Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20889 del 05/08/2019

Cassazione civile sez. I, 05/08/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 05/08/2019), n.20889

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20670/2014 proposto da:

C.L., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Regina

Margherita n. 294, presso lo studio dell’avvocato Vallefuoco Angelo,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Perdonà

Giampaolo, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) per Azioni;

– intimato –

avverso la sentenza n. 45/2014 del TRIBUNALE di VERONA, depositata il

04/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/04/2019 dal cons. Dott. FEDERICO GUIDO;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. SOLDI ANNA MARIA, che ha chiesto il

rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso L. Fall., ex art. 98 depositato in data 13.12.2012 e successivamente notificato, C.L., adiva il Tribunale di Verona, proponendo opposizione avverso il decreto del giudice delegato del Fallimento (OMISSIS) s.p.a., che aveva approvato lo stato passivo escludendo il credito inerente un contratto di lavoro subordinato pari ad Euro 56.734,26 per retribuzioni arretrate, dedotti gli acconti; Euro 5.011,06 per rimborso spese di servizio anticipate per conto della società; Euro 49.653,10 per indennità sostitutiva del preavviso ed Euro 3.678,00 lordi per differenze retributive sul TFR, il tutto oltre rivalutazione ed interessi ed in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751 bis c.c.

Precisava che dopo la presentazione della domanda di concordato preventivo e la conseguente omologazione era sopraggiunto il fallimento della società, ma la domanda di insinuazione al passivo per i suddetti crediti era stata rigettata.

Insisteva per l’accoglimento della domanda di ammissione dei crediti.

Si costituiva in giudizio il fallimento (OMISSIS), contestando la domanda, anche in riferimento alla prova del credito ed agli interessi, ed eccepiva la prescrizione.

Il Tribunale di Verona, con decreto n. 45/2014 rigettava la domanda di ammissione allo stato passivo, ritenendo che fosse decorso il termine decennale di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c., avendo il ricorrente prestato attività lavorativa alle dipendenze della società in bonis per il periodo compreso tra il 1 gennaio 1997 e il 4 settembre 1998, ed avendo presentato domanda di insinuazione al passivo in data 4 giugno 2012, essendo quindi decorso il termine di prescrizione, e non rinvenendo validi atti interruttivi della stessa.

Avverso il suddetto decreto propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da successiva memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. C.L..

Il Fallimento (OMISSIS) s.p.a. non ha svolto nel presente giudizio attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce l’erroneità della decisione impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2941 c.c., comma 6 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale accolto l’eccezione di prescrizione dei crediti sulla base dell’inapplicabilità della causa di sospensione.

Il motivo è infondato.

L’art. 2941 c.c., comma 6 dispone che “La prescrizione rimane sospesa tra le persone i cui beni sono sottoposti per legge o per provvedimento del giudice all’amministrazione altrui e quelle da cui l’amministrazione è esercitata, finchè non sia stato reso e approvato definitivamente il conto;”

Tale norma è stata correttamente interpretata dal Tribunale che ha deciso in conformità all’indirizzo espresso da questa Corte (ex multis: Cass. 3270/2009; Cass.17060/2007), in forza del quale il concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni, ma dei soli poteri di gestione finalizzati alla liquidazione.

Ne consegue che l’art. 2941 c.c., n. 6, non è applicabile estensivamente ai rapporti tra debitore e creditori del concordato preventivo in questione, poichè la titolarità dell’amministrazione dei beni ceduti spetta esclusivamente al liquidatore, il quale la esercita non in nome o per conto dei creditori concordatari, ma nel rispetto delle direttive impartite dal tribunale, secondo la L. Fall., art. 182, nel testo vigente “ratione temporis” (anteriore alle modifiche di cui al D.Lgs. n. 169 del 2007). (Cass. 5663/2019)

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia erroneità della sentenza, per violazione del combinato disposto della L. Fall., artt. 168 e 184 e art. 2935 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale di Verona ritenuto prescritto il credito per cui è causa in forza dell’errato presupposto che in costanza della procedura di concordato preventivo con cessione dei beni in cui non sia previsto termine per l’adempimento, il creditore avrebbe potuto far valere il proprio diritto esigendo la prestazione.

