Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20902 del 03/10/2014


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 20902 Anno 2014
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: TRICOMI LAURA

SENTENZA

sul ricorso 26944-2008 proposto da:
SPERANZA MARIA, elettivamente domiciliata in ROMA VIA
LUCIANI 1, presso lo studio dell’avvocato MANCA DITTI
DANIELE, rappresentata e difesa dall’avvocato MISCALI
MARIO giusta delega a margine;
– ricorrente 2014
2169

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliato, in ROMA VIA DEI
PORTOGHESI ,12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che ls rappresenta e difende;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 03/10/2014

contro
AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI ALBENGA;
intimatct.

avverso la sentenza n. 51/2007 della COMM.TRIB.REG.
di GENOVA, depositata il 04/10/2007;

udienza del 10/06/2014 dal Consigliere Dott. LAURA
TRICOMI;

udito per il controricorrente l’Avvocato DE STEFANO
che ha chiesto il rigetto;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott.

PASQUALE FIMIANI che ha concluso per

il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

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1. Nel corso di una verifica svolta dalla Guardia di Finanza di Albenga per
gli anni di imposta 1997, 1998 e 1999 nei confronti della ditta individuale
“Beffi Daniel Factory di Speranza Maria”, esercente attività di fabbricazione
e commercio di gioielli, veniva rinvenuta numerosa documentazione,
consistente in dati informatici, nei personal computer aziendali, da cui vi
evinceva una contabilità occulta parallela in ragione del raffronto con la
documentazione e contabilità ufficiale. In particolare eratiVystatetpvidenziatek,
una serie di fatture con numerazione progressiva dal n.1000 (numerazione
alta) relativek, a clientela estera, non corrispondente alle operazioni registrate
nelle scritture contabili ufficiali e non risultanti nelle fatture ufficiali,
emesse con numerazioni progressive a partire dalla n.1 (numerazione bassa).
A seguito di tale verifica l’Agenzia delle Entrate notificava a Speranza
Maria, in data 17.02.04, l’avviso di accertamento n. 10350050022781450
per l’anno di imposta 1999 ai fini IVA, IRPEF ed IRAP, di un reddito di
Lire 798.653.000.
2. L’atto impositivo veniva impugnato dalla contribuente dinanzi alla
Commissione Tributaria Provinciale di Savona,
che
accoglieva
parzialemente il ricorso con la sentenza n.331/01/04 e rideterminava il
reddito in conseguenza del riconoscimento sui maggiori ricavi di costi in
ragione del 60%, rilevanti anche ai fini del calcolo IRAP, dichiarava le
operazioni non contabilizzate non imponibili ai fini IVA, rideterminava una
sanzione unica, in applicazione del principio del favor rei di cui all’art.12
DLGS n.472/97 con lo stesso criterio seguito dall’Ufficio nell’avviso di
accertamento.
3.Avverso tale sentenza proponeva appello principale la contribuente ed
appello incidentale l’Agenzia delle Entrate. La Commissione Tributaria
Regionale della Liguria rigettava l’appello della contribuente ed accoglieva
parzialmente l’appello incidentale dell’Agenzia delle Entrate con la sentenza
n.51/10/07 , depositata il 04.10.07 e non notificata.
4. Con tale decisione il giudice di seconde cure affermava che la
documentazione informatica non inserita nelle scritture contabili ‘ integrava
un fatto dal quale l’Ufficio poteva procedere legittimamente per la
ricostruzione delle operazioni non contabilizzate e sottratte all’imposizione
fiscale in via presuntiva. Rimarcava la discrasia tra l’elevato numero del cd.
“fatture “alte” rispetto a quelle “basse” e la circostanza che anche per le
prime fosse stata rinvenuta documentazione attestante la spedizione della
merce, circostanza confliggente con l’assunto della contribuente sulla natura
di meri ordini e preventivi delle fatture “alte”. Concludeva rilevando che le
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Cons. est. Laura Tricorni

RITENUTO IN FATTO.

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dichiarazioni del titolare e dei dipendenti della ditta non avevano fornito
giustificazioni convincenti.
5. Per la cassazione della sentenza della CTR della Liguria ha proposto
ricorso la contribuente Speranza Maria, ‘affidato a sette motivi; resiste con
controricorso l’Agenzia delle Entrate.

