Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20891 del 12/09/2013


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 20891 Anno 2013
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 24946-2007 proposto da:
SANNINO GIOVANNI SNNGNN50L25G795F, NOVIEI. L0
MASSIMILIANO NYLMSM65L14H072F, elettivamente domiciliati
in ROMA, VIA TACITO, 50, presso lo studio dell’avvocato
COLAMONICO TIZIANA, rappresentati e difesi il primo da sé
medesimo e il secondo dallo stesso avvocato SANNINO GIOVANNI
giusta procura in atti;

2343

– ricorrenti contro
SCOTII GALLETTA ANTONIO;
– intimato

Data pubblicazione: 12/09/2013

sul ricorso 28789-2007 proposto da:
SCOTTI GALIETrA ANTONIO SCTNTN35S22F839R,
domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA
CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

studio in 80121 NAPOLI, VIA CARDUCCI 18;

– ricorrente contro
SANNINO GIOVANNI, NOVIELLO MASSIMILIANO;

intimati

avverso la sentenza n. 2214/2007 della CORTE D’APPELLO di
NAPOLI, depositata il 27/06/2007, R.G.N. 1726 e 1727/1999;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
29/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIM.A;
udito l’Avvocato ANTONIO SCOTTI GALLETTA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per il rigetto di
entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato nel dicembre 1999 i coniugi
.Ambrosino Emilia e Noviello Massimiliano convenivano in giudizio,
innanzi al Tribunale di Napoli, l’avv. Antonio Scotti Galletta per
sentirlo condannare al risarcimento dei danni da loro subiti,
quantificati in lire 300 milioni per entrambi, per essere stati diffamati e
per aver subito la violazione alla loro riservatezza, avendo il predetto
legale prodotto, nell’ambito di una procedura fallimentare, un rapporto
redatto da un’agenzia di investigazione con il quale, oltre a diffondere
dati personali e familiari degli attori, erano attribuiti ai predetti attività

SCOTTI GALLETTA ANTONIO difensore di sé medesimo con

illecite e la commissione di reati di abusivismo edilizio; inoltre, dal
predetto rapporto emergeva che, contrariamente al vero, l’Ambrosino
era insegnante non di ruolo e che i coniugi avrebbero avuto numerosi
debiti e pendenze da sistemare.

deducendo che dopo che due ricorsi per ottenere il fallimento della
società di fatto dei predetti coniugi erano stati rigettati per carenza di
indizi sullo stato di insolvenza di tale società, egli, quale difensore di
Lavadera Lubrano, che vantava un credito per spettanze di lavoro non
riscosse, aveva prodotto il già indicato rapporto in data 17 settembre
1998 e i coniugi debitori avevano conciliato la lite con il suo cliente
con verbale del 24 settembre 1999, ponendo fine alla procedura
fallimentare in corso. Sosteneva inoltre il convenuto che, essendo stata
la sua attività svolta per cònto del ricordato cliente, di quanto
lamentato dagli attori avrebbe dovuto, eventualmente, rispondere il
Lubrano e non certo il suo difensore. Rappresentava l’avv. Scotti
Galletta che il rapporto in questione aveva contenuto informativo e
non offensivo, avvalorando dati di fatto documentabili anche in altro
modo dal Lavadera. Deduceva, infine, il convenuto che il fatto che
l’Ambrosino fosse diventata insegnante di ruolo prima del rapporto
non poteva arrecare danno alla stessa ed asseriva che non sussisteva
alcuna violazione della legge n. 675/96.
Con altro atto di citazione notificato nel maggio del 2000, Ambrosino
Emilia, Noviello Massimiliano e l’avv. Giovanni Sannino convenivano
in giudizio, dinanzi al Tribunale di Napoli, l’avv. Scotti Galletta e
deducevano che il legale convenuto, assumendo che il primo giudizio
era stato proposto dai predetti.coniugi difesi dal Sannino per esercitare
un’indebita pressione sul suo cliente per non far pagare al Noviello
quanto pattuito, aveva presentato un esposto, datato 18 novembre
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Il convenuto si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e

1999, al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, sostenendo che della
vicenda, concretizzandosi l’ipotesi vari reati, doveva occuparsi non
solo il Consiglio dell’Ordine ma anche il Giudice penale. Inoltre, con
nota del 13 dicembre 1999, l’avv. Scotti Galletta aveva accusato l’avv.

