Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20905 del 15/10/2015
Civile Ord. Sez. 6 Num. 20905 Anno 2015
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE
ORDINANZA
sul ricorso 13468-2013 proposto da:
ROMA CAPITALE (02438750586) in persona del Sindaco
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE
21, presso l’AVVOCATURA CAPITOLINA, rappresentata e difesa
dall’avvocato SERGIO SIRACUSA, che lo rappresenta e difende;
– _ricorrente contro
NDP NUOVA DIMENSIONE PUBBLICITARIA SRL IN
LIQUIDAZIONE;
–
intimata
–
avverso la sentenza n. 100/21/2012 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di ROMA, depositata il 10/04/2012;
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_333
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Data pubblicazione: 15/10/2015
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
22/07/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO.
Ric. 2013 n. 13468 sez. MT – ud. 22-07-2015
-2-
La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria
la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,
osserva:
La CTR di Roma, decidendo sull’appello del Comune di Roma -appello
proposto contro la sentenza n.369/51/2010 della CTP di Roma che aveva accolto
il ricorso della NDP-Nuova dimensione pubblicitaria srl (in liquidazione),
dichiarando estinto il giudizio per avvenuta definizione degli avvisi di
accertamento notificati da parte del Comune di Roma ed aventi ad oggetto il
(secondo l’assunto di parte ricorrente) “recupero delle indennità e della sanzione
pecuniaria e degli interessi l’istallazione abusiva di impianti pubblicitari relativi
all’anno 2003”- ha dichiarato inammissibile l’appello del medesimo comune di
Roma sulla premessa del “difetto di legittimazione processuale del dirigente
firmatario dell’atto di appello”.
La predetta CTR —dato atto che nell’atto di appello medesimo si dichiarava che
il comune di Roma “è rappresentato e difeso dal direttore pro tempore della
U.O. Affissioni e Pubblicità — Direzione commercio e attività produttive, ai
sensi dell’articolo 34 dello statuto comunale …nonché ai sensi dell’art.11 terzo
comma del D.Lgs.546/1992, come novellato dalla legge 31.5.2005 n.88- ha
motivato la decisione ritenendo che l’appello fosse inammissibile, siccome la
rappresentanza ad agire in giudizio spetta esclusivamente al sindaco (nel mentre
l’art.3 bis della legge n.88/2005 prevede soltanto che l’ente comunale può stare
in giudizio senza l’assistenza del difensore tecnico, potendosi difendere a
mezzo del dirigente dell’ufficio tributi), e perciò il menzionato dirigente non
avrebbe potuto avere a riguardo alcun potere rappresentativo dell’ente.
Il comune di Roma ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico
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letti gli atti depositati,
motivo (oltre alla riproposizione dei motivi di merito al fine di chiedere alla
Corte di provvedere alla diretta decisione della controversia dopo avere disposto la
cassazione della sentenza impugnata)..
La parte contribuente non si è costituita.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore,
dell’art.375 cpc.
Infatti, con il motivo unico di impugnazione (centrato sulla violazione dell’art.11
del D.Lgs.54611992, dell’art.3 bis comma 1 del D.L. n.44/2005 nonché della
deliberazione C.C. n.122/2000 e di quella di giunta comunale n.182/2001 e,
conseguentemente, dell’art.3 della delibera di G.C. n.130/2000) la ricorrente si
duole del capo della decisione centrato sull’assunto del difetto della capacità di
rappresentanza processuale dell’ente in capo al menzionato dirigente che non
tiene conto del principio di “concorrenza della capacità rappresentativa attribuita
per statuto sia al dirigente che al sindaco”, alla luce del testo unico
sull’ordinamento degli enti locali (D.Lgs.267/2000) secondo il quale lo statuto del
comune può legittimamente affidare la rappresentanza a stare in giudizio anche ai
dirigenti, nell’ambito dei rispettivi settori di appartenenza, salva l’esclusiva
titolarità di tale potere in capo al sindaco ove tale specifica previsione non
sussista ed atteso che lo statuto del comune di Roma contempla appunto siffatto
potere rappresentativo all’art.34 comma 4.
