Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20892 del 05/08/2019

Cassazione civile sez. I, 05/08/2019, (ud. 04/06/2019, dep. 05/08/2019), n.20892

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 804/2018 proposto da:

Immobiliare S. Egidio S.r.l. in concordato preventivo, in persona del

legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza

Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa dagli Avvocati Marco Carollo e Alessandro

Oneto giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.M.L., B.R., P.C. e

P.G., elettivamente domiciliati in Roma, Via Tagliamento n. 55,

presso lo studio dell’Avvocato Nicola Di Pierro, che li rappresenta

e difende unitamente all’Avvocato Luciano Giorgi giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di FIRENZE depositato in

data 20/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

4/6/2019 dal cons. Dott. PAZZI ALBERTO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

MATTEIS STANISLAO, che si è riportato alle osservazioni scritte

depositate ed ha concluso per il rigetto del ricorso (rigetto della

eccezione di inammissibilità del ricorso);

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato Nicola Di Pierro che ha

chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Nel corso della procedura di concordato preventivo introdotta da Immobiliare S. Egidio s.r.l., la creditrice M.L., il cui diritto di suffragio era contestato dalla debitrice; esprimeva voto contrario alla proposta presentata in entrambe le adunanze dei creditori tenutesi in data 16 settembre 2016 e il 20 ottobre 2016.

La medesima creditrice, il successivo 13 febbraio 2017, comunicava al commissario giudiziale il proprio interesse alla omologazione del concordato, revocando ogni sua precedente e contestata manifestazione di voto, espressa in pendenza di un contenzioso giudiziario con Immobiliare S. Egidio s.r.l., e formulando invece, in vista del giudizio di omologazione, voto favorevole.

Il Tribunale di Grosseto, preso atto del carattere determinante – ai fini dell’omologa – della posizione della creditrice M., riteneva che il principio di non modificabilità del voto non potesse trovare applicazione al caso di specie, trattandosi di un concordato introdotto prima della modifica apportata alla L. Fall., art. 178, comma 4, dalla L. n. 132 del 2015, e, constatato il raggiungimento delle maggioranze necessarie in conseguenza del più recente positivo suffragio espresso dalla stessa M., omologava il concordato con decreto in data 21 marzo 2017.

2. La Corte d’appello di Firenze, a seguito del reclamo presentato dai creditori P.M.L., P.C., P.G. e B.R., riteneva che il gravame, proposto nei trenta giorni dalla comunicazione del decreto di omologa, fosse in primo luogo tempestivo; nel merito, il collegio del reclamo reputava che il disposto della L. Fall., art. 178, comma 4, nel testo applicabile ratione temporis, consentisse al creditore di cambiare il proprio voto, nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale dell’adunanza dei creditori, da favorevole, per presunzione, a contrario ma non da espressamente contrario a favorevole; di conseguenza la corte distrettuale, constatato che il mutamento del voto aveva comportato il raggiungimento della maggioranza favorevole al concordato, accoglieva il reclamo e revocava il decreto di omologa.

3. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso Immobiliare S. Egidio s.r.l. prospettando due motivi di doglianza, ai quali hanno resistito con controricorso P.M.L., P.C., P.G. e B.R..

L’intimato commissario giudiziale della procedura di concordato preventivo di Immobiliare S. Egidio s.r.l. non ha svolto alcuna difesa. Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta sollecitando il rigetto di entrambi i motivi di ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4.1 il primo motivo di ricorso denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione della L. Fall., art. 183,artt. 737,739 e 742-bis c.p.c., artt. 12 e 14 preleggi: la Corte dell’appello avrebbe erroneamente ravvisato la tempestività dell’impugnazione in quanto, in caso di pronunzia di decreto di omologa, il termine per la proposizione del reclamo avverso tale provvedimento, ai sensi della L. Fall., art. 183, doveva essere individuato in quello di dieci giorni previsto dall’art. 739 c.p.c., mentre il maggior termine di trenta giorni, stabilito dalla L. Fall., art. 18, poteva essere applicato in maniera analogica soltanto nell’ipotesi in cui alla mancata omologa del concordato preventivo si accompagnasse una contestuale dichiarazione di fallimento.

4.2 Il motivo è infondato.

4.2.1 L’interesse al reclamo avverso il decreto con cui la domanda di omologa del concordato viene disattesa prescinde dalla dichiarazione di fallimento, dato che l’impugnazione può essere proposta, ai sensi della L. Fall., art. 183, comma 1, anche avverso il decreto con cui il Tribunale definisce, in senso negativo, il giudizio di omologazione del concordato preventivo senza pronunciare consequenziale sentenza dichiarativa del fallimento del debitore (Cass., Sez. U., 27073/2016). L’irrilevanza della dichiarazione di fallimento ai fini della proponibilità del reclamo avverso il provvedimento di diniego dell’omologa, reso dal Tribunale, non può che condurre a individuare un unico termine per la presentazione dell’impugnazione, onde evitare che i termini per proporre la medesima forma di gravame possano mutare a seconda del contenuto del provvedimento impugnato e della eventualità che, contestualmente al diniego di omologazione, possa o non possa essere pronunciata la sentenza di fallimento.

