Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20908 del 12/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 20908 Anno 2013
Presidente: STILE PAOLO
Relatore: FERNANDES GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 22773-2011 proposto da:
GRECO

PAOLO

GRCPLA49L16I208W,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato MICELI MARIO, che lo rappresenta e
difende giusta delega in atri;
– ricorrente2013
1552

contro

PULITZER ITALIANA S.R.L. IN LIQUIDAZIONE, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 28, presso lo

studio dell’avvocato BOLOGNESI RICCARDO,

che la

Data pubblicazione: 12/09/2013

rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 5706/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 24/09/2010 r.g.n. 6468/07;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica

FERNANDES;
udito l’Avvocato MICELI MARIO;
udito l’Avvocato BOLOGNESI RICCARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO

FATTO
Greco Paolo — dirigente con funzioni di Direttore tecnico dell’Officina
Farmaceutica di produzione della Pulitzer Italiana s.p.a. — impugnava
innanzi al Tribunale di Roma il licenziamento per giusta causa e giustificato
motivo oggettivo intimatogli dalla società in data 5.7.2002.
L’adito giudice, con sentenza del 28.6.2006, in accoglimento della
domanda, annullava il licenziamento e – avendo ritenuto il Greco “pseudodirigente” benché inquadrato come dirigente — ordinava alla Pulitzer di

reintegrarlo nel posto di lavoro con condanna al pagamento delle
retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento al 30.8.2002, oltre
accessori di legge, nonché di ulteriori somme per retribuzioni dovute e non
pagate in relazione a due settimane nel periodo di giugno 2002 ed a 40
giorni nei mesi di luglio — agosto 2002, oltre accessori di legge. Veniva,
inoltre, rigettata la domanda riconvenzionale di risarcimento danni spiegata
dalla società.
Il Tribunale, partendo dalla constatazione che nel corso dell’ispezione
ministeriale effettuata nell’officina farmaceutica di cui il Greco era direttore
erano state rilevate “carenze nelle condizioni igieniche dei locali,
irregolarità nel sistema di stoccaggio, irregolarità nella produzione dovute a
deficienze strutturali , igieniche e di manutenzione”, aveva ritenuto provato
l’assunto del ricorrente secondo il quale le mancanze riscontrate nel
verbale ispettivo erano addebitabili esclusivamente alla società che nonostante le segnalazioni intervenute nel corso degli anni da parte del
Greco ed anche di una società di consulenza e di società committenti — non
aveva provveduto a dar corso alle indicazioni formulate.
Tale decisione veniva riformata dalla Corte di appello di Roma, con
sentenza del 24.9.2010, che in parziale accoglimento del gravame della
Pulitzer, rigettava la domanda proposta dal Greco.
Per quello che ancora interessa, la Corte territoriale — premesso che era
incontestato l’inquadramento del Greco quale dirigente — riteneva che la
qualifica dirigenziale attribuita al predetto corrispondeva alla sua effettiva
posizione nell’ambito aziendale e perchèt direttore tecnico dell’officina
farmaceutica, settore di rilevante importanza per l’attività imprenditoriale di
produzione di farmaci svolta dalla società, e per le responsabilità previste
per detto incarico dal dLgs. n. 178/1991 nonché per la circostanza che a lui
si riportassero altri tre dipendenti con la qualifica di quadro. Evidenziava,
altresì, la Corte che l’attività svolta dal Greco, quale capo dell’officina di

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produzione farmaci, fosse strettamente correlata e diretta alla realizzazione
degli obiettivi imprenditoriali precisando che non poteva giungersi e
differenti conclusioni — come, invece, affermato nell’impugnata sentenza —
sulla base della mancanza del potere di spesa il quale oltre a non essere
considerato nella norma contrattuale, ben poteva essere riservato agli
organi societari. Rilevava, inoltre, che, contrariamente a quanto affermato
dal Tribunale, degli addebiti mossi al Greco numerosi erano allo stesso
imputabili in considerazione del ruolo ricoperto ed erano di gravità tale da

ledere irreversibilmente il vincolo fiduciario necessario per lo svolgimento
del rapporto, tenuto conto della sua elevata qualifica professionale e della
posizione di responsabilità rivestita nell’azienda.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso il Greco affidato a
tre motivi.
Pulitzer Italiana s.p.a. in liquidazione resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

