Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20893 del 05/08/2019

Cassazione civile sez. I, 05/08/2019, (ud. 05/06/2019, dep. 05/08/2019), n.20893

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 1410/2014 proposto da:

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del Curatore

F.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Mondragone n.

10, presso lo studio dell’Avvocato Piera Mastrangeli, rappresentato

e difeso dall’Avvocato Andrea De Cesaris giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Regione Toscana, in persona del presidente pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Piazza Barberini n. 12, presso lo studio

dell’Avvocato Marcello Cecchetti, rappresentata e difesa dagli

Avvocati Lucia Bora e Fabio Ciari giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di PISA, del 3/12/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/06/2019 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Regione Toscana e (OMISSIS) s.r.l. stipulavano in data 5 maggio 2008 una convenzione avente a oggetto l’attribuzione di contributi finanziari relativi ai lotti per le Province di Pisa e Livorno del progetto di diffusione della banda larga nel territorio regionale.

2. Una volta dichiarato il fallimento di (OMISSIS) s.r.l. il giudice delegato ammetteva al passivo della procedura il credito vantato dalla Regione Toscana per Euro 970.069,34 a titolo di restituzione del contributo erogato alla compagine in bonis, dopo aver rilevato che la revoca della concessione e la risoluzione della convenzione risultavano legittime e tenuto conto dell’impossibilità di riconoscere un compenso per le opere già eseguite, che non erano state acquisite dall’amministrazione.

2. Il Tribunale di Pisa, a seguito dell’impugnazione presentata dal curatore del fallimento di (OMISSIS) s.r.l.: i) riteneva che l’art. 18 della convenzione non dovesse essere inteso nel senso che la disposizione di sospensione dell’attività fosse requisito necessario perchè la Regione potesse poi procedere alla risoluzione dell’accordo; ii) osservava che all’interno del decreto di autotutela assunto dalla Regione erano stati indicati i motivi di interesse pubblico posti a base del provvedimento e risultava effettuata la comparazione degli interessi in gioco, che per la parte pubblica consistevano nella fornitura del servizio di connettività internet; iii) reputava che la risoluzione fosse stata legittimamente decretata dalla Regione Toscana, in quanto alla scadenza del termine prorogato di diffida (OMISSIS) s.r.l. non aveva proceduto alla eliminazione delle irregolarità, non risultando ancora attivi tre siti e non essendo stati adeguatamente curati, in riferimento ai siti attivi, i livelli di servizio minimo (cd. SLA, service leve) agreement); iv) rilevava che la convenzione stipulata prevedeva non la realizzazione di un’opera pubblica attraverso un contratto di appalto bensì l’erogazione di aiuti di Stato a società private per la realizzazione di opere private che rimanevano di proprietà delle ditte realizzatrici, tese al perseguimento di un interesse pubblico, con la conseguente impossibilità di applicare la disciplina dei contratti pubblici e il disposto dell’art. 1458 c.c.. Sulla base di queste argomentazioni il collegio rigettava l’impugnazione presentata dal curatore del fallimento di (OMISSIS) s.r.l..

3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso il curatore del fallimento di (OMISSIS) s.r.l. prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso la Regione Toscana.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372 e 1362 c.c. in relazione all’art. 18 della convenzione inter partes, L. n. 241 del 1990, art. 21-sexiesartt. 1454 e 1455 c.c. nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato già oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale avrebbe male interpretato il disposto dell’art. 18 della convenzione stipulata fra le parti, a mente del quale la Regione, per legittimare la risoluzione a seguito dell’inosservanza della diffida ad adempiere, avrebbe dovuto comunicare e notificare congiuntamente anche la sospensione dell’erogazione del contributo.

Il collegio dell’impugnazione avrebbe applicato in maniera errata i canoni ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c., non provvedendo a esaminare la formulazione letterale della dichiarazione negoziale in ogni sua parte e parola, ma limitandosi solo ad una porzione; l’esame della parte omessa avrebbe invece consentito di verificare che la dichiarazione di sospensione del contributo era requisito necessario per disporre la risoluzione della convenzione.

Nel contempo il Tribunale sarebbe incorso nel vizio di omesso esame e omessa motivazione laddove aveva del tutto trascurato di considerare la parte della formulazione negoziale nella quale si subordinava espressamente la risoluzione al decorso del termine previsto congiuntamente nella diffida e nella dichiarazione di sospensione.

4.2 I motivo è infondato.

In tesi di parte ricorrente l’art. 18 della convenzione sarebbe stato mal interpretato poichè il collegio dell’impugnazione avrebbe omesso di valutare la formulazione letterale di ogni parte della clausola, senza considerare che la risoluzione del contratto era espressamente subordinata al decorso del termine assegnato sia nella diffida che nella dichiarazione di sospensione, espressione che imponeva la preventiva comunicazione anche di quest’ultimo provvedimento.

