Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20899 del 11/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/10/2011, (ud. 22/09/2011, dep. 11/10/2011), n.20899

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 24161-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elett.te domiciliata in Roma, via Po n. 25/b, presso lo

studio dell’Avv. Roberto Pessi, rappresentata e difesa dall’Avv.

Giammaria Pierluigi per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.C., elett.te domiciliata in Roma presso la Cancelleria

della Corte di cassazione, rappresentata e difesa dall’Avv.

Scartabelli Carlo per procura rilasciata a margine del controricorso

e dall’Avv. Roberta Bechi come da procura versata in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1213/2006 della Corte d’appello di Firenze,

pronunziata in causa 11.1512/04 r.g., depositata in data 26.09.06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22.09.2011 dal Consigliere dott. Giovanni Mammone;

uditi l’Avv. Anna Butta foco per delega Giammaria;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- C.C. chiedeva al Giudice del lavoro di Pistoia che fosse dichiarata la nullità del termine apposto ad un contratto di assunzione alle dipendenze di Poste Italiane s.p.a. per il periodo 1.06-29.09.01.

2. – Il Tribunale, ritenendo non provato l’adempimento alla clausola di contingentamento, accoglieva la domanda e dichiarava l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con condanna del datore al pagamento delle retribuzioni arretrate.

3.- Proposto appello da Poste Italiane, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza del 26.09.06, rigettava l’impugnazione. Il contratto era stipulato in forza dell’art. 25 del CCNL Poste 11.01.01 per esigenze straordinarie connesse alla fase di ristrutturazione dell’azienda, di modo che per procedere alle assunzioni a termine Poste Italiane era tenuta al rispetto della clausola dell’art. 25, comma 3, per il quale “il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato non potrà superare, su base regionale, il 5% del numero dei lavoratori in servizio alla data del 31 dicembre dell’anno precedente per Poste Italiane s.p.a. nell’ambito della stessa regione, e il 10% per le società di cui all’elenco allegato all’art. 1, comma 1, lett. b) del presente contratto”. La prova dell’ottemperanza fornita da Poste Italiane era tuttavia insufficiente, atteso che la documentazione fornita era anteriore all’assunzione e testimoniava solo l’intento programmatico dell’azienda e non anche i parametri numerici delle assunzioni seguiti nel periodo di riferimento.

4.- Avverso questa sentenza Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso per cassazione, cui C. rispondeva con controricorso.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. Con tre motivi di ricorso la soc. Poste Italiane deduce:

5.1.- violazione dell’art. 1362 c.c. in riferimento all’art. 25, comma 3, del ccnl 2001, atteso che il documento difensivo prodotto da Poste Italiane sarebbe erroneamente interpretato, avendo il giudice considerato il numero dei dipendenti assunti e non anche il numero dei contratti a termine stipulati;

5.2.- violazione degli artt. 2697, 421 e 437 c.p.c. e carenza di motivazione, in quanto il giudice ha attribuito al datore di lavoro, invece che al lavoratore, l’onere probatorio in punto di ottemperamento alla clausola di contingentamento;

5.3.- violazione degli artt. 210 e 421 c.p.c. sostenendosi che erroneamente il giudice di merito non ha considerato l’eventualità che controparte possa avere svolto altre attività lavorative tanto da consentire la deduzione dell’aliunde perceptum da quanto dovuto dal datore a titolo di risarcimento; la Corte di merito, richiestane, avrebbe dovuto disporre l’esibizione di documentazione idonea (libretti di lavoro e buste paga) a determinare i corrispettivi eventualmente percepiti dal lavoratore alle dipendenze di terzi.

6.- Procedendo a trattazione congiunta del primo e del secondo motivo (nn. 5.1 e 5.2), debbono richiamarsi alcuni principi base che la giurisprudenza di legittimità ha indicato in materia di adempimento alla clausola di contingentamento.

Questa Corte ritiene che nel regime di cui alla L. n. 56 del 1987 la facoltà delle Oo.Ss. di individuare ulteriori ipotesi di apposizione del termine al contratto di lavoro è subordinata dall’art. 23 alla determinazione delle percentuali di lavoratori che possono essere assunti con contratto a termine sul totale dei dipendenti. Pertanto, non è sufficiente l’indicazione del numero massimo di contratti a termine, occorrendo altresì, a garanzia di trasparenza ed a pena di invalidità del termine, l’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, in modo da consentire il rapporto percentuale tra lavoratori stabili e lavoratori a termine. L’onere della prova dell’osservanza di detto rapporto è a carico del datore di lavoro, in base alle regole di cui alla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 3 secondo cui incombe al datore di lavoro dimostrare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giusti6cano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (Cass. 19.1.10 n. 839, nonchè 12.3.09 n. 6010).

7.- Era, dunque, onere di Poste Italiane provare l’assolvimento della clausola di contingentamento e la prova di tale adempimento dove essere data mediante il raffronto tra il numero dei dipendenti a tempo indeterminato in servizio nell’anno precedente a quello di riferimento e quello degli assunti con contratto a termine.

Il primo motivo, specificamente diretto a sostenere l’erroneità del criterio adottato dal giudice per valutare nel merito l’effettivo adempimento della clausola, non censura adeguatamente la pronunzia, la quale ritiene, in conformità alla richiamata giurisprudenza, che Poste Italiane avrebbe dovuto offrire per l’anno interessato dal contratto de quo un consuntivo del rapporto degli assunti a tempo determinato in relazione agli occupati a tempo indeterminato dell’anno precedente e non limitarsi a produrre documentazione (antecedente al contratto de quo) che enunziava i programmi di assunzione previsti per l’anno in questione. Il mezzo di impugnazione si limita a proporre un sistema di calcolo alternativo, su base meramente teorica, senza considerare il fondamentale principio che la prova deve essere fornita sulla base di dati consuntivi e non di mera programmazione.

Il primo ed il secondo motivo sono, dunque, infondati.

8.- Per quanto riguarda l’aliunde perceptum, il quesito che conclude il terzo motivo (n. 4.3) ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. risulta generico, risolvendosi solo nella mera enunciazione astratta del principio invocato dalla ricorrente, senza riferimento alcuno alla fattispecie concreta. Tale inidonea formulazione rende inammissibile il motivo (v. Cass. 20.6.08 n. 16941).

9.- Poste Italiane s.p.a. con la memoria sopra indicata, preso atto dell’intervento della L. 4 novembre 10, n. 183 (cd. collegato lavoro), pubblicata sulla Gazzetta ufficiale 9.11.10 n. 262 (suppl.

ord. 243/L) ed in vigore dal 24.11.10, ha chiesto alla Corte che il risarcimento del danno venga effettuato secondo i criteri ivi previsti.

L’ingresso nel presente giudizio di legittimità della questione dei detti nuovi criteri di quantificazione è, tuttavia, subordinato alla sussistenza delle condizioni processuali per esaminare la richiesta di risarcimento del lavoratore. Tali condizioni si verificherebbero nel caso che, rigettati i motivi di censura contro la dichiarata nullità del termine, dovesse esaminarsi un motivo di impugnazione che affronti anche il punto della liquidazione del risarcimento effettuata dal giudice di merito.

Nel caso di specie, tuttavia, l’impugnazione non è idonea ad affrontare questo punto specifico, essendo – come appena rilevato – inammissibile il mezzo relativo, di modo che non sorge questione circa l’applicabilità dell’invocato ius superveniens e non si pone alcun problema di procedere a nuova liquidazione del risarcimento, che è questione ormai non più sub iudice.

10.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, che liquida nella misura di Euro 40,00 per esborsi e di Euro 2.500 per onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2011

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