Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20898 del 05/08/2019

Cassazione civile sez. I, 05/08/2019, (ud. 05/06/2019, dep. 05/08/2019), n.20898

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28055/2014 proposto da:

Axpo Italia s.p.a. a socio unico, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via

E. Q. Visconti n. 20, presso lo studio dell’avvocato D’Angelo

Federica, rappresentata e difesa dall’avvocato Galletto Tomaso,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Lucchini s.p.a. in Amministrazione Straordinaria, in persona del

Commissario Straordinario pro tempore, elettivamente domiciliata in

Roma, via Virginio Orsini n. 19, presso lo studio dell’avvocato

Sterbini Nicola, che la rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Mirabile Carlo, giusta procura in calce al

controricorso e procura a margine della memoria di costituzione di

nuovo difensore;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di LIVORNO, del 23/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/06/2019 dal cons. Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.- La s.p.a. Axpo Italia ha chiesto di essere ammessa – per una parte in prededuzione, per altra in via di chirografo – al passivo dell’Amministrazione Straordinaria della s.p.a. Lucchini, in ragione di una serie di voci di credito derivanti da un contrato di fornitura in corso di esecuzione al tempo di avvio della procedura. In esito ai riscontri dell’Amministrazione Straordinaria il credito è stato per intero ammesso al chirografo, “non esistendo i presupposti di legge per la richiesta di privilegio”.

Axpo ha impugnato la decisione, proponendo opposizione L. Fall., ex art. 98 avanti al Tribunale di Livorno. Che la ha respinta con decreto del 23 ottobre 2014, così confermando il provvedimento del giudice delegato.

2.- A supporto dell’assunta decisione, il Tribunale ha rilevato essere “provato che il commissario straordinario con lettera in data 28.3.2013 ha comunicato alla ricorrente l’intenzione di avvalersi della facoltà di cui al D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50 dichiarando di volersi sciogliere con effetto dal 31.3.2013 dal contratto avente ad oggetto la fornitura di energia elettrica agli stabilimenti Lucchini stipulato in data 28.7.2011”. “Vi è quindi una manifesta volontà contraria da parte del commissario straordinario al subentro del contratto di fornitura, nè esiste una espressa (che per altro dovrebbe ritenersi contraddittoria) dichiarazione di subentro, dichiarazione necessaria normativamente ex art. 1 bis sopra citato, la cui inesistenza rende superflua ogni valutazione sulla natura novativa o meno del nuovo contratto stipulato tra le parti”. “Per altro la ricorrente avrebbe ben potuto” – si è concluso – “rifiutare di sottoscrivere il nuovo accordo nel caso in cui non lo avesse ritenuto valido ad assicurare il raggiungimento dei propri interessi, nè può ritenersi che l’accordo sia avvenuto in un contesto di “squilibrio di potere contrattuale tra le parti””.

3.- Avverso questo provvedimento, la s.p.a. Axpo Italia propone ricorso per cassazione, che sviluppa in quattro motivi.

Resiste, con controricorso, la Procedura della Lucchini.

Sia il ricorrente, che il controricorrente, hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.- I motivi di ricorso sono rubricati nei termini che qui di seguito vengono riportati.

Primo motivo: “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50, comma 2 e art. 51, comma 2 rispettivamente in combinato disposto con la L. Fall., art. 74 e 111 violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. violazione del principio di elaborazione giurisprudenziale del c.d. abuso del diritto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”. Nel contesto del motivo, il ricorrente pure solleva in via incidentale questione di “illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. n. 270 del 1999, art. 50, comma 2 e art. 51, comma 2 e del D.L. 28 agosto 2008, n. 134, art. 1 bis – inserito in sede di conversione dalla L. n. 166 del 2008, per violazione della Legge Delega n. 274 del 1998, art. 1,comma 2, lett. q) in relazione all’art. 77 Cost. (eccesso di delega)”.

Secondo motivo: “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50, comma 2 e art. 51, comma 2 e della L. Fall., artt. 74 e 111, nonchè degli artt. 1230 e 1231 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”.

Terzo motivo: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Quarto motivo: “violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 54 e 96 – violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.”.

