Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20905 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. VI, 21/07/2021, (ud. 23/06/2021, dep. 21/07/2021), n.20905

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

A.C., rappr. e dif. dall’avv. Luca Barcellini,

luca.barcellini.bergamo.pecavvocati.it, elettivamente domiciliato

presso la Cancelleria della Corte di cassazione, come da procura in

calce all’atto.

– ricorrente –

contro

PREFETTO DELLA PROVINCIA DI BERGAMO;

– intimato –

per la cassazione dell’ordinanza Giudice di pace Bergamo 14.1.2020,

in R.G. n. 4509/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 23 giugno 2021 dal Consigliere relatore Dott. Massimo Ferro.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:

1. A.C. impugna l’ordinanza Giudice di pace Bergamo 14.1.2020, in R.G. n. 4509/2019 che ha respinto la sua impugnazione avverso il decreto di espulsione emesso dal Prefetto di Bergamo il 9.9.2019;

2. il giudice ha ritenuto che: a) la mera allegazione di convivenza con altra cittadina extracomunitaria non costituiva ragione di vizio del provvedimento; b) l’ingresso illegale e l’assenza di titolo abilitativo alla permanenza erano ragioni per motivazione sufficiente dell’espulsione; c) non risultavano vizi quanto alla traduzione dell’atto, pervenuto in inglese, lingua ufficiale del Ghana;

3. il ricorso è su tre motivi, deducendosi: a) violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, difettando tutti i presupposti della norma ed in particolare l’ingresso illegale nel territorio nazionale, essendo invece il ricorrente entrato nel novembre del 2002 ed avendo conseguito, fino al 2017, un permesso di soggiorno e poi dichiarazione di ospitalità sindacale (Comune di (OMISSIS)); b) “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio” e “violazione dei diritti civili in caso di ritorno…nel Paese d’origine”, avendo errato la pronuncia nel non considerare il rischio per la vita e l’incolumità al rimpatrio in Ghana, stante anche la fede cristiana professata dal richiedente; c) omesso esame, nell’ordinanza, della “richiesta di matrimonio e la convivenza” indicate dal ricorrente, quali condizioni ostative all’espulsione, trattandosi di effettività provata del vincolo familiare.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:

1. i motivi, da trattare in via congiunta perché connessi, sono inammissibili, per plurimi profili; invero il ricorso omette di censurare in modo adeguato, decisivamente, la duplice affermazione del giudice di pace, in punto di mera allegazione (e dunque mancata prova) dell’attualità di un rapporto di convivenza e dell’assenza di un titolo abilitativo alla permanenza; nessuna di tali circostanze appare ricostruita in termini alternativi dal ricorrente, né questi fornisce elementi istruttori, introdotti avanti al giudice di merito e pretesamente trascurati in ordinanza, da cui inferire una reale pretermissione motivazionale;

2. viene meno perciò, con tale limite, la possibilità di riconoscere nel ricorso sufficienti tratti di specificità, posto che l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, qualunque sia il tipo di errore (“in procedendo” o “in iudicando”) per cui è proposto, “non può essere assolto per relationem con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, nonché le circostanze di fatto che potevano condurre, se adeguatamente considerate, ad una diversa decisione e dovendo il ricorso medesimo contenere, in sé, tutti gli elementi che diano al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi e della correttezza e sufficienza della motivazione della decisione impugnata” (Cass. n. 342/2021, n. 20454/2005);

3. la citata carenza si accompagna altresì, in questa sede, all’apparente novità della questione persecutoria religiosa, per la quale il ricorso si limita ad un generico richiamo del tema, in sede di “ampia discussione orale”, così come della circostanza della ospitalità rilasciata”, senza che siano stati aggiunti elementi di doverosa e più chiara cd. localizzazione processuale e dunque non potendosi esaminare il merito della pretesa violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1; va invero ribadito che “il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicché la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico”” (Cass. n. 28184/2020);

4. quanto infine al richiamo alle norme sul ricongiungimento familiare, oltre alla incompletezza redazionale rilevata, se ne ribadisce l’inconferenza, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2-bis, poiché risulta assente, già nella prospettazione della condizione invocata, un sufficiente grado di “vincolo familiare dell’interessato”, del tutto genericamente ascritto ad una “richiesta di matrimonio”, oltre che ad una “convivenza” non altrimenti specificate secondo i termini di apprezzabilità cui rinvia l’interpretazione corrente della norma; per essa, invero, “e’ necessario tener conto, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare, della natura e dell’effettività dei vincoli familiari, della durata del soggiorno, nonché dell’esistenza di legami con il paese d’origine” per cui “si applica – con valutazione caso per caso ed in coerenza con la Dir. comunitaria n. 2008/115/CE – anche al cittadino straniero che abbia legami familiari nel nostro Paese, ancorché non nella posizione di richiedente formalmente il ricongiungimento familiare, in linea con la nozione di diritto all’unità familiare delineata dalla giurisprudenza della Corte EDU con riferimento all’art. 8 CEDU, e fatta propria dalla sentenza n. 202 del 2013 della Corte Cost.. Tuttavia il giudice del merito è tenuto, onde pervenire all’applicazione della tutela rafforzata di cui al citato art. 13, comma 2 bis, a dare conto di tutti gli elementi qualificanti l’effettività di detti legami (rapporto di coniugio, durata del matrimonio, nascita di figli e loro età, convivenza, dipendenza economica dei figli maggiorenni etc) oltre che delle difficoltà conseguenti all’espulsione, senza che sia possibile, fuori dalla valorizzazione in concreto di questi elementi, fare riferimento ai criteri suppletivi relativi alla durata del soggiorno, all’integrazione sociale nel territorio nazionale, ovvero ai legami culturali o sociali con il Paese di origine” (Cass. n. 781/2019, n. 11955/2020); la elementarità di quanto rappresentato non trova, all’evidenza, alcuno spazio nel pur ampio catalogo prospettato dai citati precedenti, il ricorso e’, pertanto, inammissibile; sussistono i presupposti per il cd. raddoppio del contributo unificato (Cass. s.u. 4315/2020).

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

 

 

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