Gli attori, ritenendo il comportamento dell’avv. Scotti Galletta
diffamatorio nei loro confronti, chiedevano la condanna di detto legale
al risarcimento dei danni che quantificavano in complessivi 900 milioni
di lire.
Il convenuto si costituiva Chiedendo il rigetto della domanda e
deducendo di essersi limitato a presentare un esposto al Consiglio
dell’Ordine perché la vicenda fosse esaminata in quella sede;
rappresentava che, a seguito dell’esposto, erano stati formulati capi di
accusa nei confronti dell’avv. Sannino, il che induceveritenere non
palesemente infondato l’esposto, sicché andava escluso il reato di
diffamazione per l’esimente di cui all’art. 598 c.p.. In via
riconvenzionale, ritenuto diffirnatorio l’esposto presentato dall’avv.
Sannino in data 10 dicembre 1999 al predetto Ordine, chiedeva la
condanna del Sannino al risarcimento dei danni in suo favore nella
misura ritenuta equa dal Giudice.
Riunite le due cause, il Tribunale, con sentenza del 20 febbraio 2003,
rigettava le domande degli attori, dichiarava che non doveva
provvedersi su quella riconvenzionale e condannava gli attori in solido
al pagamento, in favore dell’avv. Scotti Galletta, delle spese di lite.
Avverso tale decisione proponeva appello l’avv. Sannino. Con distinto
atto proponeva impugnazione anche Noviello Massimiliano.
Riuniti i gravami ex art. 335 c.p.c., la Corte di appello di Napoli, con
sentenza del 27 giugno 2007, in parziale riforma della sentenza
impugnata, liquidava le spese del primo grado in complessivi f,
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Sannino di aver posto in essere farneticanti ingiurie nei suoi confronti.

8.000,00, con condanna in solido del Sannino e dei coniugi Noviello
Ambrosino al pagamento di € 7.130,39, a tale titolo, in favore dell’avv.
Scotti Galletta, mentre per al pagamento del residuo, pari a € 869,61,
condannava, in solido tra loro, i soli coniugi Noviello Ambrosino, il

confermava nel resto; dichiarava altresì compensate tra le parti in causa
le spese del secondo grado di giudizio.
Avverso la sentenza della Corte di merito l’avv. Sannino e Noviello
Massimiliano hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sette
motivi.
L’avv. Scotti Galletta ha resistito con controricorso contenente ricorso
incidentale basato su un unico motivo e ha chiesto, altresì, la
cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive, nonché la
condanna dei ricorrenti al ris’arcimento del danno di cui al secondo
comma dell’art. 89 c.p.c..
L’avv. Scotti Galletta ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Deve anzitutto procedersi alla riunione dei ricorsi ai sensi dell’art.
335 c.p.c., in quanto proposti contro la stessa sentenza.
2. Seguendo l’ordine logico risulta preliminare l’esame del ricorso
incidentale proposto dall’avv. Scotti Galletta.
3. Con l’unico motivo il controricorrente ricorrente incidentale
lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 89, secondo comma,
82, 83, 84 c.p.c., 2043, 2055, 1387, 1704 c.c. nonché insufficiente
ovvero contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo per
il giudizio (art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c.).
L’avv. Scotti Galletta censura la sentenza impugnata nella parte in cui,
nel rigettare l’eccezione – da lui sollevata – di carenza di legittimazione
passiva in relazione alla domanda risarcitoria proposta nei suoi
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tutto oltre accessori come indicato nella sentenza impugnata che

