Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20890 del 05/08/2019

Cassazione civile sez. I, 05/08/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 05/08/2019), n.20890

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29403/2014 proposto da:

C.R., B.M., elettivamente domiciliati in Roma, Via

della Panetteria n. 15, presso lo studio dell’avvocato Marracino

Alberico, rappresentati e difesi da se medesimi;

– ricorrenti –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore avv.

S.A., elettivamente domiciliato in Roma, Circonvallazione Clodia n.

29, presso lo studio dell’avvocato Piccini Barbara, rappresentato e

difeso dall’avvocato Mellarini Bruno, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLZANO, del 31/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/04/2019 dal cons. Dott. FEDERICO GUIDO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Gli avvocati C.R. e B.M. proponevano domanda di insinuazione al passivo del fallimento (OMISSIS) srl, per l’importo di 95.414,29 Euro, in privilegio, per prestazioni professionali svolte in sede giudiziale, quali procuratori e difensori della debitrice, producendo ampia documentazione, nonchè dettagliata parcella redatta in conformità alle vigenti tariffe professionali.

Il giudice delegato ammetteva il credito in chirografo, trattandosi di prestazioni svolte da uno studio professionale associato, per il minor importo di 53.659,38 Euro e di 16.430,52 Euro, ritenendo non provate talune prestazioni indicate nell’insinuazione.

Con ricorso L. Fall., ex artt. 98 e 99 gli avvocati C.R. e B.M. proponevano opposizione avverso il decreto suddetto, lamentando il mancato riconoscimento del privilegio e contestando l’esclusione di determinate voci di compensi.

La curatela del fallimento, costituitasi, resisteva, deducendo che la domanda di ammissione al passivo, pur formulata da parte dei due professionisti che costituiscono lo studio legale associato C.- B., era stata proposta in via cumulativa e non distingueva i singoli crediti di competenza dell’uno e dell’altro professionista: da ciò il rigetto del privilegio per prestazione professionale.

Ribadiva, quanto ai crediti non ammessi, le già riscontrate carenze in ordine alla determinazione del quantum ed alla prova del credito.

Il Tribunale di Bolzano, con decreto n. 3955/2014, escludeva la sussistenza del privilegio ex art. 2751 bis c.c., sul presupposto che le prestazioni fossero riferibili allo studio associato e non ai singoli professionisti.

Ammetteva, invece, in via chirografaria l’ulteriore credito di 2.116,80 Euro (relativo alla causa “(OMISSIS) srl/Green Village) e rigettava tutte le altre domande.

Avverso detto decreto propongono ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, gli avv.ti C.R. e B.M..

La Curatela del fallimento (OMISSIS) srl resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione di norme sul procedimento, dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale ritenuto che i ricorrenti non avessero assolto all’onere di allegazione in ordine alla specifica riferibilità, in capo a ciascuno dei due avvocati, dei corrispettivi di cui veniva richiesta l’ammissione al passivo.

In particolare, i ricorrenti deducono che, trattandosi di crediti maturati in forza di attività giudiziale, dalla documentazione allegata all’istanza di insinuazione al passivo risultava la sottoscrizione di procura speciale al singolo professionista o ad entrambi, ma non allo studio associato, con la conseguenza che i relativi crediti avrebbero dovuto godere del privilegio riconosciuto al professionista al quale era stato personalmente conferito l’incarico.

La censura non concerne dunque la legittimazione attiva dello studio associato, quale autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici, ritenuta dal tribunale di Bolzano, ma lamenta che il giudice di merito abbia escluso l’attribuzione del privilegio in virtù della sola appartenenza degli avvocati ad uno studio associato, senza verificare, sulla base dell’esame della documentazione allegata all’istanza, se il conferimento dei singoli incarichi fosse riferibile allo studio ovvero al singolo professionista.

Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la ratio della pronuncia.

Il tribunale, premessa la non contestata legittimazione dello studio associato, ha infatti rilevato che la domanda di insinuazione al passivo era stata proposta dai due professionisti congiuntamente, per la somma complessiva di Euro 94.414,29, senza indicazione del riparto delle rispettive competenze per l’attività svolta e senza distinzione del rispettivo credito.

In assenza di qualsivoglia indicazione, nella insinuazione originaria, delle prestazioni svolte personalmente dai due richiedenti, il tribunale ha dunque correttamente ritenuto che l’insinuazione andasse imputata allo studio associato dei due professionisti, con conseguente esclusione del privilegio.