DiRrrro

1.1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta la erroneità della motivazione
della sentenza impugnata, sotto la forma del travisamento dei fatti, in
relazione all’art.360 comma I n.5, cpc su un punto decisivo della
controversia.
Sostiene la ricorrente che la CTR ha errato nel ritenere non “verosimili” le
argomentazioni difensive della contribuente circa la registrazione in forma
digitale di ordini e preventivi, laddove le stesse erano pienamente in linea
con la prassi commerciale ed economica.
Formula il seguente quesito “La sentenza impugnata ha erroneamente
disatteso le difese della contribuente secondo cui i dati digitali con
numerazione superiore a 1000 sono ordini e preventivi, considerandole
“non verosimili” sulla base di mere “valutazioni” dei militari della G. di F.
basate su ipotetici criteri di “logicità economica e commerciale”: la
motivazione è, pertanto, erronea perché è pienamente in linea con la
comune prassi commerciale ed economica la registrazione di ordini e3
preventivi relativi ai beni e alle prestazioni oggetto dell’attività di impresa e
Techè il giudizio di verosimiglianza è basato sulle “valutazioni” dei miliatri
della G. di F. che sono però palesemente inattendibili.
1.2. 11 motivo è palesemente inammissibile.
Innanzi tutto lo stesso risulta privo di autosufficenze, in quanto non ha
esposto gli elementi di fatto dai quali dedurre la natura di “ordini e
preventivi” in relazione alle annotazioni riportate sui personal computer
aziendali, oggetto di contestazione, limitandosi invece a contestare gli
elementi forniti dalla Agenzia delle Entrate.
Il motivo risulta inammisibile anche perché, in buona sostanza, sollecita una
nuova valutazione di merito dei fatti esaminati dalla CTR, inammissibile in
sede di legittimità, proponendo a sosstegno argomentazioni non giuridiche.
2. I numerosi motivi proposti, corredati dai prescritti quesiti, possono, in
alcuni casi, essere trattati congiuntamente, in riferimento alle questioni
poste.
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Cons. est. Laura Tricorni

CONSIDERATO IN

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3.1. Con il secondo motivo Speranza Maria lamenta la violazione
dell’art.2727 cc, in relazione all’art.360, comma 1 n.3 cpc asserendo che
non sussiste il fatto noto che dovrebbe supportare il ragionamento
presuntivo né sussistono presunzioni gravi, precise e concordanti.

3.2. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la erronea motivazione in
relaizone all’art.360 comma 1 n.5, cpc.
C
Sostiene la ricorren t ia ìat onel ritenere che le “valutazioni” della G. di
F. fossero sufficienti a fondare la pretesa fiscale, pur in assenza di altri
elementi di riscontro e sebbeno in contrasto con le “attestazioni” compiute
dagli stessi militari nel p.v.c.; sempre la ricorrente afferma che la
motivazione della sentenza è erronea perché ha operato una illegittima
inversione dell’onere probatorio in quanto l’onere del contribuente di fornire
la prova negativa all’evasione ipotizzata (cioè i fatti modificativi/estintivi
della pretesa fiscale) sussiste solo ove l’Amministrazione finanziaria abbia
preventivamnte fornito la prova positiva dei fatti costitutivi della pretesa
stessa.

3.3. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art.2697 cc
e dell’art.7 DLGS n.546/1992, in relazione all’art.360, comma 1 n.5, cpc.
Si duole la ricorrente che la CTR abbia ritenuto provata la pretesa fiscale
sulla base delle mere “valutazioni” dei militari della G. di F. operando una
illegittima inversione dell’onere della prova a danno del contribuente.
3.4. I motivi secondo, terzo e quarto possono essere trattati congiuntamente.
3.4.1. Come già affermato da questa Corte “I requisiti di gravità, precisione
e concordanza, richiesti dall’art. 2729 cod. civ. perché gli indizi possano
assurgere al rango di prova presuntiva debbono valutarsi con riferimento ai
fatti noti, dai quali risalire con deduzioni logiche ai fatti ignorati; quei
requisiti, invece, sono inconcepibili rispetto alle regole statistiche o
matematiche attraverso le quali si sviluppa il ragionamento logico deduttivo,
le quali devono essere corrette e coerenti, ma non “gravi, precise e
concordanti”.” (Cass. n. 23096/2012) ed inoltre che “Nella prova per
presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere
carattere di necessità, essendo sufficiente che l’esistenza del fatto da
dimostrare derivi come conseguenza del fatto noto alla stregua di canoni di
ragionevole probabilità.”(Cass. n.4017/2010)
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Cons. est. Laura Tricorni

La ricorrente afferma che la sentenza impugnata non ha indicato quale fosse
il “fatto noto”, limitandosi ad affermare che sussisterebbero “tutta una serie
di fatti costitutivi fondanti la pretesa erariale” e censura la decisione
limitatasi ad identificare tali fatti nelle “valutazioni” della G. di F.