confronti in ordine al già richiamato rapporto informativo presentato
al Tribunale fallimentare, la Corte di merito ha affermato che, se é pur
vero che ogni produzione o scritto difensivo presentato all’A.G. viene
fatta dal legale in rappresentanza e difesa del suo cliente, non é tuttavia

non possa rispondere anche lo stesso difensore, che, in tal caso, si
sarebbe reso corresponsabile di tale presunta lesione nei confronti
delle controparti e conseguentemente coautore dell’illecito, il che lo
renderebbe, ai sensi dell’art. 2055 c.c., solidalmente responsabile, con il
cliente per conto e nel nome del quale agiva, del medesimo
comportamento lesivo dell’altrui onorabilità e riservatezza.
Ad avviso dell’avv. Scotti Galletta se fosse valido il principio affermato
dalla Corte di merito, tutti i difensori che esibiscono in giudizio atti o
documenti “in violazione della reputazione e riservatezza” della
controparte dovrebbero essere coinvolti

nomine proprio

ex art. 2055 c.c.;

il predetto legale evidenzia che l’art. 94 c.p.c. prevede la responsabilità
dei rappresentanti processuali per le spese solo in casi eccezionali e che
la Corte di appello avrebbe erroneamente interpretato il secondo
comma dell’art. 89 c.p.c. puré -richiamato, limitandosi tale norma, ad
avviso del predetto avvocato, nel primo comma a far divieto alle parti
e ai loro difensori di usare espressioni sconvenienti ed offensive
mentre la responsabilità di cui al secondo comma della medesima
norma e quella eventualmente di cui all’art. 2043 c.c. seguirebbero i
principi generali e, quindi, farebbero capo al rappresentato e non al
rappresentante.
Sostiene l’avv. Scotti Galletta che la Corte di appello, nel ritenere
infondata nel merito la domanda, ha messo in evidenza che il rapporto
di cui si discute in causa “non può mai dar luogo né a diffamazione, né
a violazione del diritto alla riservatezza dell’attore Massimiliano
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vero che di tanto, se in violazione dell’altrui reputazione o riservatezza,

Noviello, per l’assorbente considerazione che queste informazioni …
erano strettamente collegate con l’attività difensiva svolta in quella sede
dal difensore del Lubrano Lavadera”. E la Corte di appello avrebbe
con evidente contraddizione ricordato che “In tal caso il diritto di

Costituzione), prevale sull’eventuale lesione dell’onorabilità della
reputazione e della riservatezza del soggetto cui tali informazioni
riservate si riferivano e sussiste l’esimente dell’art. 598 del c.p., anche
se detta lesione sia contenuta in scritti, destinati a rimanere riservati e
raccolti da fonti anonime”. Ad avviso del già indicato professionista la
Corte di appello si sarebbe dovuta fermare alla prima considerazione
riportata e dedurne “il difetto di legittimazione passiva del difensore,
che era restato nel binario della rappresentanza processuale”.
Inoltre, il predetto difensore ritiene che un’ulteriore contraddizione
nella motivazione della sentenza impugnata vada ravvisata nella parte
in cui si afferma che la tesi della società di fatto era stata svolta
dall’avv. Scotti Galletta per conto del suo cliente.
Conclusivamente lamenta il controricorrente ricorrente incidentale che
la riportata motivazione della sentenza sarebbe inconciliabile con
l’affermazione della ipotetica corresponsabilità ex art. 2055 c.c..
3.1. Il motivo è infondato sotto entrambi i profili censurati.
3.2. Per quanto attiene alla lamentata violazione di legge va, infatti.
evidenziato che correttamente la Corte di appello ha rigettato
l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’avv. Scotti
Galletta. Ed invero va osservato che, come questa Corte ha avuto
modo di precisare numerose volte, la legitimatio ad causam, attiva e
passiva, consiste nella titolarità del potere e del dovere di promuovere
o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa,
mediante la deduzione di fatti in astratto idonei a fondare il diritto
7