Il motivo è infondato.

Il Tribunale ha ritenuto che si fosse verificato l’effetto estintivo del diritto di credito dell’istante, per effetto del decorso del termine decennale di cui all’art. 2946 c.c. atteso che, dal 21 ottobre 1999, data di presentazione della domanda di concordato preventivo con cessione di beni, ad opera della (OMISSIS), sino al 4 giugno 2012, data in cui l’odierno ricorrente ha presentato istanza di ammissione al passivo, non risultavano atti interruttivi della prescrizione.

Il Tribunale, premesso che la disposizione di cui alla L. Fall., art. 168, comma 2, secondo cui la prescrizioni che sarebbero interrotte dagli atti di cui alla L. Fall., art. 168, comma 1 rimangono sospese, si riferisce ai soli atti di cui all’art. 168, comma 1, vale a dire alle azioni esecutive, mentre nel caso di specie non risulta essere stata proposta alcuna azione esecutiva sul patrimonio della debitrice, ha rilevato che nel periodo di durata della procedura di concordato preventivo il ricorrente non aveva esercitato il proprio diritto, svolgendo istanze e domande, nè posto in essere alcun atto di costituzione in mora, non potendo ritenersi che a seguito dell’ammissione alla procedura ed in costanza della stessa, la debitrice si fosse liberata dall’obbligo di adempimento dei propri debiti.

La statuizione è conforme a diritto.

L’ammissione del debitore ad una procedura di concordato preventivo con cessione dei beni (sia o meno previsto un termine per l’adempimento) non costituisce un impedimento giuridico per il creditore a far valere il proprio diritto, non essendovi alcun ostacolo a formulare nei confronti della debitrice in concordato istanze, solleciti ed atti cautelativi di costituzione in mora; non può infatti ritenersi che a seguito dell’ammissione alla procedura e nel corso della stessa la società sia liberata dall’obbligo di pagamento dei propri debiti.

Nella procedura di concordato preventivo a differenza che in quella di fallimento nella quale, ai sensi della L. Fall., art. 94la presentazione della domanda di ammissione al passivo determina l’interruzione della prescrizione del credito, con effetto permanente, sino alla chiusura della procedura (ex multis Cass. n. 8990/1997;16380/2002), non vi è una verifica del passivo e pertanto nell’ambito della procedura di concordato non vi è una domanda cui possano riconoscersi gli effetti di quella di cui alla L. Fall., art. 94, con la conseguenza che, ove i creditori intendano ottenere l’accertamento di una loro pretesa obbligatoria, devono ricorrere al giudizio di cognizione ordinaria. Non viene quindi precluso l’esercizio del diritto attraverso le ordinarie azione di cognizione, sicchè non trova applicazione il disposto dell’art. 2935 c.c.

Il terzo motivo denuncia l’erroneità della decisione impugnata per violazione dell’art. 2937 c.c. in rapporto alla L. Fall., artt. 25,31,42 e 43 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il Tribunale rigettato l’eccezione di rinuncia alla prescrizione per effetto delle richieste e dei comportamenti del liquidatore giudiziale e del contegno assunto dagli organi della procedura.

Il motivo è infondato.

Parte ricorrente, invero, censura la statuizione del Tribunale nella parte in cui ha disatteso le deduzioni circa la rinuncia alla prescrizione, in forza dei sottoindicati comportamenti assunti dagli organi della procedura:

– In primo luogo, una comunicazione del liquidatore in forza della quale questi, a fronte delle richieste avanzate dal Dott. C. affinchè si desse corso alla liquidazione dei propri crediti, nulla eccepiva in merito alla prescrizione degli stessi, dolendosi unicamente del fatto per cui non si erano potute realizzare utilità atte a consentire la distribuzione ai creditori.

Tale comunicazione, secondo parte ricorrente, avrebbe costituito un espresso riconoscimento del debito, atto idoneo ad interrompere la prescrizione.