DIRITTO
Preliminarmente, va rilevato che nella memoria ex art. 378 c.p.c. la Pulitzer
Italiana s.r.l. in liquidazione ha evidenziato che in data 10 marzo 2013 è
stata cancellata dal Registro delle imprese e, quindi, ha chiesto che venisse
dichiarata l’interruzione del presente giudizio.
L’assunto non può essere condiviso alla luce della costante giurisprudenza
di questa Corte secondo cui, al giudizio di cassazione, in quanto dominato
dall’impulso d’ufficio, non sono applicabili le comuni cause di interruzione
previste in via generale dalla legge (ex multis, Cass.,SU, 14385/2007; Cass.
n. 88685/2012; Cass. 21153/2010; Cass. 12967/2008). Del resto, anche la
decisione delle Sezioni Unite richiamata in memoria ( la n. 6070/2013)
precisa che non vi è motivo per non ritenere applicabili alla fattispecie della
società cancellata le disposizioni dettate dagli art. 299 e segg. c.p.c. in tema
di interruzione e di eventuale prosecuzione o riassunzione della causa.
Ciò premesso, con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione o
falsa applicazione degli artt. 1 CCNL per i Dirigenti delle aziende industriali e
4 del dLgs n. 178/1991 .
Si assume che nelle mansioni del Direttore tecnico così come individuate
nell’art. 4 comma 5° del dLgs cit. non vi era traccia dell’elevato grado di
professionalità, autonomia e potere decisionale richiesti dall’art. 1 CCNL
menzionato. Inoltre, il ricorrente, un chimico, certamente in possesso di una
elevata professionalità che lo rendeva idoneo a sobbarcarsi tutta l’attività

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puramente produttiva dell’officina nonché i controlli sulla medesima,
sicuramente esplicava una propria autonomia di natura chiaramente tecnica,
ma non aveva alcun potere in relazione alle scelte relative agli investimenti in
materiali e macchinari all’interno dell’officina, alla formazione ed
all’assunzione del personale da utilizzare, sui prodotti farmaceutici da
sintetizzare, sulle spese per le forniture. In altri termini, le attività descritte
normativamente dall’art. 4 comma 5° del dLgs. cit. non erano espressione di
un elevato grado di autonomia e potere decisionale da utilizzare per il

conseguimento degli obiettivi della datrice di lavoro e la cui sussistenza era
considerata un carattere essenziale della figura di dirigente così come
delineata dall’art. 1 CCNL menzionato.
Con il secondo motivo si deduce omessa e/o contraddittoria motivazione
circa fatti controversi e decisivi per il giudizio nonché falsa applicazione
dell’art. 111 Cost. in quanto la Corte di merito, senza motivare, avrebbe
implicitamente presupposto e ritenuto: accertati i fatti di cui alla
contestazione; di poter attribuire la responsabilità degli stessi al lavoratore
piuttosto che all’azienda; che le esimenti di responsabilità addotte dal
ricorrente non avessero alcun valore. Più in particolare avrebbe negato
valore probatorio a determinate circostanze indicate nel ricorso introduttivo
del giudizio e cioè: che la società aveva l’obbligo di mettere a disposizione
del direttore tecnico i mezzi necessari all’espletamento delle sue funzioni;
che il ricorrente non aveva alcun potere di decidere in concreto della
necessarie misure tecniche da adottare per l’adeguamento delle strutture
dell’officina agli “standards” tecnici di volta in volta imposti dalle normative né
aveva poteri di spesa; che l’azienda non aveva mai riscontrato le numerose
segnalazioni del Greco concernenti la necessità di adeguare gli impianti e di
formare il personale ma, anzi, aveva continuato a richiedere un
“alleggerimento” delle procedure alfine di comprimere i tempi di produzione
per incrementare la produzione stessa.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 420
c.p.c. nonché omessa e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e
decisivi per il giudizio per non avere la Corte di appello motivato l’implicito
rigetto della richieste istruttorie formulate dal ricorrente intese a provare che
egli, in qualità di direttore tecnico, aveva solo un potere/dovere di
segnalazione e di controllo e nessun potere di iniziativa o di gestione e che
aveva adempiuto ai suoi doveri di vigilanza con l’effettuare tutte le
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segnalazione del caso ma senza ottenere alcun riscontro dalla società e che
non aveva alcun potere decisionale o di spesa.
Il primo motivo è infondato.
La declaratoria dell’art. 1 CCNL Dirigenti Aziende Industriali prevede
espressamente che rientrano nella figura di dirigente, esemplificativamente, i
direttori, i condirettori, coloro che sono posti con ampi poteri direttivi a capo
di importanti uffici o servizi.
Orbene, la struttura di cui il Greco era Direttore tecnico era senza dubbio