difesa (anche costituzionalmente garantito, ex art. 24 della

azionato, secondo la prospettazione dell’attore, prescindendo
dall’effettiva titolarità del rapporto dedotto in causa, con conseguente
dovere del giudice di verificarne l’esistenza in ogni stato e grado del
procedimento. Da essa va tenuta distinta la titolarità della situazione
giuridica sostanziale, attiva e passiva, per la quale non è consentito

rapporto controverso si configura come una questione che attiene al
merito della lite e rientra nel potere dispositivo e nell’onere deduttivo e
probatorio della parte interessata. Fondandosi, quindi, la legittimazione
ad agire o a contraddire, quale condizione all’azione, sulla mera
allegazione fatta in domanda, una concreta ed autonoma questione
intorno ad essa si delinea solo, quando l’attore faccia valere un diritto
altrui, prospettandolo come proprio, ovvero pretenda di ottenere una
pronunzia contro il convenuto pur deducendone la relativa estraneità
al rapporto sostanziale controverso (v., fra le tante, Cass. 30 maggio
2005, n. 14468).
Orbene, in base alla prospettazione attorea e secondo la norma che
regola il rapporto dedotto in giudizio (Cass. 7 maggio 2005, n. 6936),
che lo stesso controricorrente s ricorrente incidentale individua pure
nell’art. 2043 c.c., ben può essere esercitata nei confronti del difensore
l’azione di risarcimento dei danni per violazione dell’altrui reputazione.
Peraltro nel caso di specie si è sicuramente al di fuori dell’ipotesi di cui
all’art. 89 c.p.c., in cui il destinatario della domanda di risarcimento del
danno è sempre e solo la parte la quale, se condannata, può
eventualmente rivalersi nei confronti del difensore, cui siano
addebitabili le espressioni offerisive o le condotte diffamatorie, ove ne
ricorrano le condizioni; ne consegue che non é conferente il richiamo
operato dal controricorrente ricorrente incidentale alla sentenza di
questa Corte n. 23333 del 9 settembre 2008, relativa ad una domanda
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alcun esame d’ufficio, poiché la contestazione della titolarità del

proposta ex art. 89, secondo comma, c.p.c. nei confronti del difensore
della controparte, del quale peraltro era stata chiesta ed ottenuta la
chiamata in causa.
Nei confronti del difensore che si assume tenuto al risarcimento del
danno arrecato dalla sua offesa occorre agire, come avvenuto nel caso

secondo le norme ordinarie.
Questa Corte ha infatti affermato che, in tema di risarcimento del
danno per le espressioni offensive contenute negli atti del processo,
l’art. 89 c.p.c. civ. devolve al giudice del processo, cui gli atti si
riferiscono, il giudizio circa l’applicazione in concreto delle sanzioni
previste; tuttavia – poiché la responsabilità processuale ha natura
analoga a quella aquiliana, e, quindi, l’antigiuridicità dei comportamenti
non si esaurisce nell’ambito del processo – quando il procedimento, per
qualsiasi motivo, non si concluda con sentenza (come nel caso di
estinzione del processo) ovvero quando i danni si manifestino in uno
stadio processuale in cui non sia più possibile farli valere
tempestivamente davanti al giudice di merito (come nel caso in cui le
frasi offensive siano contenute nella comparsa conclusionale del
giudizio di primo grado) ovvero quando la domanda sia avanzata nei
confronti non della parte ma del suo difensore, l’azione di danni per
responsabilità processuale può essere proposta davanti al giudice
competente secondo le norme ordinarie (Cass. 2001, n. 10916; Cass.
18 luglio 2003, n. 11253; Cass. 9 luglio 2009, n. 16121).
E nel caso di specie non vi é dubbio che la domanda di risarcimento
dei danni è stata proposta nei confronti non della parte ma del suo
difensore quale autore (o coautore) dell’illecito.
3.3. Neppure colgono nel segno le censure relative a vizi motivazionali
della sentenza impugnata – che si sostanziano, al di là di quanto