5.- Con il primo motivo, il ricorrente censura la decisione del Tribunale di non riconoscere la prededuzione ai crediti relativi alle forniture di energia elettrica prestate sino al tempo di avvio della procedura di amministrazione (da quanto si desume dal Ricorso non sono invece in discussione le forniture successive all’apertura; cfr. pp. 4 e 9).

Il motivo è articolato in più sotto censure.

5.1.- In primo luogo, il motivo assume che il “diritto alla prededuzione di Axpo” trova fondamento nella “complessiva valutazione antigiuridica del comportamento tenuto dal commissario in relazione alla scelta di sciogliersi dal rapporto contrattuale pendente al solo dichiarato fine di sottoscrivere contestualmente un nuovo contratto a identiche condizioni, sottraendosi così agli obblighi di legge discendenti dal subentro del contratto e previsti dalla L. Fall., art. 74” (al riguardo non rilevando la predisposizione di aggiuntive “garanzie” circa i termini di pagamento per le nuove forniture: senza queste addizioni – si puntualizza – “nessun operatore si sarebbe esposto nei confronti di una società” nelle condizioni della Lucchini; su questo punto v. anche infra, nel n. 9).

Non è in discussione – precisa in prosieguo il ricorrente – la facoltà del commissario di sciogliersi dal rapporto contrattuale pendente. Il punto è che, ove tale facoltà sia esercitata, la stessa “deve essere motivata dalla scelta della Procedura di perseguire migliori condizioni contrattuali nell’interesse della massa e non già di rivolgersi semplicemente ad altro operatore (alle stesse condizioni contrattuali preesistenti), poichè in tal caso: cui prodest?”.

E’ contrario ai principi dell’ordinamento – si soggiunge – permettere al commissario di esercitare la facoltà di scioglimento del contratto al “solo fine di ricostituire il medesimo rapporto contrattuale, eludendo quelle norme poste a difesa degli interessi della parte contraente in bonis, che riconoscono, in caso di subentro, natura prededuttiva anche ai crediti anteriori alla Procedura”.

5.2.- Il ricorrente assume altresì, in linea per così dire subordinata, che il comportamento tenuto nel concreto dal commissario ha comunque violato il principio di correttezza e buona fede oggettiva, integrando un vero e proprio abuso del diritto.

Lo scioglimento del contratto di fornitura e la stipulazione di un nuovo contratto è stato posto in essere – così si argomenta – per “eludere l’applicazione della L. Fall., art. 74”, al fine cioè di “conseguire risultati diversi e ulteriori rispetto a quelli per cui i poteri di scioglimento del contratto furono allo stesso attribuiti, e cioè limitare gli esborsi della Procedura ai soli servizi essenziali per la continuità aziendale”.

5.3.- In via di ulteriore subordine, il ricorrente solleva la questione incidentale di legittimità costituzionale delle norme del D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50, comma 2 e art. 51, comma 2 nonchè della Legge Conv. n. 166 del 2008, art. 1 bis di interpretazione autentica del detto art. 50, comma 2.

Ad avviso del ricorrente, la “norma delegata eccede i principi della legge delega laddove consente al commissario, nell’ambito dei contratti di somministrazione, di imporre la prosecuzione del rapporto, riservando allo stesso il diritto di sciogliersi, anche al fine di stipulare con lo stesso soggetto identico contratto, con conseguente elusione della L. Fall., art. 74 e ciò in violazione del criterio della legge delega che imponeva di assicurare alle imprese fornitrici piena tutela dei crediti sorti precedentemente all’insolvenza”.

6.- Il motivo non può essere accolto.

In proposito è opportuno precisare – con immediato riferimento alla prima delle sotto censure che compongono la complessiva doglianza (sopra, n. 5.1.) – che il ricorrente risulta muovere dal dichiarato presupposto di un esercizio (in sè) effettivo del potere di ricedere dal contratto in essere da parte del commissario.

La contestazione concerne, piuttosto, il fine che si assume avere dettato l’agire del commissario, nonchè – e in via, a quanto pare, corrispondente – il fatto che la scelta di recedere del commissario dovrebbe trovare riscontro in un onere di congrua motivazione: la mancata sussistenza della quale verrebbe poi a comportare, secondo modalità e termini non propriamente precisati, una sorta di invalidità o inefficacia giuridica del recesso medesimo (in effetti, il ricorrente non indica la tipologia di vizio che, nella sua prospettazione, affiggerebbe la fattispecie in questione).

