Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20887 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. II, 30/09/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 30/09/2020), n.20887

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20879/2019 proposto da:

H.A.M., rappresentato e difeso dall’avvocato DARIO DAL

MEDICO, e domiciliato presso la cancelleria della Corte di

Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE VERONA, domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRENTO depositato il 11/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/03/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il ricorrente, cittadino del Bangladesh, interponeva ricorso avverso il provvedimento della Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale di Verona con il quale gli era stato negato l’accesso alla protezione internazionale e umanitaria.

Con il decreto impugnato il Tribunale di Trento rigettava il ricorso.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione H.A.M. affidandosi ad un unico motivo.

Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto di costituzione ai fini della partecipazione all’udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32,D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, perchè il Tribunale avrebbe escluso la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione umanitaria senza aver considerato i fatti allegati dal richiedente e senza tener conto del parere favorevole espresso dal P.M..

La censura è inammissibile.

Dal decreto impugnato risulta infatti che il giudice di merito ha ritenuto che la vicenda narrata dal richiedente integrasse un fatto di natura esclusivamente privatistica e che, come tale, essa non potesse integrare i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria invocata.

Con la censura in esame il ricorrente da un lato lamenta la sottovalutazione della propria storia e l’omessa considerazione, da parte del giudice di merito, delle gravi violazioni che egli avrebbe patito in Libia, ove sarebbe stato malmentato e sequestrato per indurre la sua famiglia di origine ad un pagamento del riscatto; e, dall’altro lato, evidenzia che nel corso del giudizio innanzi il Tribunale anche il P.M. aveva concluso per l’accoglimento del ricorso.

Tuttavia la censura non si confronta adeguatamente con il fatto che il giudice di merito ha ritenuto che il ricorrente, sia in occasione dell’audizione svoltasi dinanzi la Commissione territoriale che in quella successivamente tenutasi in sede giudiziaria, avesse in sostanza riferito di “… temere il rientro nel proprio Paese, esclusivamente a causa dei presunti mutui contratti per il viaggio, nonchè per il suddetto riscatto… lo stesso ricorrente mai ha riferito che lui o i propri familiari stiano subendo minacce a causa del mancato pagamento dei debiti; debiti, tra l’altro, che risultano contratti con uno zio del padre e con un istituto di credito, soggetti quindi – almeno apparentemente – in sè non particolarmente “pericolosi”. Va infine evidenziato che innanzi a questo Tribunale, nell’audizione del 18.3.2019, il ricorrente ha ammesso di non poter tornare in Bangladesh “perchè lì non saprei dove abitare non avendo casa e mia moglie e mia figlia vivono dai suoceri e poi mio padre ha molti debiti. Se torno lì farò fatica a trovare un lavoro e se lo trovo non sarà mai abbastanza a pagare il debito enorme e poi i miei genitori e mia moglie e mia figlia si aspettano che lo mandi soldi da qui” (cfr. pagg. 2 e 3 del decreto impugnato).

Il Tribunale ha pertanto ritenuto che la domanda di protezione fosse sostanzialmente incentrata sulla situazione debitoria dell’ H., a fronte della quale egli avvertiva l’esigenza di lavorare all’estero per reperire le risorse necessarie a farvi fronte: in questo senso dev’essere inteso il passaggio in cui il Tribunale afferma che la vicenda sarebbe “meramente privatistica”. Le vicende occorse al ricorrente in Libia, infatti, non sarebbero state indicate, nel racconto che lo stesso ha fornito, come fatti determinanti della sua domanda di protezione umanitaria, ma soltanto come concause del contesto di grave indebitamento della sua famiglia di origine.

Il motivo in esame non supera la ricostruzione della storia operata dal giudice di merito; nè il ricorrente ricollega alle predette vicende alcuna condizione personale di vulnerabilità direttamente riferita al trattamento subito nel predetto Paese di transito, limitandosi a ribadire in sostanza un quadro di grave povertà della famiglia di origine (cfr. pag. 5 del ricorso).

La censura secondo cui i fatti avvenuti nel Paese di transito non sarebbero stati valutati dal giudice di merito, che viene introdotta a pag. 8 del ricorso, è dunque superata dalla circostanza che, in realtà, le predette vicende sono state considerate dal Tribunale, ma ritenute -alla luce del racconto che in concreto il richiedente aveva fornito- non decisive nè significative, in sè stesse, ai fini dell’individuazione di un profilo di vulnerabilità in capo all’ H., proprio perchè esse erano state riferite dal richiedente non tanto come eventi traumatici idonei a dimostrare una sua condizione personale di debolezza, ma piuttosto come concause della condizione di indigenza della sua famiglia di origine.

Il giudice di merito ha quindi ritenuto, alla luce del complessivo senso delle dichiarazioni dell’ H., che la sua decisione di espatriare fosse legata ad un movente economico, come tale non rilevante ai fini dell’invocata protezione umanitaria.

Tale valutazione, che per quanto sin qui detto non risulta adeguatamente attinta dal motivo di ricorso, va tenuta ferma, avendo in sostanza il giudice di merito fatto corretta applicazione del principio per cui la valutazione della storia riferita dal richiedente la protezione va condotta avendo riguardo a tutte le circostanze da quegli riferite, che vanno apprezzate e considerate in modo coordinato e complessivo.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in difetto di notificazione di controricorso da parte del Ministero intimato.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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