Il tribunale, in particolare, si è fatto carico dell’eccezione, sostanzialmente riproposta con il motivo in esame dagli odierni ricorrenti, secondo cui sulla base dei documenti allegati era ben possibile distinguere, in forza della sottoscrizione delle rispettive procure speciali, quando il conferimento dell’incarico riguardava il singolo professionista o entrambi: il provvedimento impugnato ha dunque messo in rilievo che la proposizione della domanda per ottenere l’ammissione fallimentare da parte di uno studio associato lascia presumere l’esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale e dunque l’inesistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis c.c., n. 2), salva l’allegazione e prova che il credito si riferisca alla prestazione svolta personalmente dal professionista in via esclusiva o prevalente e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall’associazione (Cass. 6285/2016; 9927/2018).

Il decreto impugnato ha al riguardo evidenziato che gli avvocati C. e B. sia nell’insinuazione al passivo che nel ricorso in opposizione avevano omesso l’allegazione che determinate prestazioni professionali erano state svolte personalmente da loro stessi e di indicare gli elementi necessari a distinguere le relative pretese; essi avevano dedotto solo nelle note autorizzate che la prova per superare la presunzione poteva trarsi dalle dall’esame delle singole procure ad litem prodotte.

Il tribunale ha pertanto affermato che in carenza di rituale allegazione specifica non può attribuirsi al giudice il compito di individuare se tra i documenti depositati da una parte ve ne possa essere qualcuno idoneo a supportarne la pretesa.

Tale statuizione è conforme a diritto.

E’ principio consolidato di questa Corte, quello secondo cui la parte che produca in giudizio dei documenti a sostegno d’una eccezione in senso stretto ha altresì l’onere di precisare a quale scopo sia avvenuta quella produzione documentale, la quale, in difetto di tale allegazione, non potrà essere invocata nei gradi successivi del giudizio (Cass.9154/2013).

La mera produzione di un documento non comporta automaticamente il dovere del giudice di esaminarlo, non potendo ritenersi che, in difetto di specifica allegazione della parte, il giudice abbia l’onere o la facoltà di desumere gli elementi costitutivi della domanda dall’esame e ricostruzione dei documenti prodotti dalla parte.

Alla luce del valore essenziale del contraddittorio, infatti, il giudice ha il potere-dovere di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese, derivandone altrimenti per la controparte l’impossibilità di controdedurre e risultando per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione(Cass.23976/2004).

Con il secondo motivo di ricorso si, deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per contraddittorietà della sentenza, per non aver il Tribunale, sulla base delle procure alle liti prodotte e degli altri documenti dimessi nel giudizio, ritenuto di poter provvedere alla quantificazione del credito fatto valere da ciascuno dei singoli professionisti.

Il motivo è inammissibile.

In seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale” o di “motivazione apparente”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia. (Cass.23940/2017).

Anche sotto altro profilo il motivo è inammissibile, perchè neppure esso coglie la ratio della pronuncia fondata sulla mancata distinzione, nella domanda di insinuazione, delle prestazioni professionali dei due componenti lo studio associato e sul fatto che gli odierni ricorrenti non abbiano superato la presunzione di esclusione della personalità del rapporto d’opera professionale e, dunque, l’inesistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio di cui all’art. 2751 bis c.c., n. 2, salva l’allegazione e la prova della cessione del credito della prestazione professionale svolta personalmente dal singolo associato (Cass. 11052/2012).

Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2232 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale escluso il carattere personale del rapporto, in ragione delle procure alle liti rilasciate in forma congiunta, omettendo di considerare che la nomina di una pluralità di difensori nel processo civile è certamente consentita.

Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per non aver il Tribunale rilevato che anche in caso di associazione professionale l’incarico è sempre conferito all’avvocato in via personale.

Neppure i motivi che precedono colgono la ratio decidendi del provvedimento impugnato.

Il Tribunale non ha escluso il privilegio ex art. 2751 bis c.c. sulla base della procura congiunta alle liti o della semplice partecipazione dei professionisti all’associazione professionale, circostanza che di per sè non esclude la possibilità che il rapporto tra professionista e cliente sia di natura personale, ma è giunta a tale conclusione in conseguenza della mancata specifica indicazione delle attività eseguite da ciascun professionista oltre che della presentazione di un’istanza di ammissione al passivo in modo congiunto, per un credito professionale unitariamente considerato.

Da ciò, come già evidenziato, la conseguenza che ad avviso del tribunale non era stata superata la presunzione di imputabilità della prestazione allo studio piuttosto che al singolo associato.

Il privilegio generale sui beni mobili del debitore, previsto dall’art. 2751-bis c.c. per le retribuzioni dei professionisti, trova applicazione anche nel caso in cui il creditore sia inserito in un’associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, a condizione però che il rapporto di prestazione d’opera si instauri tra il singolo professionista ed il cliente, soltanto in tal caso potendosi ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un’attività lavorativa, ancorchè comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento (Cass. 22439/2009).

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano come da dispositivo. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 7.200,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso forfettario per spese generali, in misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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