Secondo l’appellante, d’altronde, anche la disciplina dell’art.3 bis del D.L.
n.44/2005 (che ha modificato l’art.11 del D.L. 546/1992 contempla il medesimo
potere di rappresentanza processuale in capo al dirigente dell’ufficio tributi,
disciplina applicabile anche ai giudizi già in corso, trattandosi di disposizione di
interpretazione autentica.
Né sarebbe conferente la limitazione del conferimento di potestà al solo
“dirigente dell’ufficio tributi”, atteso che gli avvisi impugnati provenivano proprio
dallo stesso dipartimento cui sopravvede il dirigente indicato in atto di appello,
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componente della sezione di cui all’art.376 cpc- può essere definito ai sensi
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con piena legittimazione del dirigente responsabile di detto reparto.
Il ricorso è infondato e da disattendersi, sebbene la Corte dovrà fare esercizio
del potere concessole dall’art.384 u.c. cpc al fine di correggere la sentenza
impugnata — non conforme a diritto nella parte motivazionale- salvo confermarne
il dispositivo di rigetto dell’appello, sia pure per ragione diversa da quella della
Ed invero, nell’ottica degli argomenti valorizzati dalla parte ricorrente per
censurare le ragioni su cui si fonda la decisione impugnata, occorre convenire
con la parte ricorrente nel senso dell’ormai consolidato orientamento di codesta
Suprema Corte in ordine al principio di diritto secondo cui:”In tema di contenzioso
tributario, l’art.3 bis, comma 1, d.l. 31 marzo 2005 n.44, convertito con
modificazioni nella legge 31 maggio 2005 n.88, in vigore dal 1 giugno 2005,
sostituendo il comma 3 dell’art.11, del d.lgs. 31 dicembre 1992 n.546 sul
contenzioso tributario, dispone che l’ente locale, nei cui confronti è preposto il
ricorso, può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, o, in
mancanza di tale figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione
organizzativa comprendente l’ufficio tributi; mentre il comma 2 dell’articolo 3 bis
citato estende ai processi in corso la suddetta disposizione, relativa alla
legittimazione processuale dei dirigenti locali (nella fattispecie, la S.C. ha
ritenuto ammissibile l’appello proposto dal dirigente del servizio affissioni e
pubblicità del Comune di Roma). (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 14637 del 22/06/2007;
conformi: Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10832 del 28/06/2012, Cass. Sez. 5, Sentenza n.
6807 del 20/03/2009).
Non merita, d’altro canto, soffermarsi sull’ulteriore aspetto del motivo di
impugnazione (afferente all’asserita violazione della previsione dell’art.34 dello
statuto comunale) perché la parte ricorrente (contravvenendo all’onere che le
incombe, le quante volte la disciplina invocata non rientri non novero di
quelle soggette al principio “iura novit curia”) non ha provveduto a produrre in
giudizio la invocata disciplina o comunque a precisare nel ricorso per cassazione
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ritenuta inammissibilità dell’atto introduttivo del grado di gravame.
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(in ossequio al canone di autosufficienza) se e dove detta produzione sia stata
effettuata in causa.
Ciò posto, la impugnazione di parte ricorrente non potrà comunque trovare
accoglimento proprio perché compete alla Corte la facoltà di decidere la
controversia anche nel merito delle questioni proposte con la devoluzione in
rappresentazione fattane dalla parte ricorrente nell’atto introduttivo di questo
grado) la sussistenza in capo all’organo giudiziario adito del potere di definire
la controversia, in considerazione della natura degli atti impugnati.
Detta questione va risolta —appunto- proprio alla luce delle allegazioni di parte
ricorrente che ha rappresentato essere oggetto di controversia il pagamento
dell’indennità (e connessi sanzione ed interessi) conseguente al mancato
pagamento del canone per l’installazione di mezzi pubblicitari (ovvero per
l’installazione abusiva di impianti pubblicitari) nel corso dell’anno 2003.