all’esame, con un’azione per responsabilità aquiliana davanti al giudice

indicato nella rubrica del motivo, nella sola deduzione della
contraddittorietà della motivazione, come emerge dall’illustrazione del.
motivo e dalla formulazione del cd. quesito di fatto -, non ravvisandosi
alcuna contraddizione tra l’affermata sussistenza della legittimazione
passiva del difensore e la pur accertata e ritenuta dal Giudice di merito

circostanza che il rapporto informativo di cui si discute in causa era
stato utilizzato dall’avv. Scotti Galletta a fini esclusivamente difensivi.
A quanto appena evidenziato deve aggiungersi che il vizio di
contraddittorietà della motivazione ricorre solo in presenza di.
argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la

ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste
motivazione contraddittoria allorché – come nel caso all’esame -, dalla
lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che è
stata la volontà del giudice (Cass., sez. un., 22 dicembre 2010, n.
25984).
4. Va rigettata pure la richiesta formulata dall’avv. Scotti Galletta di
cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute nel.
ricorso per cassazione nonché di condanna al risarcimento dei danni di
cui all’art. 89, secondo comma, c.p.c., perché non sussistono i
presupposti richiesti dalla norma indicata.
Al riguardo si osserva che, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
da cui non vi é motivo di discostarsi, la sussistenza dei presupposti per
la cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive contenute
negli scritti difensivi, prevista dall’art. 89 c.p.c. e che può essere
disposta anche nel giudizio di legittimità, rientrando tra i poteri
officiosi del giudice, va esclusa allorquando le espressioni in parola non
siano dettate da un passionale ed incomposto intento dispregiativo e
non rivelino perciò un intento offensivo nei confronti della
controparte (o dell’ufficio), ma; conservando pur sempre un rapporto,
lo

4 /

anche indiretto, con la materia controversa, senza eccedere dalle
esigenze difensive, siano preordinate a dimostrare, attraverso una
valutazione negativa del comportamento dell’avversario, la scarsa
attendibilità delle sue affermazioni (Cass. 20 gennaio 2004, n. 805;

Nella specie le espressioni ritenute offensive, lette nel contesto della
vicenda, sicuramente non esulano dalla materia del contendere e dalle
esigenze difensive.
5. Il ricorso incidentale va, pertanto, rigettato.
6. Con il primo motivo del ricorso principale i ricorrenti lamentano
violazione e falsa applicazione dell’art. 598 c.p.; in particolare i predetti
censurano la sentenza della Corte di merito per aver la stessa applicato
l’esimente di cui all’art. 598 c.p., laddove, ad avviso dell’avv. Sannino e
del Noviello, tale esimente non sarebbe applicabile qualora le
espressioni offensive siano contenute in un esposto inviato al
Consiglio dell’Ordine Forense,”rion essendo l’autore dell’esposto parte
nel successivo giudizio disciplinare e attenendo l’esimente in parola agli
scritti difensivi in senso stretto, con esclusione di esposti e denunce,
pur se redatti dai soggetti interessati.
7. Con il secondo motivo, lamentando violazione e falsa applicazione
dell’art. 51 c.p., i ricorrenti sostengono che la Corte di merito avrebbe
applicato l’esimente di cui all’art. 598 c.p. sulla base di argomenti e
ragionamenti che atterrebbero ‘all’esercizio del diritto (art. 51 c.p.) di
presentare esposti o denunzie all’autorità giudiziaria, laddove le
predette norme perseguirebbero scopi diversi. Secondo l’avv. Sannino
e il Noviello la norma dell’art. 51 c.p. sarebbe stata comunque
falsamente applicata al caso di specie, occorrendo che la parte che
invochi tale esimente “ne provi il fondamento, anche sotto il profilo
putativo, e che vi sia correlazione tra quanto narrato e quanto accaduto
11

