Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20890 del 17/10/2016


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Cassazione civile sez. III, 17/10/2016, (ud. 06/04/2016, dep. 17/10/2016), n.20890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28288-2013 proposto da:

L.D., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE

DON GIOVANNI MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato ENNIO

LUPONIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO

PORRATI giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MEVA DI M.M. & C SNC, in persona del suo legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANNA DONDI giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

P.D., LU.GI., ALLIANZ SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1671/2012 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 18/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/04/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato ENNIO LUPONIO;

udito l’Avvocato MARIO ROMANO per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La domanda di condanna al risarcimento danni, proposta da M.M. e MEVA s.n.c. nei confronti di L.D., condomino dello stabile sito in Comune di (OMISSIS) (che aveva chiamato in giudizio anche gli altri condomini P.D. e Lu.Gi., i quali a loro volta avevano chiamato in manleva la società LLOYD Adriatico s.p.a., attuale ALLIANZ s.p.a., assicuratrice della responsabilità civile del condominio), veniva rigettata, con sentenza 14.11.2010, dal Tribunale di Alessandria che, dopo aver ricondotto l’azione di condanna per responsabilità da illecito extracontrattuale, fatta valere in giudizio, nello schema dell’art. 2053 c.c., avendo gli attori lamentato danni a beni mobili ed immobili di loro proprietà, che erano stati colpiti da alcuni lastroni di eternit del tetto condominiale distaccatasi a causa del forte vento spirato nella giornata del 13.12.2001, riteneva raggiunta la prova liberatoria del caso fortuito, in quanto il fenomeno atmosferico si era palesato di carattere eccezionale.

La decisione di “prime cure” veniva riformata, con sentenza 18.10.2012 n. 1671, dalla Corte d’appello di Torino che, sottoponendo a riesame l’intero complesso probatorio (dichiarazioni testimoniali; relazione di servizio e scheda di intervento dei VV.FF.), ha concluso, da un lato, per l’assenza del carattere eccezionale e straordinario dell’evento atmosferico, e dall’altro ha ritenuto “ad abundantiam” provata anche la difettosa manutenzione del tetto condominiale, individuata quale elemento causale del danno procurato al M. ed alla società di persone. In conseguenza il Giudice di appello condannava il L., quale coobbligato solidale ex art. 2055 c.c., al pagamento dell’intero danno subito dal M. alla propria abitazione, e da MEVA s.n.c. al capannone industriale ed al furgone Fiat Fiorino, liquidato in Euro 14.540,00 oltre Iva, in misura corrispondente alle spese di ripristino; accoglieva altresì la domanda di accertamento della ripartizione interna, tra i coobbligati solidali, delle quote di responsabilità, formulata dal L. nei confronti degli altri condomini P. e Lu., dichiarati responsabili limitatamente alla rispettiva quota – pari a 29,52 millesimi – di comproprietà dell’edificio condominiale, nonchè accoglieva la domanda condizionata, formulata da questi ultimi nei confronti di ALLIANZ s.p.a., di adempimento della obbligazione indennitaria fondata sulla polizza assicurativa della reponsabilità civile.

La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione da L.D. con tre motivi relativi a vizi processuali, da vizi di attività di giudizio ed a vizi di motivazione.

Hanno resistito con controricorso M.M. e MEVA s.n.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo è inammissibile.

Il ricorrente deduce cumulativamente il vizio di violazione degli artt. 2053, 2730 e 2733 c.c., l’omesso esame di un fatto decisivo, il vizio di nullità della sentenza “per motivazione insufficiente in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2 “, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, affidando tutte le censure ad un’unica indistinta argomentazione espositiva volta a contestare – sembra doversi comprendere – il risultato dell’attività di giudizio della Corte d’appello.