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Rispetto a questo fatto noto la CTR ha valutato i requisiti di gravità,
concordanza e precisione degli indizi (molteplicità dei documenti
informatici e dei dati in essi contenuti inerenti l’attività commerciale,
numerazione progressiva, ma con numerazione ben diversa (oltre il numero
1000) rispetto a quella delle fatture che avevano riscontro nella contabilità
ufficiale( target di destinazione verso la sola clientela estera, riscontro in
alcuni casi della consegna della merce, esistenza di singolari note di credito
a storno) e ritenuto sussistenti i presupposti per l’accertamento effettuato ai
sensi dell’art.39, comma 1, DPR n.600/1973, contrariamente a quanto
sostenuto dalla ricorrente.
3.4.3. Costituisce dì altronde principio consolidato nella giurisprudenza di
questa Corte quello secondo cui nell’accertamento delle imposte sui redditi,
la c.d. “contabilità in nero”, costituita da appunti personali ed informazioni
dell’imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei
requisiti di gravità, precisione e concordanza prescritti dall’art. 39 del d.P.R.
29 settembre 1973, n. 600, dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili
disciplinate dagli artt. 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in
termini quantitativi o monetari, i singoli atti d’impresa, ovvero rappresentino
la situazione patrimoniale dell’imprenditore ed il risultato economico
dell’attività svolta. Ne consegue che detta “contabilità in nero”, per il suo
valore probatorio, legittima di per sé, ed a prescindere dalla sussistenza di
qualsivoglia altro elemento, il ricorso all’accertamento induttivo di cui al
citato art. 39, incombendo al contribuente l’onere di fornire la prova
contraria, al fine di contestare l’atto impositivo notificatogli (Cass.
n.25610/2006, n.19598/2006, n. 3303/2009, n.24051/2011, n. 8289/2013).
3.4.4. Tanto va affermato anche in relazione ai documenti informatici
(cosiddetti “files”), estrapolati legittimamente dai computer nella
disponibilità dell’imprenditore, nei quali sia contenuta contabilità non
ufficiale: in proposito la decisione della CTR appare pienamente conforme
al principio affermato da questa Corte, secondo il quale “I documenti
informatici costituiscono, in quanto scritture dell’impresa stessa, elemento
probatorio, sia pure meramente presuntivo, utilmente valutabile, salva la
verifica della loro attendibilità. Ne deriva che essi non possono essere
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3.4.2. Orbene nel caso in esame, come correttamente chiarito nella sentenza
impugnata, il “fatto noto” è costituito dai molteplici dati rinvenuti nel
personal computer senza riscontro nella documentazione cartacea, con
caratteristiche analoghe alle fatture che invece avevano regolare
corrispondenza nelle scritture contabili cartacce, ma con numerazione
diversa (superiore al numero 1000) e relative solo a clienti esteri.