Cass. 6 luglio 2004, n. 12309; Cass. 5 maggio 2009, n. 10288).

nella realtà, con l’assoluto rispetto del limite interno della verità
oggettiva di quanto riferito, nonché il rigoroso obbligo di
rappresentare gli avvenimenti quali sono, risultando inaccettabili i
vaioli sostituivi di esso, quale quello della verosimiglianza”.

per vizi motivazionali ed indicano al riguardo come fatto controverso e
decisivo l’assenza della qualità di parte del procedimento disciplinare in
capo all’avv. Scotti Galletta (con riferimento all’art. 598 c.p.) e la
verosimiglianza delle accuse, anche sotto il profilo putativo (con
riferimento all’art. 51 c.p.). ASsiimono sostanzialmente i ricorrenti (v.
quesito di fatto a p. 9 del ricorso) che la motivazione sarebbe inidonea.
a giustificare la decisione, stante l’insufficiente motivazione circa la
verosimiglianza dei fatti esposti dalla controparte al Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati e che la medesima motivazione si baserebbe
su argomenti e ragioni contrastanti tra loro, in quanto l’art. 598 c.p.,
che presuppone l’esercizio del diritto di difesa, non sarebbe applicabile
all’esercizio del diverso diritto’ di presentare esposti al Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati e non sarebbe applicabile nei confronti di
chi non sia parte del procedimento disciplinare.
9. I tre motivi che precedono, che per connessione possono essere
esaminati congiuntamente, sono tutti infondati.
9.1. Ed invero il Giudice del merito, pur se ha richiamato l’art. 598 c.p.
(talvolta indicato come art. 589 c.p., v. sentenza p. 21), ha pure però
precisato che l’esimente prevista da tale articolo costituisce solo una
delle applicazioni della norma più generale di cui all’art. 51 c.p. e
quest’ultimo articolo sostanzialmente ha applicato, attenendosi così
correttamente al principio già affermato da questa Corte con la
sentenza del 18 ottobre 2005, n. 20141, espressamente richiamata nella
sentenza impugnata, secondo cui in tema di responsabilità per
12

8. Con il quarto motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata

danni derivanti dalla lesione del diritto personale all’onore, nel
caso in cui sia presentato un , esposto da un avvocato contro un
collega al Consiglio locale dell’Ordine forense, per escludere
l’antigiuridicità del comportamento è necessario e sufficiente
che le offese contenute negli scritti difensivi siano in rapporto di

presentare esposti (innanzi a detto Consiglio) da parte del
soggetto che le ha scritte.
Come precisato nella sentenzà:tiehiamata, “é nell’ordine naturale delle
cose che il contenuto di un ricorso all’Ordine presentato da un
avvocato contro un collega prospetti comportamenti di quest’ultimo
idonei ad incidere in qualche Modo negativamente sulla reputazione
del medesimo (è fin troppo ovvio che se il primo professionista avesse
ritenuto del tutto corretto il contegno del secondo non avrebbe
presentato l’esposto)”.
Va quindi considerato che l’esposto inviato al Consiglio dell’Ordine
(nella specie forense) tende inevitabilmente ad individuare degli scenari.
deontologici.
Opinando diversamente si verrebbe a negare la stessa possibilità di
esercitare il diritto di presentare esposti o comunque di adire l’organo
disciplinare per veder accertato un illecito disciplinare, il che é tutelato
dall’art. 51 c.p..
Nella già richiamata sentenza è stato infatti precisato che: “Quindi, a
meno di non negare il diritto di ogni avvocato di presentare un siffatto
esposto contro un collega (tesi la cui insostenibilità è evidente) occorre
necessariamente pervenire alla conclusione che per l’esistenza di un
comportamento idoneo ad integrare un atto illecito ex art 2043 c.c. è
necessario qualcosa di più oltre alla mera prospettazione al Consiglio
del comportamento (del collega) criticato (con conseguente
13