4.2.2 Il disposto della L. Fall., art. 183, comma 2, prevede che “con lo stesso reclamo è impugnabile la sentenza dichiarativa di fallimento, contestualmente emessa a norma dell’art. 180, comma 7”.

La norma si ispira chiaramente al generale principio di necessaria convergenza di ogni doglianza concernente la procedura concordataria e la dichiarazione di fallimento, secondo cui l’effetto devolutivo pieno (che caratterizza il reclamo avverso la sentenza di fallimento) riguarda anche la decisione negativa sulla domanda di ammissione al concordato, perchè parte inscindibile di un unico giudizio sulla regolazione concorsuale della stessa crisi (Cass., Sez. U., 9935/2015). Il dato testuale della L. Fall., art. 183, comma 2, induce perciò a ritenere che il legislatore abbia tenuto presente, nel formulare il testo normativo, il reclamo proponibile contro la sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi della L. Fall., art. 18.

Ne discende la necessità di individuare il termine unitario per presentare reclamo in quello previsto dalla disposizione appena richiamata, la quale introduce una regola particolare per il procedimento di impugnazione della sentenza dichiarativa di fallimento in deroga alla disciplina dei procedimenti camerali che governa, in linea generale, il procedimento L. Fall., ex art. 15.

Va dunque ribadito l’orientamento di questa Corte, correttamente applicato dal collegio di merito, secondo cui:

in tema di procedure concorsuali, il reclamo presentato ai sensi della L. Fall., art. 183 alla Corte d’appello avverso il decreto con il quale il Tribunale abbia provveduto sull’omologazione del concordato preventivo, accordandola o negandola, deve essere proposto entro il termine di trenta giorni (Cass. 4304/2012, Cass. 21606/2013, Cass. 3463/2017).

5.1 Il secondo mezzo lamenta la violazione della L. Fall., art. 180. e l’erronea applicazione della L. Fall., art. 178, comma 4, al caso di specie: la corte territoriale, facendo erroneo riferimento a tale norma, non avrebbe considerato che competeva al Tribunale, in sede di giudizio di omologazione, valutare le ragioni di contestazione del voto espresso dalla M. ed assumere ogni decisione in merito; di conseguenza, nel caso in cui il motivo del contendere tra il debitore proponente il concordato e il creditore fosse venuto meno dopo l’adunanza dei creditori e il creditore avesse revocato la manifestazione di voto invalida e mutato la propria determinazione negoziale prima della decisione della questione in sede di omologazione, il Tribunale avrebbe dovuto dare rilievo alla revoca del voto e al successivo suffragio, considerato dalle parti valido e incontestato, in applicazione del principio dispositivo.

5.2 In tesi di parte ricorrente, la questione sollevata con il reclamo sarebbe stata male intesa dalla corte a quo: si trattava non tanto di valutare la revocabilità del voto oltre i termini previsti dalla L. Fall., art. 178, comma 4, bensì di constatare che il creditore, la cui legittimazione fosse stata contestata, poteva sempre revocare il voto ritenuto invalido sino a quando sul punto non fosse intervenuta una decisione del Tribunale in sede di omologazione; sicchè, secondo la ricorrente, nel caso in cui – dopo la revoca del voto – le parti avessero espresso adesione al concordato, il suffragio così manifestato avrebbe dovuto essere computato ai fini del calcolo delle maggioranze, in virtù del principio dispositivo com’è proprio di ogni questione di natura civilistica a carattere patrimoniale.

Il motivo è infondato.

5.2.1 Nell’ambito della procedura concordataria, a differenza di quanto avviene in altre procedure concorsuali, la verifica dei crediti non è funzionale alla selezione delle posizioni concorrenti ai fini della partecipazione al riparto dell’attivo, ma, ben diversamente, alla mera individuazione dei crediti aventi diritto al voto e da tenere in conto ai fini del calcolo delle maggioranze, come rende palese il disposto della L. Fall., art. 176.

Quest’ultima disposizione, laddove prevede che il giudice delegato possa “ammettere provvisoriamente in tutto o in parte i crediti contestati ai soli fini del voto e del calcolo delle maggioranze”, intende rappresentare tanto che le determinazioni assunte al riguardo possono essere superate da una diversa decisione del Tribunale in fase di omologa, quanto che le stesse hanno la limitata efficacia prevista e non sono idonee a compromettere in alcun modo l’accertamento, nelle competenti sedi di cognizione, dell’esistenza, dell’entità e della natura del credito, come chiarisce espressamente l’ultimo periodo del comma 1 della previsione citata.