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3.4.5. Pertanto, rispetto al “fatto noto”, come sopra individuato, la
contestazione da parte della contribuente del termine “fatture”, utilizzato dai
verbalizzanti, dall’Agenzia delle Entrate e dalla CTR, confonde
inopinatamente il piano del “fatto noto” (i dati rinvenuti nel computer con
tutti gli indizi desunti dagli stessi) con quello del ragionamento logico, e
cioè delle “valutazioni” deduttive che dal fatto noto portano al fatto ignorato
e cioè: documentazione contabile informatica relativa ad operazioni
commerciali, non altrimenti riscontrate in contabilità, solo verso clienti
esteri (fatto noto) : id est “fatture” per operazioni produttive di redditi al
“nero” (fatto ignorato).
3.4.6. Trova quindi conferma il principio secondo il quale “Il giudice
tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e
fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e
complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione,
dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio e solo in un
secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di
gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della
prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli
articoli 2727 e ss. e 2697, secondo comma, cod. civ.” (Cass. n. 9784 /2010).
3.4.7. La ricorrente, in realtà, omette, di considerare che l’apprezzamento in
ordine a detti caratteri, costituente valutazione di mezzi di prova, è rimesso
esclusivamente al giudice di merito (Cass. nn. 1715/2007, 1216/2006,
9225/2005), salvo lo scrutinio – non richiesto col presente motivo di ricorso
– sulla congruità della motivazione; e fermo restando che anche un solo
indizio può fondare una valida presunzione (Cass. nn. 1377/1993,
656/2014), specie allorché si tratti dell’acquisizione di un elemento non
specificamente smentito da puntuali e credibili contestazioni. La
presunzione costituisce poi, senza necessità di altre prove, una fonte
sufficiente di convincimento del giudice (Cass. n. 1575/2007), ai sensi
dell’art. 2697 c.c., comma 1, e art. 2727 c.c. e segg., senza che si incorra in
alcuna paesumptio praesumptionis; salvo che la controparte – cui ne
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ritenuti dal giudice, di per sè, probatoriamente irrilevanti circa l’esistenza di
operazioni non contabilizzate, senza che a tale conclusione conducano
l’analisi dell’intrinseco valore delle indicazioni da essi promananti e la
comparazione delle stesse con gli ulteriori dati acquisiti e con quelli
emergenti dalla contabilità ufficiale del contribuente.” (Cass. n.3388/2010).
Nel caso in esame la CTR ha evidenziato come la documentazione contabile
ufficiale trovasse riscontro nei documenti informatici, ma che questi
avevano un contenuto molto più ampio e connotato nei termini prima
ricordati, idoneo a farla assurgere a “contabilità in nero”.

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3.4.8. La decisione della CTR è scevra da censure in quanto ha vagliato gli
elementi presuntivi sottoposti al suo esame, ritenendoli rilevanti sotto il
profilo probatorio, e, quindi, ha escluso la fondatezza delle deduzioni
formulate della contribuente circa la diversa qualificazione dei dati
informatici, come ordini e preventivi, deduzioni che peraltro in alcuna parte
del ricorso per cassazione sono accompagnate dalla indicazione degli
elementi di fatto da cui potrebbe conseguire tale qualificazione, con evidenti
conseguenze sulla carenza di autosufficienza delle deduzioni stesse.
3.4.9. La CTR quindi ha correttamente applicato il principio secondo il
quale “Le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale
il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fmi
della formazione del proprio convincimento, nell’esercizio del potere
discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di scegliere, fra gli elementi
probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i
fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, non occorrendo
l’acquisizione, a conforto, di ulteriori elementi presuntivi o probatori desunti
dall’esame della documentazione contabile o bancaria del contribuente, in
quanto, se gli indizi hanno raggiunto la consistenza di prova presuntiva, non
vi è necessità di ricercarne altri o di assumere ulteriori fonti di prova. (Cass.
n.910812012).
3.4.10. I motivi secondo, tert e quarto vanno quindi dichiarati infondati.
4.1. Con il quinto motivo la ricorrente lamenta il vizio di omessa
motivazione della sentenza, in relazione all’art.360, comma 1 n.5, cpc, su
un punto decisivo della controversia.
Con tale doglianza la ricorrente sostiene che la CTR ha omesso di
pronunciarsi sulle dichiarazioni dei terzi, gli stessi intestatari dei preventivi
ed ordini, che avevano confermato che le uniche operazioni di scambio con
la ricorrente erano quelle regolarmente fatturate, ossia quelle alla quali nel
computer era stato assegnata una numerazione inferiore a 1.000 depositate
dalla contribuente e mai contestate dall’Agenzia delle Entrate di Albenga
sul piano della insussitenza o dell’inefficacia dei datti ivi riportati. In
proposito afferma che queste dichiarazioni dovevano essere considerate
munite di valore indiziario e che, in ragione della mancata contestazione,

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incombe l’onere (Cass. nn. 5991/ 2006, 3115/2006, 2481/2006 ed altre)
secondo il disposto dal citato art. 2697, comma 2 – fornisca adeguata prova
contraria, dimostrando l’insussistenza o l’inefficacia dei fatti su cui è fondata
la prova presuntiva stessa.

