Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20892 del 17/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 17/10/2016, (ud. 08/04/2016, dep. 17/10/2016), n.20892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7288/2012 proposto da:

M.V. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ANTONIO BERTOLONI 55, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA

BERTOCCHINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

STEFANO POLI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CENTROTERMICO DEI FRATELLI A. SNC (OMISSIS), A.S.

(OMISSIS), A.P. (OMISSIS);

– intimati –

Nonchè da:

CENTROTERMICO DEI FRATELLI A. SNC (OMISSIS) in persona del suo

rappresentante legale, A.S. (OMISSIS), A.P.

(OMISSIS) anche in proprio, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

ASCREA 18, presso lo studio dell’avvocato GAETANO DELL’ACQUA, che li

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

e contro

M.V. (OMISSIS):

– intimato –

avverso la sentenza n. 3/2011 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 28/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/04/2016 dal Consigliere Dott. FABRIZIO DI MARZIO;

udito l’Avvocato IGNAZIO MORONI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il tribunale di Matera, giudicando il ricorso svolto ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c., dalla società Centrotermico dei fratelli A. s.n.c. nonchè da A.S. e A.P. nei confronti di M.V., ricorso per il rilascio di un immobile dedotto in un contratto di comodato e la condanna al risarcimento del danno, accolse la domanda al rilascio, respingendo invece l’altra.

La corte di Potenza, adita con appello principale da M. e incidentalmente da Centrotermico s.n.c., respinse l’appello principale accogliendo parzialmente quello incidentale e conseguentemente condannando in via generica il M. al risarcimento del danno.

M.V. ha presentato ricorso affidandosi a due motivi.

Centrotermico s.n.c. ha presentato controricorso e ricorso incidentale condizionato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo M. argomenta censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, affermando violazione dell’art. 1809 c.c., comma 2, e vizio di motivazione circa la ricorrenza, nel caso di specie, dei presupposti per l’applicazione della citata disposizione, osservando come, premettendo l’applicabilità al caso di specie dell’art. 1809 c.c., comma 2, la corte territoriale non abbia, tuttavia, giudicato correttamente l’esistenza, in capo al comodante, di uno stato di bisogno urgente e impreveduto tale da giustificare il rilascio dell’immobile, peraltro, adibito ad uso abitativo, prima della scadenza del termine convenuto.

2. Il motivo è infondato.

Deve premettersi che non cade in discussione nel ricorso la sistemazione giurisprudenziale della fattispecie, oggetto anche del presente processo, costituita dal contratto di comodato a tempo indeterminato avente ad oggetto un bene immobile adibito, per accordo tra le parti, a casa di abitazione.

La rilevanza che in questo caso viene ad assumere l’interesse del comodatario è particolarmente intensa rispetto alla considerazione che per altro verso prevalentemente il sistema riconosce all’interesse del comodante.

In generale è dato acquisito nella cultura giuridica che nel contratto di comodato, attesa la gratuità della prestazione del comodante, quest’ultimo resta tutelato dalla ipotesi di recesso legale stabilita nell’art. 1809 c.c., comma 2, per cui il comodante anche prima del termine di scadenza del contratto eventualmente convenuto e, comunque, prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, può esigerne la restituzione immediata se colto da un bisogno urgente e non previsto al momento della stipulazione del contratto.

Tuttavia, qualora sia convenuto l’utilizzo dell’immobile come abitazione, la rilevanza dell’interesse del comodatario diviene più significativa, imponendo al giudice una ponderazione delle esigenze del comodante improntata alla attenta valutazione dei requisiti di fattispecie posti a fondamento dell’esercizio del recesso.

E’ quanto questa corte ha stabilito nella decisione a sezioni unite del 29.9.2014 n. 20448.

Ne è seguito l’insegnamento per cui ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2, il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, nè concreti o solo astrattamente ipotizzabili.

Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d’un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato, ancorchè la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante.

2.1. Nel caso di specie la corte di appello ha ricostruito il fatto evidenziando che la società da cui l’odierno ricorrente è stato escluso come socio aveva concluso contratti di comodato con i propri soci favorendone il soddisfacimento delle esigenze abitative in luoghi prossimi alla sede sociale; con il venir meno del vincolo sociale in capo all’odierno ricorrente (fatto non preveduto al momento della stipula del contratto di comodato) doveva ritenersi venuta meno anche l’esigenza di favorire il facile raggiungimento da parte dell’ex socio della sede sociale.

