Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20895 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. II, 30/09/2020, (ud. 23/07/2020, dep. 30/09/2020), n.20895

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21270-2019 proposto da:

A.M., rappresentato e difeso dall’avvocato CLAUDIO PAULONE;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3156/2019 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23/07/2020 dal Presidente e Relatore Dott. MANNA FELICE.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A.M., cittadino (OMISSIS), nato nel (OMISSIS), proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Napoli avverso la decisione della Commissione territoriale di Caserta, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di essersi dovuto allontanare dalla (OMISSIS) nel 2016 a seguito dell’uccisione nel (OMISSIS) della moglie ad opera del padre (non è chiaro agli atti se di lui o di lei: n.d.r.), il quale, affiliato ad una setta segreta, benchè inizialmente arrestato era stato poi rimesso in libertà dopo circa un mese.

Il Tribunale respingeva il ricorso.

L’impugnazione del richiedente era respinta dalla Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 3156/19. Riteneva la Corte territoriale che il racconto del richiedente, che si sarebbe allontanato dalla (OMISSIS) per sottrarsi alle (eventuali) minacce del padre, fosse del tutto generico e poco credibile, considerato altresì il lasso di tempo tra i fatti narrati e l’espatrio. Quanto alla protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c rilevava che nè l'(OMISSIS) nè (OMISSIS) fossero preda di una situazione di violenza indiscriminata. Infine, escludeva anche la protezione umanitaria, non sussistendo nè un effettivo inserimento lavorativo del richiedente nè circostanze familiari che lo legassero in modo significativo al territorio italiano.

La cassazione di detta sentenza è chiesta dal richiedente sulla base di tre motivi.

Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5, 6, 7, 8 e art. 14, lett. b) e c) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in quanto la Corte territoriale avrebbe erroneamente individuato in (OMISSIS), invece di (OMISSIS), la città di provenienza del ricorrente, in relazione alla quale la Corte d’appello avrebbe dovuto ricercare e valutare, in virtù dei poteri di cooperazione istruttori che le competono, i dati forniti dal Ministero degli Affari Esteri.

1.1. – Il motivo è inammissibile perchè elude la ratio decidendi della sentenza impugnata.

In disparte che per come denunciato il preteso errore della sentenza impugnata sarebbe, semmai, di rilievo revocatorio; che violazione o falsa applicazione di legge non derivano dall’erronea ricostruzione dei fatti; e che quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (giurisprudenza costante di questa Corte: v. per tutte, n. 635/15); tutto ciò a parte, va rilevato che la Corte d’appello non ha erroneamente accertato la città d’origine del richiedente, ma al contrario ha ritenuto che l’asserito provenienza di lui da (OMISSIS) non fosse suffragata da documentazione. Pertanto, nel contesto d’un racconto che detta Corte con valutazione non sindacabile in questa sede – ha giudicato inattendibile, anche la provenienza del richiedente da (OMISSIS) piuttosto che da un altro centro abitato della (OMISSIS) non ha superato positivamente il vaglio di coerenza interna previsto dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

2. – Il secondo ed il terzo motivo allegano, rispettivamente, la violazione o falsa applicazione del T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e il vizio di contraddittorietà e illogicità della motivazione, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso. La Corte distrettuale – lamenta parte ricorrente – non avrebbe valutato, omettendo del tutto la motivazione al riguardo, la particolare situazione di vulnerabilità del richiedente, alla luce del pericolo di subire in caso di rimpatrio la privazione della titolarità dei diritti umani. Deduce, inoltre, citando Cass. n. 4455/18, che (l’)”allegazione di un sostanziale miglioramento delle condizioni di vita personale, relazionale e lavorativa non è sufficiente, in via esclusiva, a sostenere la condizione di vulnerabilità del richiedente, in relazione al mero peggioramento cui lo stesso sarebbe esposto nel Paese di origine. Ma la correlazione tra i due contesti è indispensabile, al fine di verificare se sia configurabile (o non lo sia) una regressione delle condizioni personali e sociali in caso di rientro tale da determinare un’incolmabile sproporzione nella titolarità e nell’esercizio dei diritti fondamentali al di sotto del parametro della dignità personale”. Di qui, il potere-dovere, cui la Corte partenopea sarebbe venuta meno, di procedere alle integrazioni istruttorie del caso, per verificare se l’eventuale rientro in Patria del richiedente comporti per lui rischi di vita. Rischi, nella specie, ricorrenti in considerazione delle condizioni generali in cui versa la (OMISSIS) (corruzione della polizia, quotidiani attacchi terroristici, estensione dell’attività del gruppo di (OMISSIS), generale clima di insicurezza o, peggio, di violenza indiscriminata ecc.).

2.1. – I due motivi – da esaminare congiuntamente siccome unificati da parte ricorrente nel loro svolgimento – sono manifestamente infondati, in quanto basati su di una torsione di senso, che non trova affatto conferma nel precedente di legittimità che richiamano.

Il giudizio di comparazione, per valutare le condizioni della protezione umanitaria (applicabile ratione temporis alla fattispecie), presuppone pur sempre la vulnerabilità del richiedente. Questa ricorre in presenza di alcuna delle condizioni di cui al T.U. n. 286 del 1998, art. 19 ovvero nell’ipotesi della c.d. vulnerabilità di ritorno, quale risultato, cioè, di un raggiunto livello di integrazione nel Paese di accoglienza che, rapportato a quello che il richiedente ritroverebbe nel Paese d’origine, faccia prevedere a carico del richiedente la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (cfr. n. 4455/18). Solo in presenza di elementi di un’effettiva integrazione tale giudizio comparativo ha ragion d’essere, sicchè correttamente la Corte distrettuale non l’ha operato, avendo ritenuto, sulla base di un accertamento in fatto non censurabile in questa sede, che non emergesse nè radicamento nè vulnerabilità.

3. – In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

4. – Nulla per le spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva.

5. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 23 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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