Ora, nell’interpretazione del contenuto del contratto la comune volontà dei contraenti deve essere ricostruita sulla base di due elementi principali, privi di un preciso ordine di priorità e destinati a integrarsi a vicenda, costituiti dal senso letterale delle espressioni usate e dalla ratio del precetto contrattuale (Cass. 5102/2015).

Nel compiere questa esegesi negoziale il giudice, alla luce del principio enunciato dall’art. 1363 c.c., non può arrestarsi ad una considerazione atomistica delle singole clausole, neppure quando la loro interpretazione possa essere compiuta, senza incertezze, sulla base del senso letterale delle parole, poichè anche questo va necessariamente riferito all’intero testo della dichiarazione negoziale, di modo che le varie espressioni che in essa figurano vanno coordinate fra loro e ricondotte ad armonica unità e concordanza (Cass. 2267/2018).

Oltre a ciò anche quando il significato letterale del contratto sia apparentemente chiaro il giudicante, dopo aver compiuto l’esegesi del testo, deve verificare se quest’ultimo sia coerente con la causa del contratto e con le dichiarate intenzioni delle parti (Cass. 25840/2014).

A questi principi si è attenuto il collegio di merito nel momento in cui, tenuto conto del complessivo tenore della clausola, ha ritenuto che il suo ultimo periodo andasse inteso alla luce del precedente testo negoziale, secondo cui la sospensione – facoltativa, utilizzabile solo nei casi più gravi e finalizzata a non riconoscere al beneficiario i costi eventualmente sostenuti nel periodo di sospensione – non poteva essere intesa come requisito necessario o condizione per procedere alla risoluzione unilaterale della convenzione.

Risulta invece infondata la critica in esame, la quale, al contrario, pretende di valorizzare il tenore letterale di un solo periodo della clausola al fine di attribuire al testo contrattuale un significato che prescinda dalla comune intenzione delle parti e dal complessivo contenuto dell’atto, a dispetto dei canoni ermeneutici previsti dagli artt. 1362 e 1363 c.c..

Risulta parimenti insussistente il vizio di motivazione dedotto, atteso che il Tribunale, lungi dal trascurare di considerare la parte della formulazione negoziale dove si prevedeva che la risoluzione della convenzione conseguisse all’inutile decorso del termine assegnato nella diffida e nella comunicazione di sospensione, l’ha espressamente presa in esame (a pag. 3 del provvedimento impugnato) fornendo l’interpretazione sopra indicata.

5.1 Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1372 e 1362 c.c. in relazione all’art. 18 della convenzione inter partes, L. n. 241 del 1990, art. 21-sexies, artt. 1454 e 1455 c.c. nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato già oggetto di discussione fra le parti: la Regione avrebbe illegittimamente disposto la risoluzione della convenzione sulla base di presunte inadempienze che non erano state contestate all’interno della diffida e rispetto alle quali non era stato concesso alcun termine per provvedere all’eliminazione, in violazione del disposto dell’art. 18 del testo negoziale; il Tribunale, senza alcuna motivazione, avrebbe confermato la legittimità di una simile procedura, riferendosi a inadempimenti che non erano stati oggetto di diffida, quando al contrario il giudizio di importanza dell’inadempimento doveva fermarsi solo all’aspetto formalmente contestato e per il quale era stato concesso un termine per l’eliminazione.

5.2 La censura in esame assume che la Regione Toscana, dopo aver rappresentato in diffida irregolarità riguardanti soltanto la mancata attivazione di alcuni siti, abbia poi proceduto alla risoluzione della convenzione in ragione anche di una diversa irregolarità, mai rilevata in precedenza, concernente le difformità rispetto ai livelli degli SLA contrattualizzati, trovando poi avallo della propria condotta in sede giudiziale, dove il Tribunale aveva fondato la valutazione della legittimità della risoluzione anche su tali aspetti non contestati.

Da un esame del provvedimento impugnato e del motivo di ricorso non risulta tuttavia che la questione sia mai stata sottoposta al vaglio del collegio dell’opposizione.

Il che comporta l’inammissibilità del mezzo in esame.

In linea generale infatti nel giudizio di cassazione non si possono prospettare nuove questioni di diritto ovvero nuovi temi di contestazione che implichino indagini e accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, nemmeno se si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass. 25319/2017).

Il principio trova applicazione anche alle impugnazioni contro il decreto che rende esecutivo lo stato passivo.

