Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20885 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. II, 30/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 30/09/2020), n.20885

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19588/2019 proposto da:

F.M., rappresentato e difeso dall’avvocato Barbara

Cattelan, e domiciliato in Roma, piazza Cavour, presso la

cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2147/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Torino che rigettava la domanda del ricorrente, volta all’ottenimento dello status di rifugiato, della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, F.M. interponeva opposizione, che veniva respinta dal Tribunale di Torino con ordinanza del 15.03.2018;

– in virtù di appello proposto dal medesimo F., la Corte di appello di Torino, con sentenza n. 2147/2018, rigettava l’impugnazione con condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado, oltre a revocarlo dal beneficio del patrocinio delle spese a carico dello Stato;

– la decisione di secondo grado evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, evidenziando, in primo luogo, di condividere la valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente effettuata dalla Commissione territoriale e dal Tribunale, peraltro non censurata l’affermazione del primi giudice secondo cui la Costa D’Avorio, dopo le note vicende G. – O., si sarebbe in larga misura stabilizzato e sarebbe in grado di fronteggiare problemi come quello oggetto del racconto e legati alla criminalità (egli sarebbe in pericolo perchè scambiato per suo cugino, il quale apparteneva ad una di banda di microbes), come emergerebbe dalle informazioni del settembre 2017 della Commissione Nazionale Asilo, confermate anche da fonti successive di ben due anni. Del pari veniva negata la ricorrenza dei presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari in difetto di specifica allegazione e dimostrazione di rientrare in categorie soggettive in relazione alle quali erano ravvisabili lesioni di diritti umani di particolare entità, nè erano ravvisabili le condizioni di cui al D.L. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione il F. affidato a quattro motivi;

– il Ministero dell’Interno intimato ha depositato un semplice atto di (asserita) costituzione finalizzato all’eventuale partecipazione all’udienza pubblica;

– il P.G., nella persona del Sostituto Dott. Ignazio Patrone, ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Atteso che:

– con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e la falsa del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, D.Lgs. n. 25 del 2006, art. 8, commi 2 e 3 e art. 27, comma 1-bis, D.P.R. n. 21 del 2015, art. 6, comma 6 e art. 16 direttiva 2013/32/UE relativamente ai criteri legali per la valutazione della credibilità del richiedente, per avere la corte di merito operato (al pari del giudice di prime cure) una valutazione informale della credibilità delle affermazioni del F.. Il motivo è inammissibile perchè mira a rappresentare una situazione di fatto diversa, peraltro in forma assolutamente generica, rispetto a quella che risulta dall’esame del materiale istruttorio compiuto dalla Corte d’Appello.

Giova, invero, premettere che questa Corte, ancora di recente (cfr. Cass. n. 18431 del 2019), ha ribadito quale sia il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

In primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma, esclusivamente, su quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (art. 3, comma 5, del medesimo D.Lgs.). Ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere/dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante, si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (cfr. Cass. n. 17069 del 2018). Al contrario, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in quanto la richiesta di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015).

Infatti, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

Una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere dell’Autorità Giudiziaria di cooperazione istruttoria, e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poichè è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel Paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè, d’altronde, avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso del D.Lgs. n. 251 del 2007, già citato art. 3, comma 5.

Nella specie, la Corte di appello di Torino (cfr. amplius, pag. 2-3 del decreto impugnato) ha innanzitutto dato atto che il ricorrente ha dichiarato di essere partito dal suo Paese nell’ottobre 2015, di essere rimasto orfano sin da piccolo e di essere cresciuto con uno zio, ucciso dalla sua stessa sorella (zia del ricorrente) nel 2006 con arti magiche; di aver lasciato il proprio Paese dopo che la polizia che cercava il cugino (figlio dello zio materno), perchè membro di una gang chiamata (OMISSIS), lo aveva minacciato di considerarlo complice se non avesse prestato collaborazione per il suo ritrovamento a causa della situazione di insicurezza presente nella zona da cui egli proviene.

