Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20906 del 12/09/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 20906 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 6431-2009 proposto da:
ANDREOTTI

GUGLIELMO

NDRGLL36D14G702G,

elettivamente domiciliato in ROMA,
AVEZZANA 31,

gia’

VIA GIUSEPPE

presso lo studio dell’avvocato DE

DOMINICIS ROMOLO,

che Io rappresenta e difende

unitamente all’avvocato COPPEDE’ GIANFRANCO, giusta
2013
1506

delega in atti e da ultimo domiciliato presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;
– ricorrente contro

COOPERATIVA APUANA A R.L. 00130180466, in persona del

Data pubblicazione: 12/09/2013

legale

rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, V. COLLAZIA 2-F, presso lo studio
dell’avvocato CANALINI FEDERICO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato IACOMINI GIOVANNI,
giusta delega in atti;

avverso la sentenza n. 302/2008 della CORTE D’APPELLO
di FIRENZE, depositata il 11/03/2008 R.G.N. 2132/05;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 24/04/2013 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito l’Avvocato DE DOMINICIS TOMMASO per delega
COPPEDE’ GIANFRANCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per l’accoglimento del ricorso.

– controricorrente

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Firenze, confermando la sentenza del Tribunale di Lucca, rigettava l’appello
proposto da Guglielmo Andreotti nei confronti della cooperativa Apuana s.r.l. per ottenere il

La corte territoriale nel ribadire che il rapporto si era svolto interamente prima della vigenza della citata
legge (che aveva previsto che il compenso del socio lavoratore di una cooperativa dovesse essere
ancorato alle tabelle salariali del contratto collettivo di riferimento) aveva accertato che la natura
mutualistica della società giustificava la determinazione del compenso da erogare con riguardo alle
determinazioni aziendali e sulla base della disponibilità finanziaria dell’azienda. Precisava che l’art. 36
della Costituzione poteva trovare applicazione nei limiti in cui non fosse compromessa la natura
mutualistica del rapporto. Sulla base di tale premessa aveva quindi ritenuto legittima la deliberazione
con la quale era stato stabilito un importo minore rispetto a quello indicato nelle tabelle salariali fatta
salva la possibilità di pretendere somme maggiori ove si riscontri che la società ne abbia capacità
finanziaria. Pertanto la Corte prendeva atto che con delibera del 1993, proprio sulla base del detto
principio mutualistico, era stato disposto l’inquadramento di tutti i soci lavoratori nella categoria C. Che
tale determinazione assembleare non era mai stata impugnata. Evidenziava infine che un maggior
compenso connesso all’attività svolta era stato attribuito solo a tre dipendenti ai quali erano assegnate
mansioni di vertice di tipo amministrativo o operativo.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’Andreotti sulla base di due motivi ulteriormente illustrati con
memoria ex art. 378 c.p.c.
La Cooperativa Apuana s.r.l. si è costituita con controricorso

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso viene censurata la sentenza di appello per avere con motivazione
omessa, insufficiente e contraddittoria mancato di prendere in esame gli elementi di fatto allegati dal
ricorrente che avrebbero consentito . di ritenere sussistente tra le parti un rapporto di lavoro
subordinato.
In particolare evidenziava che la Corte territoriale non aveva tenuto nella debita considerazione la
circostanza, pacifica tra le parti, che il rapporto tra l’Andreotti e la Cooperativa era iniziato tempo
addietro come rapporto di lavoro subordinato e che solo dopo circa dodici anni questi era divenuto
socio continuando, però, a prestare la sua attività lavorativa in favore della società.
Il secondo motivo di ricorso attiene ancora alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione
circa l’individuazione ed interpretazione della fonte degli obblighi di retribuzione convenzionalmente
assunti dalla società nei confronti dei propri dipendenti soci.

r.g. n.6431/2009

F.Garri

riconoscimento del suo diritto ad essere inquadrato nella categoria B del ccnl del settore industria
lapidea sul rilievo che il rapporto aveva avuto fine prima dell’entrata in vigore dalla 1. n. 142 del 2000.