A proposito di siffatta materia (e cioè, esattamente, del pagamento
dell’indennità dovuta per “manifesti affissi abusivamente nel territorio di
competenza”) codesta Suprema Corte ha già avuto modo di chiarire che:”Il
canone per l’installazione di mezzi pubblicitari (CIMP), previsto dall’art. 62 del
d.lgs. n. 446 del 1997, come ritenuto dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 141 del 2009, costituisce una mera variante dell’imposta comunale sulla
pubblicità e conserva, quindi, la qualifica di tributo propria di quest’ultima, per
cui le controversie aventi ad oggetto la sua debenza spettano alla giurisdizione
delle commissioni tributarie” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 23195 del 03/11/2009,
ma anche Cass. Sez. U, Sentenza n. 11090 del 07/05/2010).
D’altronde, anche la Corte Costituzionale (chiamata appunto a pronunciarsi
sulla costituzionalità dell’art.2 del D.Lgs.546/1992 nella parte in cui contempla
anche il menzionato canone come oggetto degli avvisi impugnabili avanti alle
commissioni tributarie, peraltro a seguito della già pronunciata dichiarazione di
incostituzionalità della medesima norma nella parte in cui contemplava come
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appello della residua materia litigiosa, che concerne appunto (secondo la stessa
oggetto degli analoghi avvisi anche il diverso tributo denominato Cosap- Canone
occupazione spazi ed aree pubbliche, e cioè la sentenza n.64/2008) ha posto in
chiara evidenza che “in tema di giurisdizione tributaria, il legislatore, con l’art. 12,
comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448 (in vigore dal 1 gennaio 2002), ha
inteso abbandonare – almeno in linea di principio – il criterio dell’enumerazione
tassativa dei prelievi oggetto delle controversie attribuite alla cognizione delle
,
..
tributo propria di quest’ultima. Le controversie aventi ad oggetto la debenza del
CIMP, pertanto, hanno natura tributaria e la loro attribuzione alla cognizione delle
commissioni tributarie, ad opera della disposizione denunciata, rispetta l’evocato
parametro costituzionale” (Corte Cost.n.141/2009), dichiarando perciò non fondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, del
attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre
1991, n. 413) – come modificato dall’art. 3-bis, comma 1, lettera b), del decreto-legge
30 settembre 2005, n_ 203 (Misure di contrasto all’evasione fiscale e disposizioni
urgenti in materia tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 2 dicembre 2005, n. 248 -, sollevata, in riferimento all’art. 102,
secondo comma, della Costituzione
Da ciò consegue che —così come prospettata in atto di ricorso- l’impugnazione
dell’Amministrazione Comunale di Roma non è meritevole di accoglimento, sicché
la Corte potrà confermare la decisione del giudice del merito, per le ragioni di cui è
detto in precedenza, con dispositivo di rigetto dell’appello, anzicchè di
inammissibilità.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
manifesta infondatezza.
Roma, 25 giugno 2014
ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, limitatamente all’erroneità della
ratio (per violazione delle norme invocate dall’Amministrazione ricorrente con il
motivo unico di impugnazione) su cui riposa la decisine impugnata, mentre non può
condividere la proposta di motivazione sostitutiva contenuta nella relazione, alla luce
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decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in
del fatto che all’art. 384 cpc condiziona/e limita- il potere di correzione della
motivazione da parte della Corte al solo caso di “dispositivo conforme a diritto”, ciò
che non può dirsi nella specie di causa, atteso che il dispositivo della sentenza
impugnata è di accertamento della inammissibilità dell’appello, sicché non lo si
potrebbe mutare in quello di accertamento dell’infondatezza dell’appello;
che pertanto non resta che concludere per la necessità di una pronuncia che, in
impugnata, disponga il rinvio al giudice di appello affinché rinnovi l’esame del
gravame rivolto nei confronti della pronuncia di primo grado alla luce delle ragioni
che hanno indotto questa Corte all’accoglimento del ricorso;
che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvio alla CTR
Lazio che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese di lite del presente
giudizio.
Così deciso in Roma il 22 luglio 2015
I ‘residente
accoglimento del ricorso per cassazione ed a seguito della cassazione della sentenza