Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20901 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 30/09/2020, (ud. 03/07/2020, dep. 30/09/2020), n.20901

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22851-2019 proposto da:

EMME 1 SRL IN LIQUIDAZIONE, domiciliata in ROMA presso la Cancelleria

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato

FORTUNATO MASSIMILIANO LAFRANCO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO XI,

13, presso lo studio dell’avvocato MICHELE LIGUORI, quale difensore

di se stesso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2822/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/07/2020 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO;

Lette le memorie depositate dal controricorrente.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

La Corte d’Appello di Napoli con la sentenza n. 2822 del 23 maggio 2019 ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dalla EMME1 S.r.l. avverso l’ordinanza ex art. 702 ter c.p.c. emessa dal Tribunale di Napoli in data 16 novembre 2012, con la quale la società appellante, a seguito della modifica della domanda proposta dal ricorrente, L.M., era stata condannata al pagamento in favore di quest’ultimo della somma di Euro 2.250.000,00 atteso il legittimo recesso dal contratto preliminare del 9 ottobre 2009 per l’inadempimento della promittente venditrice.

La Corte distrettuale osservava che l’ordinanza impugnata era stata comunicata a mezzo pec all’indirizzo del difensore dell’appellante in data 16 novembre 2012, e cioè lo stesso giorno della sua emissione, dovendo presumersi che, ai sensi dell’art. 45 disp. att. c.p.c., come modificato dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 3, in vigore a far data dal 19 ottobre 2012, giorno di pubblicazione del decreto nella G. Uff., la comunicazione avesse riguardato il testo integrale del provvedimento.

Tale comunicazione soddisfaceva quindi i requisiti che, ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c., individuano appunto nella comunicazione l’inizio del dies a quo per appellare l’ordinanza emessa all’esito del processo sommario di cognizione, con l’effetto che l’appello, notificato solo in data 27/12/2012, era tardivo, in quanto proposto oltre il termine di trenta giorni di cui all’art. 702 quater c.p.c.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la Emme 1 S.r.l. sulla base di un motivo.

Resiste con controricorso L.M. che ha depositato altresì memorie in prossimità dell’udienza.

Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 133 c.p.c.

Si rileva che, anche a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 179 del 2012, all’art. 45 disp. att. c.p.c., deve ribadirsi l’inidoneità della comunicazione di cancelleria a far decorrere il termine breve per la proposizione dell’impugnazione, e ciò anche laddove la comunicazione abbia riguardato il provvedimento in maniera integrale.

Ne consegue che, ai fini della decorrenza del termine breve per appellare, era sempre necessaria la notifica del provvedimento a cura della parte.

Rileva il Collegio che debba preliminarmente essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per pretesa carenza del requisito di autosufficienza, atteso che, anche in ragione delle ragioni di doglianza proposte, appaiono adeguatamente esposti i fatti di causa per quanto rileva ai fini della decisione della controversia.

Il motivo è infondato.

La sentenza impugnata ha, infatti, fatto corretta applicazione della specifica disciplina di cui all’art. 702 quater c.p.c., che con una previsione in parte derogatoria rispetto alla regola generale posta dall’art. 326 c.p.c. (a mente della quale la decorrenza dei termini brevi per impugnare presuppone la notifica della decisione a cura della parte, ovvero della cancelleria, nei casi in cui la legge lo preveda), espressamente dispone che l’appello avverso l’ordinanza che abbia definito il processo sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis c.p.c. e ss., debba essere proposto entra trenta giorni dalla comunicazione o notificazione, dettando quindi la regola dell’equipollenza tra comunicazione e notificazione.

Ne consegue che se la notificazione si impone laddove voglia invocarsi il termine breve per le parti rimaste contumaci (cfr. in tal senso Cass. n. 16893/2018, secondo cui l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione può essere appellata, dalla parte contumace, nel termine “breve” di cui all’art. 702 quater c.p.c., decorrente dalla notificazione della stessa, in difetto della quale trova applicazione il termine “lungo” di cui all’art. 327 c.p.c., che opera per tutti i provvedimenti a carattere decisorio e definitivo), la comunicazione telematica dell’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione emessa in formato cartaceo, effettuata in data antecedente l’entrata in vigore del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis, comma 9 bis, conv. con mod. dalla L. n. 221 del 2012 (introdotto dal D.L. n. 90 del 2014, art. 52, conv. con modif. dalla L. n. 114 del 2014 e successivamente ancora modificato dal D.L. n. 83 del 2015, conv. con modif. dalla L. n. 132 del 2015), seppur priva della firma digitale del cancelliere, deve ritenersi validamente avvenuta, ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione ex art. 702 quater c.p.c., in presenza dell’attività del cancelliere consistita nel trasmettere all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario il testo integrale dell’ordinanza, comprensivo del dispositivo e della motivazione, in maniera che vi sia comunque certezza che il provvedimento sia stato portato a compiuta conoscenza delle parti e sia altresì certa la data di tale conoscenza (Cass. n. 22674/2017; conf. Cass. n. 5840/2017 secondo cui il termine di trenta giorni per l’appello dell’ordinanza emessa all’esito del processo sommario di cognizione decorre dalla data della sua notificazione ad istanza di parte ovvero, se anteriore, della sua comunicazione di cancelleria, stante la loro equiparazione ai fini della produzione degli effetti della cosa giudicata; si veda altresì Cass. n. 11331/2017, secondo cui è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – per asserita violazione degli artt. 3,24 e 111 Cost. – dell’art. 702-quater c.p.c., nella parte in cui stabilisce che l’ordinanza conclusiva del procedimento sommario di cognizione è appellabile entro il termine breve di trenta giorni dalla sua comunicazione ad opera della cancelleria, trattandosi di una scelta discrezionale del legislatore, ragionevolmente in linea con la natura celere del procedimento, nè lesiva del diritto di difesa, in quanto il detto termine decorre dalla piena conoscenza dell’ordinanza, che si ha con la comunicazione predetta ovvero con la notificazione ad istanza di parte).

Atteso che con accertamento in fatto, che non è oggetto di contestazione con il motivo di ricorso, è stato riscontrato che l’ordinanza appellata era stata comunicata a mezzo pec ed in forma integrale in data 16 novembre 2012, è da tale comunicazione che decorre il termine breve per proporre appello, termine che risultava ormai già maturato alla data della sua effettiva proposizione (avvenuta il 27/12/2012, giorno della consegna dell’atto di appello all’ufficiale giudiziario per la notifica).

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Non ricorrono i presupposti per la condanna della ricorrente ex art. 96 c.p.c., u.c..

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore del controricorrente che liquida in complessivi Euro 10.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma degli stessi artt. 1 bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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