La L. Fall., art. 99 infatti, configurando il giudizio di opposizione allo stato passivo in senso impugnatorio e delimitando il thema decidendi ai fatti e agli elementi di diritto su cui si basa l’impugnazione, esclude l’ammissibilità di domande nuove, non proposte nel grado precedente, e di nuovi accertamenti di fatto, sicchè è inammissibile il ricorso per cassazione che solleciti l’esame di questioni, di fatto o di diritto, non prospettate, ritualmente e tempestivamente, nel giudizio di opposizione (Cass. 22006/2017).

6.1 Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o errata applicazione degli artt. 1453,1454 e 1455 c.c., in relazione all’art. 18 della convenzione, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio già oggetto di discussione fra le parti: il Tribunale, a fronte delle contestazioni del curatore circa la gravità dell’inadempimento, piuttosto che limitarsi ad accertare se la diffida avesse avuto seguito avrebbe dovuto procedere a valutare l’importanza dell’inadempimento, effettuando un’indagine circa la proporzione fra prestazione inadempiuta e prestazione globale prevista e avendo riguardo all’incidenza dell’inadempimento lamentato sul complessivo equilibrio contrattuale; il collegio inoltre non avrebbe tenuto in alcun conto che la compagine poi fallita aveva realizzato una percentuale della propria prestazione pari all’85%, con livelli di SLA ritenuti congrui dalla C.T.U., che parte delle irregolarità indicate come presupposto della risoluzione non erano state contestate e che la Regione a sua volta non aveva liquidato il contributo a cui era tenuta, pari a Euro 1.069.127,98.

6.2 Il quarto motivo di ricorso lamenta la violazione e/o errata applicazione dell’art. 1181 c.c. in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c. nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione fra le parti: l’amministrazione, non accettando l’adempimento parziale e comminando la risoluzione per inadempimento, avrebbe violato il combinato disposto degli artt. 1175 e 1181 c.c., a mente dei quali la parte creditrice non era legittimata a rifiutare la prestazione parziale ove il rifiuto fosse contrario a buona fede; sul punto il Tribunale avrebbe offerto una motivazione lapidaria e tautologica, da considerarsi del tutto insussistente, non valutando la copertura territoriale offerta, la mancata contestazione di tutte le irregolarità poste a base della risoluzione, l’inadempimento della Regione nel pagamento del contributo per i siti che erano stati regolarmente eseguiti e omettendo così di verificare se la Regione avesse abusato del proprio diritto comportandosi in mala fede.

6.3 I motivi, da esaminarsi congiuntamente in quanto entrambi diretti a contestare la valutazione dell’inadempimento da parte del giudice di merito, sono inammissibili.

6.3.1 Il Tribunale, dopo aver ricordato che la convenzione si inseriva in un programma di aiuti alle imprese teso a diffondere le infrastrutture a banda larga per l’accesso a internet nelle aree marginali del territorio toscano, dapprima ha constatato che (OMISSIS) s.r.l. aveva installato una tipologia di rete che richiedeva un’opera di riconfigurazione per le interferenze sulla stessa banda causate da altri apparati installati da soggetti terzi, quindi ha rilevato che la società fallita non solo non aveva attivato alcuni siti, ma non aveva neppure curato, in riferimento ai siti attivi, i livelli di servizio minimo (che doveva essere particolarmente accurato alla luce della tecnologia impiegata e invece non risultava assicurato, pur a fronte di situazioni risolvibili attraverso una normale manutenzione della rete).

In questi termini il Tribunale ha inteso evidenziare come l’adempimento della fallita fosse risultato carente tanto in termini geografici, non assicurando una copertura completa del territorio assegnato, quanto soprattutto in termini funzionali, dato che non erano stati assicurati gli interventi correttivi di manutenzione da parte del gestore idonei a garantire una continuità di servizio all’utente, risultando così frustrata la finalità pubblica che la Regione Toscana intendeva perseguire attraverso la sovvenzione erogata.

Una simile valutazione contiene, all’evidenza, la valutazione dell’importanza dell’inadempimento che il ricorrente assume come assente.

Nell’effettuare questa valutazione il Tribunale – facendo applicazione del generale principio secondo cui quando sia dedotto l’inesatto adempimento è sufficiente al creditore la mera allegazione dell’inesattezza della prestazione, gravando sul debitore l’onere della prova contraria, principio che non trova deroga nel caso in cui l’inesatto adempimento sia posto a fondamento dell’eccezione di cui all’art. 1460 c.c. (Cass. 9439/2008) – è giunto a ritenere che l’inadempimento sia stato generale e composito, in quanto a una incompleta copertura della zona assegnata in termini di siti attivi si era aggiunta una generale mancanza dell’assistenza tecnica necessaria ad assicurare una continuità del servizio.