Sostiene il ricorrente che la delibera del 18.11.1993 non era espressione della volontà assembleare della
società ma, piuttosto, del suo organo esecutivo e che comunque né fosse stata data una interpretazione
errata posto che nella delibera era previsto che a fronte dello svolgimento continuato di mansioni
superiori, circostanza non contestata con riguardo al ricorrente, fosse erogato il compenso
corrispondente.
Il ricorso non è fondato.

parametrare i compensi dei soci alle tabelle salariali. Tanto premesso ha ricordato che l’applicazione
dell’art. 36 della Costituzione era subordinato” nel regime antecedente la citata legge, al
contemperamento con la natura mutualistica e quindi, con accertamento in fatto in questa sede non
censurabile, ha escluso che la regolamentazione societaria predisposta per disciplinare i compensi ai soci
lavoratori (delibera del 18.11.1993) si ponesse in contrasto con i principi costituzionali richiamati.
Il ragionamento articolato dalla Corte territoriale, con motivazione sintetica ma logica, coerente ed
esauriente, risponde ai principi più volte affermati da questa Corte in base ai quali anche ai soci delle
cooperative di produzione e lavoro è riconosciuto il diritto, per le prestazioni erogate in favore della
società, ad una retribuzione che, in applicazione del disposto dell’art. 36 Cost, sia proporzionata alla
qualità e quantità del lavoro svolto e sia sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa ai soci e
alle loro famiglie, con il limite che non risulti vulnerata la funzione sociale della cooperazione a finalità
di mutualità (cfr. Cass. 28.8.2004 n. 17250 ed anche n. 3491/2003).
Per contro la censura, per quanto articolata, non chiarisce affatto in che misura un eventuale
accertamento da parte della corte di merito dell’esistenza in concreto di un rapporto di lavoro
subordinato avrebbe potuto influire in maniera decisiva sulla scelta dei giudici d’appello determinandoli
all’accoglimento della domanda di condanna al pagamento delle differenze retributive.
A pagina 14 del ricorso si precisa infatti che la censura ha ad oggetto la circostanza che la Corte
territoriale avrebbe anch’essa omesso di valutare, al pari del primo giudice le circostanze di fatto che,
ove tenute nella dovuta considerazione, avrebbero comprovato la coesistenza di un rapporto di lavoro
subordinato accanto al rapporto associativo, ma non chiarisce perché, per effetto di tale accertamento
decisivo, sarebbe conseguito il diritto del ricorrente a percepire i maggiori compensi chiesti.
La nozione di punto decisivo della controversia, di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., sotto un
primo aspetto si correla al fatto sulla cui ricostruzione il vizio di motivazione avrebbe inciso ed implica
che il vizio deve avere inciso sulla ricostruzione di un fatto che ha determinato il giudice
all’individuazione della disciplina giuridica applicabile alla fattispecie oggetto del giudizio di merito e,
quindi, di un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo od estintivo del diritto. Sotto un secondo
aspetto, la nozione di decisività concerne non il fatto sulla cui ricostruzione il vizio stesso ha inciso,
bensì la stessa idoneità del vizio denunciato, ove riconosciuto, a determinarne una diversa ricostruzione
e, dunque, asserisce al nesso di casualità fra il vizio della motivazione e la decisione, essendo, peraltro,
necessario che il vizio, una volta riconosciuto esistente, sia tale che, se non fosse stato compiuto, si
sarebbe avuta una ricostruzione del fatto diversa da quella accolta dal giudice del merito e non già la
sola possibilità o probabilità di essa. Infatti, se fosse configurabile il vizio di motivazione per omessa
considerazione di punto decisivo per il solo fatto che la circostanza di cui il giudice del merito ha
r.g. n.6431./2009