Ora, per quanto sia naturalmente vero che il commissario è responsabile di quanto fa in tale veste, non risulta peraltro che il sistema vigente abbia caricato l’atto di recesso del commissario dai contratti di fornitura pendente di un simile, peculiare onere di motivazione. Nè, tanto meno, risulta assegnare al contraente in bonis una posizione di tutela negoziale rispetto all’onere così preteso.

In definitiva, la censura qui in discorso (nella misura in cui sia tenuta isolata dal profilo di violazione della buona fede oggettiva, su cui v. subito appresso) risulta dare per scontato – ovvero, e altrimenti detto, assumere come vero e proprio a priori – che il contraente in bonis vanti nei confronti del comportamento del commissario una posizione di diritto soggettivo, sia pur affievolito (appunto perchè superabile da un’apposita e congrua motivazione).

Nessuna norma del sistema vigente, tuttavia, viene a secondare una simile lettura.

7.- La censura di violazione del canone di buona fede oggettiva da parte del commissario trascura, in realtà, il peso e valore che non può non assumere una componente essenziale della fattispecie concretamente in esame. Questa censura si volge, infatti, verso una struttura in cui al recesso del commissario si aggiunge un ulteriore segmento costituito dalla stipulazione di un successivo contratto, come per l’appunto intervenuto inter partes: tra la Procedura, dunque, e la società attuale ricorrente.

Non è negabile, infatti, che lo stesso ricorrente abbia concorso in modo determinante al confezionamento di questo segmento.

E’ bene aggiungere: in relazione al comportamento tenuto dal ricorrente non viene qui in rilievo (non in modo diretto e immediato, perlomeno) il canone fondamentale per cui nemo venire contra factum proprium. Il punto è più semplice e, se possibile, più ancora di base: senza l’adesione della società qui ricorrente il nuovo contratto non si sarebbe fatto.

Sotto questo profilo appare pertanto del tutto calzante, e senz’altro corretta, la motivazione svolta dal Tribunale di Livorno: “la ricorrente avrebbe ben potuto rifiutare di sottoscrivere il nuovo accordo nel caso in cui non lo avesse ritenuto valido ad assicurare il raggiungimento dei propri interessi”; non è da ritenere, d’altra parte, che “l’accordo sia avvenuto in un contesto di “squilibrio di potere contrattuale tra le parti””.

8.- Il Collegio ritiene poi che la questione di illegittimità costituzionale, sollevata dal ricorrente nel contesto del primo motivo di ricorso, sia in parte manifestamente infondata, in parte non rilevante per la soluzione del caso concretamente in esame.

La questione è stata mossa, sempre per eccesso di delega (L. 30 luglio 1998, n. 134), nei confronti di tre distinte norme: la Legge Conv. n. 166 del 2008, art. 1 bis; D.Lgs. n. 270 del 1998, art. 51, comma 2; D.Lgs. n. 270 del 1999, art. 50, comma 2.

Ora, la norma dell’art. 1 bis non è stata emanata a seguito della Legge Delega n. 134 del 1998, sì che rispetto ad essa non risulta proprio proponibile il vizio prospettato (cfr., per l’espressione del relativo principio, Corte Cost. 7 luglio 1986, n. 178).

Quanto poi alla norma dell’art. 51, comma 2 – pur indicata in rubrica di motivo e in rubrica di eccezione di incostituzionalità -, essa non risulta fatta oggetto di effettiva disamina da parte del ricorrente. Nè la rilevanza della stessa risulta auto evidente nel contesto della fattispecie in discorso (se non altro perchè lo stesso ricorrente esclude senz’altro di operare secondo una “condizione di monopolio”; cfr. Ricorso, p. 11).

La norma dell’art. 50, comma 2 (“fino a quando la facoltà di scioglimento non è esercitata, il contratto continua ad avere esecuzione”), poi, non risulta in contrasto con il precetto di tutela della posizione del contraente in bonis di cui alla legge delega (“… che sia assicurata la tutela dei crediti maturati dalle imprese fornitrici antecedentemente alla dichiarazione dello stato di insolvenza e che siano garantiti integralmente i crediti sorti durante la continuazione dell’esercizio dell’impresa”).