La Corte di appello ha poi ritenuto di poter condividere le perplessità espresse dalla Commissione sulla credibilità dei fatti narrati dal ricorrente e delle ragioni che l’avrebbero indotto a lasciare il suo Paese, apparendo inverosimile il racconto fatto dal ricorrente, come viene ben spiegato nel provvedimento di rigetto, avendo il ricorrente rilasciato delle dichiarazioni incoerenti nelle date generiche, sommarie e per nulla Circostanziate, soprattutto perchè non avrebbe chiarito la ragione per cui polizia lo dovrebbe arrestare e la gang (OMISSIS) dovrebbe ucciderlo. In sede di audizione davanti alla Commissione, il ricorrente in merito alla morte dello zio a causa della magia della sorella dello stesso ha solo dichiarato che l’evento senza indicarne i motivi, per poi affermare che la condotta dei poliziotti durante la perquisizione della casa dello zio dove egli viveva, che “hanno fatto danno”, aveva determinato un peggioramento dello stato di salute dello zio, cardiopatico, con evidente contraddizione sulle cause della morte del parente. Infine, il timore del ricorrente, in caso di rimpatrio, è stato ritenuto infondato dalla corte territoriale, non avendo fornito alcun elemento in ordine al pericolo concreto che subirebbe nel Paese di origine, a fronte di informazioni da fonti costituite da risultanze ufficiali di generale conoscibilità in quanto provenienti da dipartimenti ministeriali ed organismi internazionali che descrivono la Costa D’Avorio quale Paese in larga misura stabilizzato dopo le note vicende G. – O..

Trattasi, pertanto, di accertamenti le cui evidenziate incongruenze hanno indotto la Corte territoriale alla logica conclusione di ritenere non credibile il F., con valutazione in fatto qui evidentemente non sindacabile (cfr. Cass. n. 3340 del 2019, secondo cui “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito”), se non nei ristretti limiti e con le peculiari modalità sancite da Cass., Sez. Un. 8053 del 2014, qui rimaste assolutamente inosservate, con cui è ancora oggi prospettabile un vizio motivazionale, giusta l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 18 febbraio 2019. Il vizio di violazione di legge consiste, invece, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, e, come tale, è inammissibile in subiecta materia (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. n. 3340 del 2019).

Deve, dunque, ritenersi che il ricorrente abbia posto a fondamento della propria domanda di protezione internazionale una vicenda scarsamente credibile, riguardo alla quale, evidentemente, non vi era alcun dovere di cooperazione istruttoria e che doveva e poteva essere scrutinata soltanto sulla base della sua intrinseca credibilità: credibilità che il giudice merito ha escluso, con giudizio qui non ulteriormente sindacabile per le ragioni già precedentemente evidenziate.

Ove, peraltro, le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, nemmeno occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) – salvo che (ipotesi qui neppure allegata) la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018).

L’insindacabilità dell’accertamento fattuale svolto dal giudice di merito va, peraltro, estesa non solo alla valutazione della credibilità (qui esclusa) del racconto personale del richiedente ed alla valutazione oggettiva dei motivi di timore da lui palesati (Cass. n. 3340 del 2019 cit.), ma anche all’apprezzamento della situazione di fatto oggettivamente esistente nel Paese (distretto) di provenienza (Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018);

– con il secondo motivo è lamentata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g), art. 5, art. 14, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per falsa ed erronea applicazione dei criteri legali applicabili all’esame della domanda, in particolare per quanto pertiene la formulata richiesta di protezione sussidiaria.

Parimenti inammissibili sono le allegazioni operate con il secondo motivo che ostendono, pur sotto l’apparente veste di un preteso errore di diritto, una critica puramente motivazionale, non più rappresentabile alla stregua del novellato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quale idoneo vizio cassatorio, e sollecitano perciò una rivisitazione delle risultanze di fatto della vicenda e del giudizio riguardo ad esse enunciato dal giudice di merito, che ha inteso escludere, con ciò sottraendosi pure al denunciato vizio di motivazione apparente, le ragioni di concessione della misura richiesta, oltre a non palesare critiche pertinenti con la istanza presentata.