F.Garri

La Corte d’appello si è soffermata sulla circostanza che solo per effetto dell’entrata in vigore della 1. n.
142 del 2001, ratione tempotis non applicabile alla fattispecie in esame, è divenuto obbligatorio

omesso la considerazione, ove esaminata, avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione
del fatto diversa da quella adottata dal giudice del merito, oppure se il vizio di motivazione per
insufficienza o contraddittorietà fosse configurabile in relazione ad uno specifico fatto solo perché
appaia esistente una motivazione logicamente insufficiente o contraddittoria, senza che rilevi se la
decisione possa reggersi, in base al suo residuo argomentare, il ricorso per cassazione ai sensi
del n. 5 dell’art. 360 si risolverebbe nell’investire là Corte di Cassazione del controllo sic et semplieiter
dell’iter logico della motivazione, del tutto svincolato dalla funzionalità rispetto ad un esito della

In definitiva poiché nel caso in esame non è provato che l’accertamento della sussistenza di un rapporto
di lavoro subordinato tra le parti avrebbe determinato l’ accoglimento della domanda, la censura non
può essere accolta.
Anche il secondo motivo di ricorso non può essere accolto.
Nel giudizio di legittimità le censure relative all’interpretazione di un atto o di un contratto (nella specie
la delibera assembleare della società cooperativa del 18.11.1993) offerta dal giudice di merito possono
essere prospettate unichmente sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica
contrattuale e della insufficienza o • contraddittorietà della motivazione, mentre la semplice
contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata
non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima. La denuncia della violazione delle regole di
ermeneutica e la denuncia del vizio di motivazione esigono la specifica indicazione del modo attraverso
il quale si è realizzata l’anzidetta violazione e delle ragioni dell’obiettiva deficienza o contraddittorietà
del ragionamento del giudice, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di
un’interpretazione diversa da quella criticata (cfr. tra le altre Cass. 2.5.2012 n. 6641 ed anche n.
23635/2010). Tanto premesso si osserva che con la censura si chiede alla Corte di procedere ad una
interpretazione della delibera diversa da quella operata dal giudice di appello senza tuttavia sottolineare
le ragioni dell’erroneità del diverso percorso argomentativo seguito dal giudice di merito che ha ritenuto
che l’inquadramento convenzionate contenuto nella delibera (tutti i soci lavoratori erano stati inquadrati
nel livello C del c.c.n.l. di riferimento) fosse espressione del Criterio « mutualistico in base al quale, prima
dell’entrata in vigore della 1. n. 142 del 2001, era consentito di riconoscere retribuzioni anche inferiori al
minimo contrattuale ove la scelta fosse giustificata da esigenze di tipo mutualistico. Per altro verso ha
ritenuto conseguente all’applicazione del detto principio mutualistico la scelta societaria riprodotta nella
deliberazione citata di individuare a priori i soggetti rispetto ai quali il maggior compenso connesso allo
svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica convenzionalmente attribuita spettasse.
Tale interpretazione della delibera, rispettosa dei criteri ermeneutici e coerente con i principi che
regolavano le attività svolte nell’ambito delle società cooperative non si espone a rilievi di
contraddittorietà e illogicità e la diversa lettura proposta dal ricorrente presuppone un riesame dei fatti
che non compete a questa corte a meno che non siano evidenziati errori o omissioni nell’esame dei fatti
stessi con incidenza determinante sulla decisione.
In conclusione il ricorso deve essere respinto e la sentenza confermata.
Le spese, liquidate in dispositivo seguono la soccombenza.

r.g. n.6431/2009

F.Garri

ricostruzione del fatto idoneo a dare luogo ad una soluzione della controversia diversa da quella avutasi
nella fase di merito.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in
é 2000,00 per compensi professionali ed int50,00 per esborsi. Oltre accessori dovuti per legge.
Così deciso in Roma il 24 aprile 2013

Il consigliere estensore


LA CORTE

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