Il che rende evidente come agli occhi dei giudici di merito – a cui è demandato il compito di indagare, in caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, la gravità della inadempienza tenendo conto del valore, determinabile mediante il criterio di proporzionalità, della parte dell’obbligazione non adempiuta rispetto al tutto, nonchè di considerare se, per effetto dell’inadempimento, si sia verificata, ai danni della controparte, una sensibile alterazione dell’equilibrio contrattuale (Cass. 15052/2018) – le prestazioni a cui (OMISSIS) s.r.l. era tenuta fossero state, tutte, adempiute in maniera incompleta e inesatta, seppur con diversi livelli di gravità dell’inadempimento, non consentendo di perseguire l’obiettivo cui il finanziamento era funzionale, costituito dalla fornitura di un efficiente servizio di connettività internet.

La proporzionalità dunque è stata predicata, piuttosto che rispetto alla parte esattamente adempiuta, in termini di diversa gravità nell’ambito di un completo inadempimento; il giudice del merito ha poi rapportato un simile, generale, inesatto adempimento alla finalità perseguita dall’ente pubblico, constatando la completa alterazione dell’equilibrio contrattuale in mancanza di una normale funzionalità della rete.

La critica in esame quindi non tiene conto delle caratteristiche dell’inadempimento rilevate dal giudice di merito nè si correla con le ragioni da questi offerte e si attarda nella denuncia di una violazione di legge sostanziale nel tentativo, in sostanza, di introdurre un sindacato di fatto sull’esito della valutazione della congerie istruttoria operato dal giudice di merito, non rinnovabile però in questa sede di legittimità.

E in questo sforzo adduce, in maniera altrettanto inammissibile, l’inadempimento della controparte pubblica malgrado un simile profilo non fosse stato fatto tempestivamente valere in sede di impugnazione ma solo, per sua stessa ammissione (pag. 46 del ricorso), nelle note autorizzate.

6.3.2 Nella prospettiva appena descritta deve essere letta e interpretata anche la statuizione del giudice di merito circa l’inapplicabilità al caso di specie del disposto dell’art. 1181 c.c..

Il Tribunale – come detto – ha valutato l’inadempimento non solo di carattere generalizzato, seppur per livelli non coincidenti, ma anche grave, escludendo perciò che l’inadempimento fosse di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte.

La critica in esame non coglie la ratio della decisione impugnata, la quale nega – con una motivazione sì sintetica, ma fondata sugli argomenti poco prima illustrati – che il rifiuto dell’adempimento parziale potesse considerarsi contrario a buona fede proprio per la mancanza del presupposto della norma invocata, stanti il generale inadempimento della fallita, in diversi gradi, degli obblighi assunti e il mancato seguito alla diffida inviata, e fa discendere da questo carattere globale e persistente dell’inadempimento la valutazione della sua importanza.

Ne consegue l’inammissibilità del mezzo, che non coglie nè contesta specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia impugnata ma si limita alla mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’impugnazione, operando così una mera contrapposizione del suo giudizio e della sua valutazione a quella espressa dal provvedimento impugnato senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo.

D’altra parte il rilievo è privo di decisività, in quanto trascura di considerare che il principio stabilito dall’art. 1181 c.c.(facoltà del creditore di rifiutare un adempimento parziale) e la regola dettata dall’art. 1455 c.c. (importanza dell’inadempimento, ai fini della risoluzione), operano in due sfere autonome, attenendo il primo al potere del creditore di rifiutare la prestazione parziale e di agire, quindi, per il conseguimento dell’intero, e la seconda al potere del contraente di ottenere la risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive, nel caso di inadempienza di non lieve entità dell’altra parte (Cass. 76/1976); sicchè il rifiuto dell’adempimento parziale operato dalla Regione Toscana di per sè non poteva costituire elemento giustificativo della risoluzione del contratto e non esimeva dal valutare l’importanza dell’inadempimento imputabile alla compagine poi fallita.

6.3.3 Risultano del pari inammissibili le censure che si appuntano sui vizi motivazionali del decreto impugnato.

Ciò sia perchè il Tribunale ha individuato la copertura geografica dei siti in termini del tutto coerenti con quanto voluto dal ricorrente, sia perchè non è possibile sindacare sotto questo profilo gli apprezzamenti compiuti dal giudice di merito, sulla base della consulenza tecnica espletata, in termini di livelli di servizio minimo, sia perchè il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, doveva indicare, oltre al fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso (vale a dire il limitato contenuto delle contestazioni prima della risoluzione della convenzione o il mancato pagamento del contributo per i siti eseguiti), anche il dato, testuale o extratestuale, da cui esso risultava esistente (e tempestivamente rappresentato al giudice di merito), il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività (Cass., Sez. U., 8053/2014).

7. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 5 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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