Infatti quanto alla protezione sussidiaria invocata ai sensi al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b), è qui sufficiente rimarcare che è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018); al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (cfr. Cass. n. 11312 del 2019).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha negato, mediante il ricorso a fonti internazionali attendibili ed aggiornate, citate in motivazione (informazioni del settembre 2017 della Commissione Nazionale Asilo ed il rapporto del Ministero degli esteri pubblicato sul sito (OMISSIS) il 22.10.2018 e valido al momento della pronuncia) come richiesto dal recente indirizzo di questa Corte (cfr. Cass. n. 11312 del 2019), che la specifica zona di provenienza dell’immigrato (Costa D’Avorio) sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

Posto, allora che, in nessun modo si può ritenere che la motivazione della sentenza oggi impugnata si collochi al di sotto del minimo costituzionale, per l’articolato e costante collegamento del filo motivazionale agli elementi di prova raccolti nel processo, in particolare alle condizioni politico-sociale dell’ambito di provenienza ed alle dichiarazioni del richiedente, ritenute inattendibili per le ragioni sopra evidenziate, le odierne censure si risolvono nella esposizione astratta di principi giuridici ed orientamenti giurisprudenziali in materia, nonchè in una sostanziale richiesta di rivisitazione del merito, inammissibili in questa sede (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. n. 29404 del 2017; Cass. n. 19547 del 2017; Cass. n. 16056 del 2016);

– con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, per avere la corte territoriale concluso per l’inesistenza anche dei requisiti per il riconoscimento della protezione umanitaria, nonostante non sia venuto meno in conseguenza dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, conv. in L. n. 132 del 2018. Inoltre è stata del tutto ignorata l’esistenza di un rapporto di lavoro di tirocinio retribuito, della durata di 6 mesi, decorrente dal 5.10.2018.

La censura è inammissibili in quanto diretta a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento, con autonoma ratio decidendi, non impugnata dal ricorrente che si è limitato a criticare la ritenuta abrogazione dell’istituto in questione.

In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria – al pari di quanto avviene per il giudizio di riconoscimento dello status di rifugiato politico e della protezione sussidiaria – incombe sul giudice il dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine. Nella specie, la Corte territoriale non ha violato il suddetto principio nè è venute meno al dovere di cooperazione istruttoria, avendo semplicemente ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali alla luce della disciplina antecedente al D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, non applicabile alla fattispecie non avendo tale normativa efficacia retroattiva secondo l’orientamento recentemente espresso da questa Corte (Cass. n. 4890 del 2019 e Cass. Sez. Un. 29460 del 2019).

Quanto infine al parametro dell’inserimento sociale e lavorativo dello straniero questa Corte con sentenza n. 4455 del 23.02.2018 (e successivamente Cass. Sez. Un. 29460/2019 cit.) ha precisato che “In materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza”. A tal riguardo il motivo appare inammissibile anche alla luce della valutazione comparativa espressa dal giudice di merito con esaustiva indagine circa le condizioni descritte dello straniero con riguardo al suo paese di origine ed all’integrazione in Italia acquisita, valutazione in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede, oltre a doversi osservare che il rapporto di tirocinio, istaurato solo dal 5.10.2018, ha durata semestrale;

– con il quarto ed ultimo motivo viene lamentata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 112 del 2002, art. 136, comma 2, in relazione alla pronunciata revoca del beneficio del patrocinio a spese dello Stato, non motivando la Corte le ragioni dell’affermata palese infondatezza.

Anche l’ultima censura è inammissibile.

Va fatta applicazione del principio di diritto secondo cui la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottata con la sentenza che definisce il giudizio, anzichè con separato decreto, come previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, non comporta mutamenti nel regime impugnatorio, che resta quello, ordinario e generale, dell’opposizione ex art. 170 dello stesso D.P.R. (Cass. n. 3028 del 2018; Cass. n. 29228 del 2017): il rimedio del ricorso per cassazione è, infatti, previsto solo per l’ipotesi contemplata dall’art. 113 del D.P.R. citato.

Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, come (re)interpretato da S.U. n. 7155/17.

La mancata costituzione in questa sede dell’amministrazione intimata esime il Collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

Deve, altresì, darsi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., Sez. Un., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., Sez. Un., n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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