Osserva il Collegio che, se la cumulativa denuncia, con il medesimo motivo, di vizi attinenti alle ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5) (id est: formulazione di un singolo motivo articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo), non impedisce l’accesso del motivo all’esame di legittimità allorchè esso, comunque, evidenzi distintamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), così da consentire alla Corte di individuare agevolmente ciascuna autonoma critica formulata alla sentenza impugnata in relazione ai diversi vizi di legittimità contestati in rubrica (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 9793 del 23/04/2013; id. Sez. U, Sentenza n. 9100 del 06/05/2015), diversamente, il motivo “formalmente unico” ma articolato in plurime censure di legittimità, si palesa inammissibile tutte le volte in cui l’esposizione contestuale dei diversi argomenti a sostegno di entrambe le censure non consenta di discernere le ragioni poste a fondamento, rispettivamente di ciascuna di esse: in tal caso infatti le questioni formulate indistintamente nella esposizione del motivo e concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed in genere il merito della causa, costringerebbero il Giudice di legittimità ad operare una indebita scelta tra le singole censure teoricamente proponibili e riconducibili ai diversi mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., non potendo sostituirsi la Corte al difensore per dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013), trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla parte interessata, come emerge dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003 id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 del 19/10/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012).

Tanto è sufficiente a precludere l’esame del motivo da parte della Corte, essendo qui sufficiente aggiungere che la intera esposizione è basata su una inammissibile richiesta di rivalutazione “in terzo grado” del materiale probatorio già valutato e sottoposto a selezione e comparazione dal Giudice di merito (la circostanza che il M. abbia riferito nel corso dell’interrogatorio formale deferitogli che le lastre di eterna dell’immobile condominiale erano cadute per il “forte vento” che spirava, non assume alcun carattere confessorio dirimente, atteso che il fatto ammesso – forte vento -, non qualifica ex se l’evento in termini di “assoluta eccezionalità ed imprevedibilità”: la ammissione della presenza di un “forte” vento non è, infatti, assimilabile semanticamente e non denota gli elementi circostanziali necessari al riconoscimento di un “evento atmosferico dalle caratteristiche eccezionali”, in relazione al quale soltanto può ritenersi raggiunta la prova del caso fortuito idonea a fornire la prova liberatoria richiesta dall’art. 2053 c.c.; senza tenere conto del rilievo per cui rimane esclusa dall’ambito della efficacia probatoria ex art. 2730 c.c. qualsiasi valutazione od opinione o giudizio tecnico espresso dal confitente, qual è quello vertente sul nesso di causalità materiale e giuridica).

Con il secondo motivo vengono dedotte le medesime censure cumulativamente formulate in rubrica.

Il motivo va dichiarato inammissibile per le stesse considerazioni precedentemente svolte.

L’ordinanza del Sindaco del Comune di Bassignana n. 127/2001, del quale il ricorrente lamenta la omessa considerazione da parte del Giudice di appello, non costituisce il “fatto decisivo” richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che, ove valutato, avrebbe determinato con certezza un diverso esito del giudizio favorevole al ricorrente: dal contenuto della ordinanza, riportato in ricorso, si evince soltanto che il Sindaco si è limitato a prendere atto della comunicazione dei VV.FF. che segnalava il distacco di parecchie lastre di eternit dalla palazzina in (OMISSIS) in conseguenza di “forte” vento. Quanto al rapporto dei VV.FF. relativo all’intervento eseguito in data 13.12.2001 (in cui si afferma che la causa del distacco è da attribuirsi a “forte” vento), il documento -diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente – è stato esplicitamente valutato dal Giudice di appello che, tuttavia, non lo ha ritenuto idoneo a comprovare la eccezionale intensità del fenomeno atmosferico, avuto riguardo anche alle altre risultanze istruttorie.

