in grado d’appello in quanto la concessione in sanatoria costituiva una condizione dell’azione non soggetta a preclusioni processuali, secondo Cass. Civ. Sez. Unite 23825/2009. La corte di merito rigettò l’eccezione di tardività del deposito del fascicolo dell’appellato, avvenuto dopo lo scadere del termine per il deposito delle comparse conclusionali in quanto il deposito era avvenuto prima dell’udienza di discussione, fissata dopo lo scambio delle memorie ex art. 190 c.p.c.. Nel merito, la corte distrettuale valorizzò gli accertamenti svolti in sede penale e, segnatamente, il giudicato costituito dalla sentenza della Corte d’appello di Bologna, che aveva confermato la condanna della B. per il reato di calunnia per avere incolpato il M. di aver redatto un contratto preliminare falso; sulla base del giudicato penale, accertò che le firme erano autentiche ed erano state consapevolmente apposte, trattandosi peraltro di contratto concluso nello studio di un avvocato. In ogni caso era dirimente, al fine della volontà contrattuale della B., la sussistenza di una scrittura integrativa, redatta in data 15.7.2002, confermativa dell’accordo del 21.5.2002.

2. Per la cassazione della sentenza d’appello ha proposto ricorso B.M. sulla base di cinque motivi.

2.1. Ha resistito con controricorso M.G..

2.2. In prossimità dell’udienza, la ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 169 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito fondato la decisione di accoglimento della domanda ex art. 2932 c.c., sulla base degli atti contenuti nel fascicolo di parte dell’appellato, che sarebbe stato tardivamente restituito dopo la scadenza del termine per il deposito della comparsa conclusionale. La ricorrente, premessa la perentorietà del termine per la restituzione del fascicolo di parte, rilevava che in esso era contenuto l’atto di concessione in sanatoria dell’immobile promesso in vendita e tale documento era stato prodotto solo in appello – sicché la corte di merito avrebbe dovuto decidere sulla base dei documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio e dichiarare la nullità del contratto per carenza di regolarità urbanistica.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. La riconsegna del fascicolo di parte dopo il deposito della comparsa conclusionale non integra un inadempimento specificatamente sanzionato dalla legge, la quale non commina al riguardo nessuna sanzione né con riguardo alla procedibilità dell’appello (Cass. n. 27298 del 2005; Cass. n. 2914 del 2001), né, come invocato dalla ricorrente, in termini di inammissibilità del deposito e quindi di inutilizzabilità dei fascicolo di parte. Prevale al riguardo la considerazione che la riconsegna del fascicolo di parte è finalizzato, sia a garantire il diritto di difesa della controparte, ai soli fini però del deposito della memoria di replica, sia, soprattutto, a consentire al giudice di prendere in considerazione, in sede di decisione, i documenti in esso inseriti. Ne deriva che il deposito, sia pure tardivo, consegue comunque l’effetto che gli è proprio, quello cioè di porre il giudicante nella condizione di decidere la lite esaminando i documenti presenti nel fascicolo di parte (Cass. 16672/2011 non massimata).

1.3. Nel caso di specie, peraltro dopo la scadenza dei termini ex art. 190 c.p.c., in data 15.9.2015, la corte d’appello, aveva fissato la discussione orale e l’appellato aveva depositato il fascicolo, mettendo la ricorrente nelle condizioni di esercitare compiutamente le sue difese ed il giudice di decidere sulla base della documentazione ritualmente prodotta in appello.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, art. 17, comma 2, art. 40, ora D.P.R. n. 380 del 2001, art. 46, dell’art. 2932 c.c., art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la concessione in sanatoria prodotta dal promittente venditore in primo grado si riferirebbe ad altro immobile.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in quanto la concessione in sanatoria si riferirebbe ad un immobile diverso da quello oggetto del contratto.

3.1. Il motivi, che per la loro connessione, possono essere esaminati congiuntamente in quanto attengono alla regolarità urbanistica dell’immobile oggetto del preliminare, sono inammissibili.

3.2. In primo luogo, viene censurata non la violazione di norme di diritto regolatrici della fattispecie ma accertamenti di fatto, che sono demandati al giudice di merito, il quale ha verificato che la concessione in sanatoria si riferiva all’immobile promesso in vendita dalla ricorrente.

3.3. Sotto il profilo del vizio motivazionale di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, non vi è stato l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, avendo la corte di merito preso in esame la concessione edilizia in sanatoria, prodotta in grado di appello riferita al villino promesso in vendita, laddove, in primo grado il titolo di proprietà dell’immobile oggetto del preliminare riguardava un’autorimessa, demolita dalle parti ed oggetto di interventi edilizi poi sanati con l’atto concessorio prodotto in appello.

4. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,2725 e 2726 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito ritenuto valida la firma apposta a margine e non in calce al contratto con la quale si attestava il versamento della caparra. Nel sostenere la validità come quietanza della firma apposta a margine del preliminare, il giudice di merito avrebbe violato i canoni ermeneutici relativi all’interpretazione del contratto, con particolare riferimento alla volontà delle parti, oltre alla violazione dei limiti della prova del pagamento previsti dagli artt. 2725 e 2726 c.c.. Inoltre, la corte di merito avrebbe errato nell’attribuire valore confermativo alla scrittura del 15.7.2002.

4.1. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi.

4.1. In disparte l’apoditticità dell’affermazione relativa all’invalidità, ai fini della prova della quietanza, della firma apposta a margine e non in calce al contratto, va osservato che la corte di merito ha ritenuto assorbente la circostanza che, con successiva scrittura del 15.7.2002, regolarmente sottoscritta anche dalla ricorrente e non oggetto di specifica censura, le parti, avessero confermato gli accordi del contratto preliminare oggetto di causa.

5. Con il quinto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito regolato le spese secondo il principio della soccombenza, pur avendo dato atto della nullità della sentenza di primo grado per aver fatto riferimento ad una concessione edilizia non pertinente all’immobile oggetto del preliminare. Sulla base del principio di causalità, il giudice d’appello avrebbe dovuto tener conto della soccombenza virtuale dell’attore.

5.1. Il motivo è infondato.

5.2. Come affermato nella giurisprudenza di questa Corte in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice di appello che rigetti il gravame nei suoi aspetti di merito, non può, in assenza di uno specifico motivo in ordine alla decisione sulle spese processuali, modificare il contenuto della statuizione di condanna al pagamento di tali spese assunta dal giudice di primo grado, compensandole, attesi i limiti dell’effetto devolutivo dell’appello, alla cui applicabilità non è di ostacolo il carattere accessorio del capo sulle spese, che resta pur sempre autonomo (Cass., 3 maggio 2010, n. 10622).

5.2. Il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il corrispondente onere deve essere attribuito e ripartito in ragione dell’esito complessivo della lite, mentre in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d’impugnazione (Cass., 14 ottobre 2013, n. 23226).

5.3. Nel caso di specie, il giudice d’appello ha confermato la sentenza di primo grado, sia pure sulla base di un nuovo documento prodotto in appello afferente la regolarità urbanistica del villino, che la parte poteva produrre senza che operasse alcuna preclusione processuale (Cass. Civ. Sez. Unite 23825/2009) sicché, in assenza di uno specifico motivo sulla regolamentazione delle spese di lite, ha correttamente fatto applicazione del principio della soccombenza.

6. Il ricorso va pertanto rigettato.

6.1. Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

6.2. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

 

 

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