Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20885 del 15/10/2015


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 20885 Anno 2015
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: BARRECA GIUSEPPINA LUCIANA

Ud. 08/07/2015

SENTENZA

PU

sul ricorso 2856-2013 proposto da:
ACCIAIERIE VENETE SPA 00224180281, in persona del
Presidente del Consiglio di Amministrazione Sig.
GIANFRANCO BANZATO, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio
dell’avvocato LUIGI MANZI, che la rappresenta e
2015
1641

difende unitamente all’avvocato MARIA LUISA TERRIN
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

CONSORZIO ZONA INDUSTRIALE E PORTO FLUVIALE PADOVA ,

1

Data pubblicazione: 15/10/2015

in

persona

del

Presidente

del

Consiglio

di

Amministrazione e legale rappresentante dott. ANGELO
m BOSCHETTI, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
FEDERICO CESI

72,

presso lo studio dell’avvocato

DOMENICO BONACCORSI DI PATTI, che la rappresenta e

giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente

avverso la sentenza n.

2618/2011 della CORTE D’APPELLO

di VENEZIA, depositata il 12/12/2011 R.G.N. 1593/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del

08/07/2015

dal Consigliere Dott.

GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;
udito l’Avvocato GIANLUCA CALDERARA per delega;
udito l’Avvocato DOMENICO BONACCORSI DI PATTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

2

difende unitamente all’avvocato MARSILIO FERRATA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
l.-

Il Tribunale di Padova aveva emesso in favore dell’istante

Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova un decreto
ingiuntivo col quale veniva ingiunto alla società Acciaierie
Venete S.p.A. il pagamento della somma di E. 889.860.972, oltre

L’ingiunta

era

stata

aggiudicataria,

in

una

procedura

fallimentare, di beni immobili dei fallimenti Galtarossa Icomsa
Zincheria s.r.l. e Galtarossa s.p.a. e nel provvedimento di
aggiudicazione era previsto l’<> a carico
dell’aggiudicatario di quanto sarebbe stato da corrispondere al
Consorzio ai sensi dell’art. 10 di apposito disciplinare; in
questo era stabilito che le società poi fallite -già assegnatarie
dei lotti di terreno per la costruzione di impianti destinati ad
attività produttive in forza di atti del 7 dicembre 1989 e del 4
gennaio 1990 (cui si riferiva il disciplinare)- non avrebbero
potuto compiere atti di disposizione degli immobili per un
periodo infra ventennale (diciannove anni e undici mesi) senza
autorizzazione del Consorzio e quest’ultima era condizionata al
pagamento in favore del Consorzio -in solido tra le assegnatarie
e l’acquirente- di un corrispettivo pari al 20% della differenza
tra il prezzo in vigore al momento dell’assegnazione e quello in
vigore al momento dell’autorizzazione.
Il Consorzio aveva agito in monitorio per ottenere questo
pagamento.

3

interessi e spese.

1.1.-La

società

Acciaierie

Venete

S.p.A.

aveva

proposto

opposizione a decreto ingiuntivo, sostenendo che l’art. 10 del
disciplinare non sarebbe stato applicabile, essendo mancato un
atto di disposizione volontario da parte dell’assegnatario; che
la norma sarebbe stata diretta ad evitare trasferimenti volontari

speculazioni; che perciò la situazione contemplata dalla norma
non era assimilabile a quella della vendita forzata; inoltre, che
si sarebbe trattato di un

pactum de non alienando

avente

efficacia meramente obbligatoria tra le parti stipulanti, da
interpretarsi in senso restrittivo.
1.2.-11 Consorzio aveva resistito, deducendo che il curatore
fallimentare sarebbe subentrato negli impegni convenzionalmente
assunti dalle società assegnatarie dei lotti e, nel promuoverne
la vendita, avrebbe compiuto un atto di disposizione
assoggettabile alla previsione del disciplinare.
Aveva aggiunto che il provvedimento del giudice delegato che
prevedeva detto «accollo>> avrebbe dovuto essere impugnato ai
sensi dell’art. 26 della legge fallimentare.