Senonchè, come correttamente rilevato dal Tribunale, il riconoscimento del diritto, è idoneo ad interrompere la prescrizione a norma dell’art. 2944 c.c., purchè provenga da colui contro il quale il diritto stesso può essere fatto valere, ossia dal soggetto che abbia poteri dispositivi del diritto ovvero dal terzo che, autorizzato dal primo, risulti abilitato ad agire in suo nome o per suo conto. (Cass. 19529/2015), mentre il liquidatore giudiziale del concordato, è privo di titolarità e potere di disposizione dei diritti, che permane in capo al debitore.

In secondo luogo, il ricorrente ha fatto riferimento alla mancata partecipazione del legale rappresentante di (OMISSIS) s.p.a. alle udienze per la deliberazione della risoluzione del concordato.

Secondo la prospettazione del ricorrente la rinuncia alla prescrizione deriverebbe dalla mancata formulazione della relativa eccezione nel corso di detto procedimento.

Pure tale deduzione è infondata.

Il Tribunale ha correttamente affermato che il riconoscimento di un debito ha rilievo solo per le parti costituite e non già avuto riguardo a quelle che, come nel caso di specie, non erano costituite in giudizio.

Da ultimo, il ricorrente prospetta quale ulteriore elemento idoneo ad interrompere la prescrizione, disatteso dal Tribunale, l’ammissione al passivo del fallimento di (OMISSIS) s.p.a. di un credito del Fondo di garanzia dell’INPS in surrogazione al diritto degli interessati.

Pure tale deduzione è infondata in quanto, come rilevato dal Tribunale, gli organi della procedura fallimentare non avevano la disponibilità del diritto e non potevano dunque rinunciare, neanche implicitamente, alla prescrizione.

Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 2943 c.c., comma 3 e art. 2944 c.c. in combinato disposto con la L. Fall., art. 168 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per aver il Tribunale ritenuto prescritti anche i crediti derivanti dall’indennità sostitutiva di mancato preavviso e quelli derivanti dal rimborso spese anticipate per ragioni di servizio, non tenendo conto delle lettere inviate nel 1999, 2000 e 2011 idonee a sospendere la prescrizione.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

In tema di interruzione della prescrizione, ai sensi dell’art. 2943 c.c., perchè un atto abbia efficacia interruttiva è necessario che lo stesso contenga l’esplicitazione di una precisa pretesa e l’intimazione o la richiesta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto nei confronti del soggetto obbligato, con l’effetto sostanziale di costituirlo in mora (Cass. 24656/2010) e l’accertamento di tale requisito oggettivo costituisce indagine di fatto, riservata all’apprezzamento del giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità se immune da vizi logici (Cass.22751/2004).

Orbene, nel caso di specie il ricorrente non riporta nel corpo del ricorso il contenuto delle comunicazioni asseritamente idonee a costituire in mora la debitrice.

Si rileva in ogni caso il difetto di decisività di tali atti.

Ed invero, la prima missiva che si assume idonea ad interrompere la prescrizione risale all’ottobre 2000, mentre la comunicazione successiva sarebbe stata inviata nel gennaio 2011 vale a dire a prescrizione (sia quinquennale che decennale) ormai decorsa.

Va invece rilevata l’inammissibilità della questione relativa all’efficacia interruttiva della prescrizione attribuita alla pubblicazione o passaggio in giudicato della sentenza di omologazione del concordato.

Tale questione non è stata presa in esame nel decreto impugnato ed il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, aveva l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo avesse fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass.2140/2006).

In ogni caso, non può attribuirsi autonoma efficacia interruttiva della prescrizione alla sentenza di omologa del concordato preventivo, che non appare riconducibile ad alcuna delle ipotesi di interruzione disciplinate dall’art. 2943 e 2944 c.c., le quali postulano il compimento di un atto da parte del titolare del credito o del debitore, mentre l’interruzione non può farsi discendere dalla pubblicazione o passaggio in giudicato della sentenza di omologa.

Il ricorso va dunque respinto e, considerato che la curatela fallimentare della (OMISSIS) s.p.a. è rimasta intimata non deve provvedersi sulle spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2019

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