alcuno, come correttamente rilevato dalla Corte di merito, un servizio di
rilevante importanza nell’ambito di una azienda la cui attività era la
produzione di farmaci. Inoltre, giustamente è stato evidenziato come tre
dipendenti con qualifica di “quadro” rispondessero del proprio operato al
Greco e che la norma contrattuale non prevedeva il potere di spesa tra le
caratteristiche proprie della qualifica di dirigente.
Quanto alla denunciata violazione del dLgs. n. 178/1991 si rileva che i
compiti, le responsabilità ed i poteri che tale norma pone a carico del
Direttore tecnico presuppongono necessariamente un elevato grado di
professionalità oltre che autonomia e potere decisionale, dipendendo, in
buona sostanza, dal Direttore tecnico il funzionamento dell’officina
farmaceutica la cui attività era strettamente correlata alla realizzazione dei
fini aziendali.
Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso.
Vale ricordare che il controllo di legittimità sulla motivazione delle sentenze
riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il
profilo della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte, in base
all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle
fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle
prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse
quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo
complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano
logico, nel suo intero tessuto ricostruttivo della vicenda (v. ex multis, S.U.
5802/1998; Cass. 4770/2006 e Cass. 1754/2007). Nè appare sufficiente, sul
piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito, il fatto
che alcuni elementi invocati dal ricorrente, possano essere in contrasto con
le valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale. Il
controllo, in sede di legittimità, sul giudizio di fatto del giudice di merito non
può infatti spingersi fino alla rielaborazione dello stesso alla ricerca di una
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soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta, da
sovrapporre, in una sorta di terzo grado di giudizio di merito, a quella operata
nei gradi di merito, dovendosi viceversa muovere esclusivamente nei limiti
segnati dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (ex multis, Cass. 6064/2008, Cass.
9477/2009). Occorre, pertanto, che gli specifici dati della controversia,
dedotti per invalidare la motivazione della sentenza impugnata con ricorso
per cassazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o
dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento

svolto dal giudicante o determini, al suo interno, radicali incompatibilità sì da
vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la
motivazione (v., tra le varie, Cass. 24744/2006, Cass. 17076/2007).
In tale ottica l’impugnata sentenza si presenta immune dai lamentati vizi.
Ed infatti il giudice di appello ha ben distinto i livelli di responsabilità
individuando le mancanze addebitate al Greco che concernevano la
violazione di doveri a lui imposti, quale direttore tecnico del settore
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produttivo, dall’art. 4 comma 5 lett. a), c) e g) del DLgs n. 178/1991 e quelle
carenze, invece, imputabili all’azienda.
In effetti il mezzo in esame non tiene conto della motivazione, sul punto,
fornita dalla Corte di merito in cui è, in modo chiaro ed esaustivo, detto che le
contestazioni contenute nella relazione ispettiva del 22 gennaio 2002 inerenti
la mancata osservanza delle procedure e degli adempimenti prescritti
(mancata campionatura dei contenitori dei principi attivi, mancate
registrazioni delle attività di pulizia e manutenzione nei registri macchina,
mancato lavaggio dei filtri mescolatori, mancanza del libro macchina per il
dissolutore che viene pulito con detergenti senza convalida delle pulizie,
mancata pulizia dell’armadio essiccatore tra un lotto e quello successivo e,
comunque, pulizia effettuata “solo con acqua a dispetto del fatto che non tutti
i prodotti fabbricati sono solubili in acqua”, registrazione dei dati grezzi dei
controlli in corso di fabbricazione non sulla documentazione del lotto etc. —
vedi l’elenco della mancanze a pag 6 della sentenza) erano imputabili ad
omessa vigilanza del Greco ed erano quelle poste a fondamento del
provvedimento espulsivo.
Quanto alle circostanze definite “esimenti” non considerate dalla Corte di
appello va rilevato che nella impugnata sentenza è stato evidenziato che le
omissioni imputabili al Greco erano sostanzialmente indipendenti dalle
carenze strutturali ascrivibili, invece, alla società ed alla stessa segnalate dal
predetto. In altri termini, il giudice del gravame ha ritenuto che la
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responsabilità derivante dalla violazione dei doveri facenti capo al Greco per
la funzione ricoperta non poteva ritenersi esclusa e neppure attenuata dalle
carenze strutturali indicate alla dirigenza della società.
Quanto sin qui esposto comporta anche la infondatezza del terzo
motivo.
Ed infatti le circostanze oggetto dei mezzi prova non ammessi sono prive del
carattere della decisività.

aver mai contestato l’esistenza delle irregolarità ma solo che le stesse
fossero a lui imputabili. Ebbene, in questa situazione le istanze istruttorie
implicitamente disattese dalla Corte di appello non appaiono decisive ai fini
della risoluzione della controversia proprio in considerazione del fatto che il
giudice del gravame ha distinto tra le carenze riscontrate dalla ispezione
ministeriale quelle che erano da addebitare alla società e quelle di cui il
Greco era responsabile in considerazione dei doveri a lui imposti come
direttore tecnico con una valutazione di merito non sindacabile in questa
sede.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono
poste a carico del ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso, condanna il ricorrente alle spese del presente
giudizio liquidate in euro 50,00 per esborsi ed in euro 3.000,00 per compensi,
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 7 maggio 2013
Il Consigliere est.

Il ricorrente, anche nel presente ricorso, finisce con il riconoscere di non

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