del lotto -acquistato ad un prezzo di favore- al fine di impedire

1.3.- Il Tribunale, concessa la provvisoria esecuzione del
decreto ingiuntivo, con sentenza del 19 settembre 2005, aveva
rigettato l’opposizione delle Acciaierie Venete S.p.A.,
confermando il decreto e condannando l’opponente al pagamento
delle spese processuali.
2.- Avverso la sentenza la società già opponente proponeva
appello, a cui resisteva il Consorzio.

4

(f

Con la sentenza impugnata, pubblicata il

12 dicembre 2011,

la

Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello, condannando
l’appellante al pagamento delle spese del grado.
3.-

Contro questa sentenza Acciaierie Venete S.p.A. propone

ricorso affidato a dieci motivi.

difende con controricorso e memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- La Corte d’Appello ha respinto l’impugnazione per le seguenti

ragioni:
– a) con l’adesione alla procedura di vendita all’asta la società
appellante avrebbe accettato,

sia pure implicitamente, di

accollarsi l’obbligazione verso il Consorzio per il pagamento del
contributo previsto dall’art. 10 del disciplinare, dal momento
che la relativa previsione era contenuta nell’avviso di vendita
all’asta degli immobili e l’impegno era richiamato nel decreto di
trasferimento, oltre che nella relazione di stima dell’esperto;
– b) la fattispecie sarebbe analoga a quella contemplata
dall’art. 586 cod. proc. civ., in relazione all’art. 508 cod.
proc. civ.. Acciaierie Venete S.p.A., con l’adesione al bando di
vendita (recante l’esplicita previsione dell’esistenza dell’onere
a carico del concorrente all’incanto), avrebbe assunto su di sé
l’obbligazione del pagamento al Consorzio del contributo previsto
dall’art. 10 del disciplinare, perfezionatasi a suo carico con
l’aggiudicazione dell’immobile;

5

Il Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova si

- c) l’obbligazione in parola gravava sulle società Galtarossa
già assegnatarie dei terreni e poi fallite, e quindi la procedura
fallimentare bene avrebbe trasferito questa obbligazione in capo
all’aggiudicataria, sia pure nell’interesse della massa dei
creditori;
«detta le disposizioni per

l’assegnazione delle aree pervenute nella disponibilità del
Consorzio per la Zona Industriale e per il Porto Fluviale di
Padova, destinate alle opere per l’impianto e la sistemazione
degli stabilimenti industriali, artigianali e commerciali facenti
parte del

Consorzio

non

stesso>>)

si

limiterebbero a

regolamentare i trasferimenti ai privati delle aree, ma,
prevedendo anche oneri e sanzioni a carico dei privati
assegnatari, avrebbero natura pubblicistica, essendo preordinate
alla tutela dell’interesse pubblico perseguito dal Consorzio. Con
la conseguenza che il divieto di alienazione non avrebbe
rilevanza esclusivamente privatistica ed efficacia meramente
obbligatoria ai

sensi

1379 cod.

dell’art.

civ.,

ma

si

estenderebbe anche nei confronti dei terzi, e degli aventi causa
degli assegnatari medesimi, come da precedente di legittimità n.
9508/1997, richiamato in sentenza;
– e) la società aggiudicataria non avrebbe assunto, in via di
manleva, un obbligo altrui, ma sarebbe stata obbligata in
proprio, in ragione della previsione contenuta nell’avviso di
vendita,
comportato,

secondo
oltre

cui

l’adesione

all’accollo

6

a

quest’ultimo

dell’obbligazione

avrebbe
verso

il

– d) le norme del disciplinare (che

Consorzio, “l’espressa rinuncia da parte dell’aggiudicatario alla
richiesta in capo al fallimento della somma da pagare” (quindi,
la rinuncia al regresso verso il fallimento).
2.-