Al venir meno dell’interesse della società a consentire all’odierno ricorrente un’agevole frequentazione della sede sociale si accompagna, nella ricostruzione operata dal giudice di merito, la sopravvenuta esigenza di destinare l’immobile per cui è causa ad attività della società (organizzandovi una sede per le riunioni): come dimostrato dalla documentazione in atti relativa alla modificazione della destinazione d’uso di detto immobile.

Precisa la corte di appello come non spetti al giudice di valutare, nella opportunità, le scelte del comodante, sopravvenute nel corso del rapporto contrattuale, sull’uso a cui destinare il bene.

Ciò che la corte di appello ha ritenuto sufficiente è la sussistenza, nel caso di specie, di un apprezzabile interesse in capo alla società a destinare il bene immobile all’esercizio dell’attività di impresa.

2.2. Così ragionando il giudice di merito applica correttamente il disposto dell’art. 1809 c.c., comma 2, ponderando attentamente le esigenze del comodante e quelle del comodatario; le esigenze dell’attività di impresa da un lato e quelle abitative dall’altro.

Sottolinea, detto ragionamento, la coerenza delle diverse decisioni adottate dal comodante: che in un primo momento ha concluso il contratto considerando attentamente le esigenze dell’impresa (e perciò soddisfacendo a tal fine, e, dunque, strumentalmente, le esigenze abitative del socio); che, in un secondo momento, essendo cessato il vincolo sociale, ha deciso di conservare la destinazione dell’immobile alle esigenze dell’impresa questa volta prescegliendo l’utilizzo diretto del bene per l’attività sociale (cfr. pag. 5 e ss. della motivazione, dove pure si rileva come appare conseguentemente ragionevole che la società abbia scelto di destinare all’uso di sala riunioni proprio l’immobile detenuto in comodato dall’ex socio piuttosto che altri immobili detenuti allo stesso titolo dai soci superstiti).

3. Con il secondo motivo si argomentano censure ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1809 c.c., comma 2, giacchè, non sussistendo i presupposti per la condanna al rilascio, nemmeno sarebbe dovuta alcuna somma a titolo di ristoro di danni ingiusti. Circa il contenuto della condanna generica, si lamenta, poi, che, pur in assenza di domanda, la corte non si sia limitata a pronunciare detta condanna ma abbia altresì stabilito il criterio di determinazione del danno e il periodo di riferimento per svolgere il calcolo.

4. Il primo profilo di doglianza resta assorbito dalla accertata sussistenza dei presupposti di legge per la condanna al rilascio.

Con riguardo alla critica circa il contenuto della domanda a cui la corte di appello avrebbe risposto eccedendo i limiti del richiesto, deve rilevarsene la inammissibilità non soddisfacendo il ricorso il disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, secondo cui il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, la specifica indicazione degli atti processuali a cui si riferisce. Infatti, detta domanda non è trascritta nel ricorso, che si limita a riferire in via generica del contenuto della stessa così impedendo a questa corte il vaglio sull’eventuale sussistenza di un vizio di ultrapetizione.

Deve in ogni caso osservarsi come correttamente sia stato stabilito il termine di decorrenza della obbligazione al pagamento dell’indennità di occupazione dal giorno della domanda (e dunque della formale messa in mora del debitore) atteso che la pronuncia sul recesso del comodante dal rapporto non ha natura costitutiva bensì di mero accertamento della integrazione, nel caso di specie, dei presupposti per il legittimo esercizio del diritto potestativo.

5. Gli intimati, hanno esposto nel ricorso incidentale condizionato istanza di ammissione della prova testimoniale già articolata davanti al tribunale nonchè i motivi di rilascio ulteriormente svolti in tale sede di merito.

6. Il rigetto del ricorso principale determina l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

7. Le spese sono liquidate in dispositivo in ragione della soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale; condanna parte ricorrente alla rifusione a controparte delle spese del giudizio di cassazione, liquidate il Euro 7.200,00, di cui Euro 200 per spese, oltre accessori di legge, IVA e CPA.

Così deciso in Roma, il 8 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2016

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