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erano idoenee a fondare una valida presunzione, fonte sufficiente di
convincimento del giudice ai sensi dell’art.2697 cc.

4.3. Va rilevato infatti che la contribuente, nel dolersi dell’omessa
motivazione da parte della CTR sulle dichiarazioni dei terzi depositate in
giudizio, non solo non fornisce alcun riferimento al momento processuale
in cui tale deposito sarebbe avvenuto, ma non espone nemmeno — sia pure
per stralcio — il contenuto di tali dichiarazioni.
Peraltro vi è fondata ragione di dubitare della effettiva conferenza di tali
deposizioni con la tesi difensiva della contribuente circa la natura di
ordinativi e preventivi della documentazione informatica rinvenuta, atteso
che nel motivo di ricorso ( fol. 30) è detto che le dichiarazioni dei terzi
convergono sulla quantificazione della merce effettivamante acquistata, ma
sembra che nulla dicano sul tema degli ordinativi e dei preventivi.
Comunque, come già chiarito la mancanza di trascrizione di tali
dichiarazioni ( almeno come exemplum) priva il motivo della sua
autosufficienza.
5.1. Con il sesto motivo Speranza Maria lamenta la omessa motivazione
della sentenza , in relazione all’art.360, comma I n.5, cpc, su un punto
decisivo della controversia in quanto la sentenza ha omesso di pronunciarsi
sulla erroneità dell’attività istruttoria commessa nella copiatura ed
elaborazione dei dati digitali e sulla violazione del principio di
collaborazione e buona fede di cui all’art.10 L. n.212/2000.
Sostiene la ricorrente che questi errori di copiatura e trascrizione commessi
dalla G. di F. inficiavano gravemente il quorum dei maggiori ricavi
contestato e che nessuna correzione era stata effettuata, nonostante ne fosse
stata prospettata l’esistenza sia alla G. di F., che all’Agenzia delle Entrate.
Rappresenta che la CT di primo grado, pur avendo riconosciuto l’esistenza
di errori, aveva omesso di accertarne l’effettiva incidenza e di determinarne
l’effettivo ammontare attraverso i poteri istruttori, riducendo così
l’imponibile.
5.2. Anche il sesto motivo è infondato in quanto i riferimenti alla pronuncia
della Commissione Tributaria Provinciale sono irrilevanti giacché la
sentenza impugnata non è stata censurata per omessa pronuncia su un
motivo di impugnazione contro la sentenza di primo grado per mancata
decisione sul punto. Inoltre non risultano i termini della relativa allegazione
e non risultano , soprattutto, i termini ed i limiti di incidenza dei pretesi
errori sulla decisione.
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4.2. Il quinto motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

ESENTE DA REGISTRAZIONE
io

Al SENSI DEL D.P.R.. 26/4/1986
N. 131 TAB. ALL. B. – N.

MATEitIA TRIBUTARIA
6.1. Con il settimo motivo la ricorrente lamenta la erronea motivazione della
sentenza impugnata, ai sensi dell’art.360, comma 1 n.5, cpc, in quanto ha
ritenuto le maggiori operazioni contestate imponibili ai fini IVA, nonostante
le stesse erano state qualificate dall’Agenzia delle Entrate come cessioni
intracomunitarie a favore di soggetti passivi IVA, trattandosi dei medesimi
clienti esteri con cui intercorrevano le operazioni commerciali regolarmente
contabilizzate.

LA CTR ha motivato puntualmente circa la assenza di prove in ordine alle
condizioni che potevano giustificare l’esclusione dalla imponibilità delle
operazioni, tra cui la prova della titolarità della partita IVA da parte
dell’acquirente e dell’uscita dei beni dal territorio italiano.
7.1. Conclusivamente il ricorso principale va rigettato, infondati i motivi
secondo, terzo, quarto, sesto e settimo, inammissibili i motivi primo e
quinto.
7.2. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano a favore dell’Agenzia
delle Entrate nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione,
– rigetta il ricorso;
– condanna la ricorrente alla refusione delle spese del giudizio di legittimità
che liquida a favore dell’Agenzia delle Entrate nel compenso di
€.10.200,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, camera di consiglio del 10 giugno 2014.

6.2. 11 motivo è infoíndato e va respinto.

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