giuridica necessità o utilità con l’esercizio del diritto di

invocazione dell’esercizio del potere disciplinare); è necessario cioè che
per il particolare modo con cui viene prospettata la tesi accusatoria (in
particolare per la scelta delle espressioni usate) si travalichi il legittimo
esercizio del diritto in questione; e cioè che si vada al di là di ciò che è

esporre il proprio assunto critico innanzi al Consiglio dell’Ordine”.
Alla luce di quanto appena riportato risulta evidente l’infondatezza
della censura proposta con il secondo motivo, non risultando provato
il travalicamento del legittimo esercizio del diritto in questione ed
evidenziandosi che la valutazione dell’esposto in parola e
l’apprezzamento delle espressioni in esso utilizzate costituiscono
accertamenti in fatto, riservati al – giudice del merito ed insindacabili in
sede di legittimità se sorretti, come nel caso all’esame, da argomentata
e congrua motivazione, esente da vizi logici e giuridici.
In base alle considerazioni che precedono e a quanto già argomentato
nel § 3.3. circa il vizio di contraddittorietà della motivazione, vanno
disattese anche le ulteriori censure sollevate con il quarto motivo di
ricorso, avendo il Giudice del merito congruamente e coerentemente
motivato in relazione alle questioni poste in rilievo dai ricorrenti con il
mezzo in parola.
Va, infine, evidenziato che é inammissibile il quarto motivo nella parte
in cui (v. ricorso p. 15-16) i ricorrenti lamentano il travisamento del
fatto (neppure richiamato nell’indicazione del fatto controverso e del
cd. quesito di fatto, v. ricorso p. 9), non potendo tale travisamento
costituire motivo di ricorso per cassazione, poiché, risolvendosi in
un’inesatta percezione da parte del Giudice di circostanze presupposte
come sicura base del suo ragionamento, in contrasto con quanto
risulta gli atti del processo, costituisce un errore denunciabile con il
mezzo della revocazione ex art. 395, n. 4, c.p.c. (Cass. 30 gennaio,
14

strumentale rispetto all’esercizio del diritto (di per sé incontestabile) di

2003, n. 1512; Cass. 27 gennaio 2003, n. 1202; Cass. 20 giugno 2008, n.
16809).
10. Con il terzo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione
dell’art. 599 c.p..
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui si

lettera del 10 dicembre 1999 e dirette al Consiglio dell’Ordine, che le
aveva richieste, e all’avv. Scotti Galletta costituivano una provocazione
tale da giustificare, ai sensi dell’art. 599 c.p., le ulteriori espressioni
offensive contenute nella lettera del 13 dicembre 1999 inviata
dall’attuale ricorrente controricorrente incidentale al Consiglio
dell’Ordine.
11. Con il quinto motivo, lamentando omessa insufficiente e
contraddittoria motivazione, i ricorrenti assumono che la Corte di
merito avrebbe posto a base della decisione argomenti contrastanti
circa la sussistenza della provocazione che sarebbe costituita dal
contenuto della lettera del 1° dicembre 1999, avendo in particolare il
predetto Giudice ravvisato in quello scritto il carattere della
provocazione, pur avendo ritenuto che fosse stato “svolto”
nell’esercizio del diritto di difesa.
12. I motivi, che per connessione possono essere esaminati
congiuntamente,

sono

entrambi

inammissibili,

tendendo

sostanzialmente a rimettere in discussione accertamenti in fatto,
riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se
sorretti da argomentata motivazione, che nella specie sussiste. Peraltro
va evidenziato, in relazione al quinto motivo, che il controllo di logicità
del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360, comma primo, n. 5, c.p.c.,
non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia
dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata
15

afferma che le deduzioni difensive dell’avv. Sannino contenute nella

soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione
non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una sua
nuova formulazione, contrariamente alla funzione

assegna ta

dall’ordinamento al giudice di legittimità (Cass., ord., 28 marzo 2012, n.

13. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano omessa motivazione in
relazione alla circostanza della diffusione, da parte dell’avv. Scotti
Galletta di dati personali che avrebbe violato il diritto alla riservatezza
del Noviello e di tutta la sua famiglia.
13.1. Anche il motivo all’esame é inammissibile.
A prescindere dalla circostanza che gli stessi ricorrenti sono ben
consapevoli che sul punto la Corte di merito abbia motivato sicché
non sussiste la lamentata omissione, va evidenziato che anche con il
mezzo ora all’esame i ricorrenti tendono sostanzialmente

ad una

rivalutazione del merito, sicché valgono al riguardo le considerazioni
già espresse nel secondo periodo del

5 12..

14. Con il settimo motivo l’avv. Sannino e Nov -iello Massimo
denunciano violazione e falsa applicazione degli arti. 90 e 91 c.p.e. e
nullità della sentenza (art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c.). In
particolare i ricorrenti lamentano che la Corte di appello avrebbe
condannato il predetto legale al pagamento delle spese processuali in
solido con l’Ambrosino e il Noviello anche con riferimento ad una
delle due cause riunite in cui lo stesso non era parte ma solo difensore
degli attori e sostengono che la violazione delle predette norme
comporterebbe la nullità del procedimento e delle sentenza.
14.1. Il motivo, alla cui proposizione é legittimato il solo avvocato
Sannino, riferendosi alla condanna in solido di quest’ultimo alle spese
di primo grado, è infondato alla luce della chiara motivazione del
Giudice del merito che, a p. 42 della sentenza impugnata, ha precisato
16

5024).

che “mentre Massimiliano Noviello, che figura come parte in entrambi
i processi sia prima della riunione, sia dopo la stessa, é giusto che sia
stato condannato, in solido con , la moglie Ambrosino, anche lei parte
d’entrambi i predetti procedimenti, per le intere somme di cui alla
gravata sentenza, non così si può dire solo per l’avv. Sannino,

e tenuto, quindi, in solido con le altre parti predette (per la comunanza
delle questioni quivi trattate), solo per le spese, prima della riunione, di
quel secondo processo in L 1.775.000 per diritti ed in 250.000 per le
spese vive e per quelle successive alla stessa riunione, in 1.700.00 per
diritti + L 400.000 per le spese vive. Soltanto per costui, quindi, i diritti
ammontano a 3.475.000, corrispondenti ad Euro 1.794,69 e le spese
vive a L 650.000, corrispondenti ad Euro 335,70, mentre gli onorari
restano anche per costui confermati in Euro 5.000,00, somma che
sarebbe stata congrua, pur se tali processi non fossero stati mai riuniti,
perfino per una sola della predette vertenze. In conseguenza, solo in
molto parziale riforma della gravata sentenza, per le spese del giudizio
di prime cure, detto legale, può rispondere in solido con i coniugi
predetti, per il complessivo importo d’Euro 7.130,39, mentre per il
residuo, in Euro 869,61 (ossia Euro 8.000,00 in tutto, liquidati dal
primo giudice – Euro 7.130,39 predetti = Euro 869,61) potranno
risponderne, in solido, per la comunanza delle questioni trattate i soli
coniugi predetti”.
A tanto va aggiunto che le spese del secondo grado sono state dalla
Corte di appello integralmente compensate tra le parti ancora in causa
in quel grado e che il dispositivo della sentenza impugnata rispecchia
fedelmente la riportata motivazione.
15. Il ricorso principale deve essere, pertanto, rigettato.

17

coinvolto personalmente solo nella seconda azione risarcitoria predetta

26. Tenuto conto della reciproca soccombenza, le spese del giudizio di
cassazione vanno integralmente compensate tra le parti.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta sia il ricorso principale che quello

giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Su .r ma di Cassazione, il 29 ma

incidentale; compensa per intero tra le parti le spese del presente

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