Tale posizione risulta, in effetti, adeguatamente tutelata dalla prededuzione, che assiste tutte le prestazioni compiute dal contraente in bonis nel periodo intercorrente tra l’avvio della procedura e la scelta del commissario (cfr. Cass., 9 novembre 2018, n. 28797), nonchè, e in via ulteriore, dal potere di assegnare termine al commissario che la norma dell’art. 50, comma 3, pure consegna al contraente in bonis (cfr. sul punto Cass., 18 gennaio 2018, n. 1195).

D’altra parte, assicurare al contraente in bonis la prededuzione per le prestazioni anteriori all’avvio della procedura – anche per l’ipotesi di sopravvenuto scioglimento del relativo rapporto – avrebbe all’evidenza significato portare un vulnus gravissimo al principio della par condicio creditorum.

9.- Il secondo motivo contesta l’affermazione del decreto livornese là dove questo ha rilevato la “superfluità” di ogni valutazione sulla natura novativa o meno del nuovo contratto stipulato tra le parti”.

Assume in proposito il ricorrente che “l’introduzione di termini di pagamento più ristretti (5 gg. data fattura) costituisce mera modificazione accessoria dell’obbligazione originaria, inidonea di per sè stessa a produrre novazione”. “Il giudice avrebbe dovuto constatare come il fatto di sciogliere un contratto pendente al solo fine di sottoscriverne uno nuovo, identico al primo e non novativo, dovesse essere equiparato dal punto di vista sostanziale a un vero e proprio subentro nel contratto precedente”.

10.- Il motivo non merita di essere accolto.

Non può essere condivisa, prima di tutto, la critica che il ricorrente muove al decreto impugnato per avere questo ritenuto “superfluo” stabilire se il nuovo accordo intervenuto tra le parti fosse, o meno, novativo dell’originario: trattasi, in effetti, di tema affatto estraneo al punto relativo all’eventuale applicazione della prededuzione in ordine ai crediti per forniture prestate in epoca anteriore all’avvio della procedura di amministrazione controllata.

Ciò posto, è notare (ancor qui) che il ricorrente non contesta la sussistenza (in quanto tale) di un atto di recesso da parte del commissario, nè contesta la sussistenza (in quanto tale) di un nuovo accordo inter partes (che si limita a definire “identico” al precedente). In definitiva, il ricorrente non viene a indicare le ragioni e le modalità per cui i detti comportamenti dovrebbero venire deprivati del valore giuridico loro proprio.

11.- Il terzo motivo censura – sotto il profilo del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 – il provvedimento impugnato “per avere omesso ogni statuizione in ordine al carattere non novativo del secondo contratto”.

12.- Il motivo è inammissibile.

Come appena sopra rilevato (n. 10), il Tribunale ha correttamente rilevato la “superfluità” di un’indagine relativa al carattere novativo, o no, del nuovo accordo intercorso tra le parti ai fini della soluzione dell’eventuale prededuzione. Lo stesso ricorrente, d’altro canto, non viene a segnalare alcun profilo di potenziale rilevanza del pur invocato nodo problematico.

13.- Il quarto motivo di ricorso assume vizio di omessa pronuncia, per avere il Tribunale di Livorno, “nel confermare il decreto di approvazione dello stato passivo, omesso di prendere in esame la domanda di Axo di compensazione L. Fall., ex art. 56 in relazione ai crediti”, di cui ha chiesto l’ammissione al passivo, e “al debito che Axpo aveva riconosciuto nei confronti di Lucchini”.

14.- Il motivo è inammissibile.

Lo stesso difetta, infatti, del necessario requisito di autosufficienza del ricorso ex art. 366 c.p.c., posto che non trascrive il testo delle domande formulate in sede di citazione in opposizione (cfr. Ricorso, p. 5). Come senz’altro avrebbe dovuto fare, posto che il punto risulta del tutto ignorato dal decreto impugnato.

15.- In conclusione, il ricorso dev’essere rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e vengono regolate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese inerenti al giudizio di legittimità, che liquida nella somma di Euro 18.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre a spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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