5.2.2 La doglianza in esame confonde il piano dell’esistenza del diritto di credito con quello dell’espressione del voto.

La contestazione, sollevata dal debitore proponente il concordato in sede di adunanza dei creditori rispetto a singoli crediti, riguarda l’esistenza e/o la consistenza del diritto di credito e la correlata legittimazione al voto del titolare dello stesso e non l’espressione del suffragio.

Il credito può ben essere contestato dal debitore proponente il concordato e, in tal caso, la contestazione deve essere valutata – dal giudice delegato alla procedura, prima del voto, dal Tribunale, nel giudizio di omologazione, e dalla Corte d’appello, in sede di reclamo tramite un accertamento sommario di natura amministrativa e con carattere prettamente ricognitivo, senza alcun riflesso sui diritti soggettivi, ai fini della verifica delle maggioranze utili all’approvazione del concordato.

Il voto invece, pur se correlato al diritto di credito, involge, nella sua espressione, lo sviluppo della formulazione del consenso dei creditori rispetto alla proposta concordataria presentata e rimane esercitabile secondo le modalità previste dalla L. Fall., art. 178.

Il credito è un diritto personale; il voto invece è una delle modalità di esercizio del diritto di credito che confluisce in un ambito procedurale, congiuntamente ad analoga espressione degli altri creditori e che nelle regole della procedura trova la sua disciplina.

Il creditore perciò mantiene, piena e inalterata, la disponibilità del proprio diritto sostanziale, ma non quella del voto, da esso dipendente ma distinto, dato che il suffragio, una volta espresso, non può essere oggetto di rivisitazione o ripensamenti se non nei limiti previsti dall’ordinamento.

E questi limiti sono stabiliti, secondo la disciplina applicabile ratione temporis, alla L. Fall., art. 178, comma 4, (il quale, nella regolazione non più attuale, consente ai soli creditori che non abbiano esercitato il loro voto in sede di adunanza di far pervenire un suffragio postumo nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale, al fine di non essere annoverati fra i consenzienti, così implicitamente escludendo la possibilità di modifica del voto già manifestato in maniera espressa al momento dell’adunanza) o alla L. Fall., art. 179, comma 2, (in caso di mutamento delle condizioni di fattibilità del piano).

Al di fuori di questi limiti il creditore può disporre del proprio diritto sostanziale ma non delle regole della procedura nè, tanto meno, delle sorti della stessa, esprimendo o mutando a posteriori un consenso che andava necessariamente manifestato nei modi e nei termini stabiliti dalla disciplina procedurale sopra richiamata.

Il che significa che qualunque modifica della determinazione negoziale di ciascun creditore rispetto alla proposta concordataria si risolve, a prescindere dalle ragioni per cui avvenga, in una modifica del voto e, come tale, rimane limitata dalle sue regole.

Bene ha fatto quindi la corte territoriale a ricondurre la fattispecie alla dimensione procedurale regolata dalla L. Fall., art. 178, comma 4, in quanto la disponibilità del credito, che le parti hanno ritenuto di regolare nel corso del giudizio di omologazione risolvendo ogni questione che aveva dato luogo alle pregresse contestazioni, non consentiva comunque alle stesse di interferire sulle modalità, oramai esaurite, di formazione del consenso sulla proposta concordataria.

8. Il ricorso va pertanto respinto, in applicazione del seguente principio di diritto:

in tema di procedura di concordato preventivo, il creditore concorrente, il cui diritto di credito può essere oggetto di contestazione ed è suscettibile di accertamento da parte degli organi fallimentari, se mantiene, piena e inalterata, la disponibilità del proprio diritto sostanziale, non per questo ha la possibilità di mutare a piacimento il corrispondente diritto di voto, da esso dipendente ma distinto, atteso che il suffragio, una volta espresso, non può essere oggetto nè di rivisitazione nè di ripensamento, se non nei limiti previsti dall’ordinamento.

Infatti, la L. Fall., art. 178, comma 4, nella disciplina applicabile ratione temporis, consente ai soli creditori che non abbiano esercitato il loro voto in sede di adunanza di far pervenire un suffragio postumo nei venti giorni successivi alla chiusura del verbale, al fine di non essere annoverati fra i consenzienti, così implicitamente escludendo la possibilità di modifica del voto già manifestato in maniera espressa al momento dell’adunanza; e la L. Fall., art. 179, comma 2, consente tale ius variandi solo in caso di mutamento delle condizioni di fattibilità del piano.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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