La censura, come formulata, è peraltro inidonea ad inficiare la sentenza impugnata che è fondata su due distinte ed autonome “rationes decidendi”: oltre all’affermazione della responsabilità oggettiva, superabile solo con la prova del caso fortuito, nella specie non fornita dal condomino, la Corte territoriale ha, infatti, affermato la responsabilità dei condomini anche per difettosa manutenzione del tetto condominiale ex art. 2043 c.c. (“Dalle deposizioni ricordate risulta che il tetto di (OMISSIS) era in cattive condizioni per la copertura in eterna già prima del 13.12.2001 e da ciò si ricava una semplice spiegazione del perchè parecchie lastre siano volate via”: cfr. sentenza di appello, in motivazione pag. 16), e tale seconda ragione di decisione non viene specificamente impugnata con il ricorso per cassazione.

Ne segue che il motivo non può che essere dichiarato inammissibile, atteso che “qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, la omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante la intervenuta definitività delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa” (cfr. Corte cass. SU 20.6.2007 n. 14297; Corte cass. SU 23.12.2009 n. 27210).

Il terzo motivo concerne la prova dal danno, censurando la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1226 e 2697 c.c.; dell’art. 345 c.p.c., nonchè per omesso esame di un fatto decisivo; ed ancora per vizio di nullità della sentenza ex art. 132 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

Il motivo non consente di individuare le ragioni della critica relativa all’ “error in judicando”, sembrando svolgersi interamente sull’esclusivo piano della inadeguatezza motivazionale.

Osserva il Collegio che le insufficienze logiche non sono più deducibili come vizi motivazionali delle sentenze pubblicate dopo l’11.9.2012, per le quali trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito il n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1 (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012), ed ha circoscritto il controllo del vizio di legittimità (fino ad allora esteso anche al processo logico argomentativo fondato sulla valutazione dei fatti allegati assunti come determinanti in esito al giudizio di selezione e prevalenza probatoria, potendo essere censurata la motivazione della sentenza, oltre che per “omessa” considerazione di un fatto controverso e decisivo dimostrato in giudizio, anche per “insufficienza” e per “contraddittorietà” della argomentazione) al requisito “minimo costituzionale” di validità prescritto dall’art. 111 Cost. ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte, per cui tale requisito minimo non risulta soddisfatto soltanto qualora ricorrano quelle stesse ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza, con la conseguenza che, al di fuori delle ipotesi indicate (attinenti alla “esistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale), residua soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione e risulti “decisivo”, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso giustificativo della decisione, adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio e ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte cass. SS.UU. in data 7.4.2014 n. 8053).

Tutto ciò premesso, la critica di assoluta incongruità logica della motivazione della sentenza impugnata non trova riscontro nella specie, avendo chiaramente inteso il Giudice di appello confrontare gli accertamenti svolti dal CTU in ordine alla individuazione e quantificazione del valore dei danni, con le sole fotografie ritualmente prodotte in giudizio, e dunque prescindendo da quegli altri danni, allegati dalle parti ma che, in tale documentazione, non trovavano riscontro, essendo invece riferibili a riprese filmate non ritualmente acquisite al giudizio e ritenute quindi inammissibili. Sul punto il ricorrente non ha fornito alcuna allegazione, non avendo peraltro contestato la liquidazione del danno operata dalla Corte territoriale in base alla situazione dei luoghi rappresentata nella documentazione fotografica ritualmente prodotta dai danneggiati.

Quanto alla valenza indiziaria del preventivo di spesa per la riparazione del furgone FIAT di proprietà di MEVA s.n.c., il Giudice di appello ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto enunciati da questa Corte secondo cui un preventivo di spesa può essere utilmente valutato, ai fini della prova della tipologia dei danni materiali e del “quantum” delle voci di costo delle riparazioni, ove confermato dalle dichiarazione testimoniale del suo autore nelle singole voci relative alle riparazioni dei danni al veicolo in esso indicate (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 591 de! 19/01/1995; id. Sez. 3, Sentenza n. 11765 dei 15/05/2013): nella specie la sentenza va esente dai vizi di legittimità denunciati avendo la Corte d’appello, conformemente al principio di diritto enunciato, ritenuto provati i danni subiti dal furgone della società e riportati nel preventivo, in base alle dichiarazioni rese dai testi Z. e Po..

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte soccombente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 7.500,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2016

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