Le affermazioni sub a), b) ed e) sono censurate con gli

ultimi quattro motivi di ricorso; i primi sei sono diretti a

successione dell’aggiudicataria nell’obbligazione nascente
dall’art. 10 del disciplinare (affermazione sub c) ed in punto di
opponibilità del vincolo di inalienabilità infraventennale in
quanto preordinato alla tutela di pubblici interessi
(affermazione sub d).
Seguendo l’ordine espositivo della ricorrente, che peraltro
rispetta l’ordine logico delle questioni, vanno esaminati i primi
sei motivi.
2.1.-

Col primo si deduce violazione e falsa applicazione

dell’art. 36, comma quarto, della legge n. 317 del 1991,

«per

non aver applicato al caso di specie le norme civilistiche>>.
La ricorrente sostiene che sarebbe errata la sentenza che ha
ritenuto le norme del disciplinare a natura pubblicistica, in
quanto preordinate alla tutela dell’interesse pubblico perseguito
dal Consorzio. La Corte di merito non avrebbe considerato che
quest’ultimo è qualificato dal menzionato art. 36 della legge n.
317 del 1991 (intitolata

«Interventi per l’innovazione e lo

sviluppo delle piccole imprese»)

come ente pubblico economico:

il Consorzio di sviluppo industriale, costituito ai sensi della
vigente legislazione (così come è il Consorzio Zona Industriale e

7

contestare quanto ritenuto dalla Corte di merito in punto di

Porto Fluviale di Padova), opererebbe in posizione di assoluta
parità con l’altro contraente, sicché il disciplinare allegato al
contratto di assegnazione delle aree -che sarebbe un contratto di
compravendita- regolamenta il rapporto contrattuale nato tra
soggetti che opererebbero su un piano di parità, legati da
diritti e obblighi reciproci di natura privatistica.
2.2.- Col secondo motivo si svolgono censure analoghe, sotto il

profilo del vizio di motivazione in merito alla natura
imprenditoriale dell’attività esercitata dal Consorzio. Questa
sarebbe stata esclusa dalla Corte di merito, che avrebbe ritenuto
la natura pubblicistica degli interessi perseguiti, senza
adeguata motivazione.
2.3.- Col terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione

di norme di diritto nell’interpretazione dell’art. 10 del
disciplinare in riferimento all’art. 1379 cod. civ. ed agli artt.
1362 e 1363 cod. civ., sull’interpretazione dei contratti, per
non avere la Corte d’Appello riconosciuto la natura obbligatoria
della clausola del disciplinare e la sua riconducibilità all’art.
1379 cod. civ. e per avere assimilato alla vendita volontaria la
vendita fallimentare, la quale non avrebbe potuto essere
assoggettata all’autorizzazione del Consorzio (che sarebbe
servita ad evitare speculazioni, invece estranee agli organi
fallimentari).
2.4.-Col quarto motivo si censura la motivazione della sentenza
per avere richiamato il precedente di legittimità n. 9508/1997,
che, secondo la ricorrente, avrebbe una motivazione addirittura

8

.

contrastante con le ragioni poste a fondamento della decisione
impugnata. Inoltre, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto
di altra, più pertinente, giurisprudenza di legittimità, espressa
dalle sentenze n. 6517/1980 e n. 6748/1987-indicate già nei gradi
di merito a sostegno delle ragioni della società odierna

2.5.- Col quinto motivo si deduce violazione dell’art. 1379 cod.

civ. in relazione alla disciplina fallimentare ed agli artt. 42,
52 e 93 legge fallimentare, per non avere la Corte d’Appello
escluso la compatibilità con la disciplina fallimentare della
clausola dell’art. 10 del disciplinare, in quanto contenente un
divieto convenzionale di alienazione riconducibile all’art. 1379
cod. civ. e perciò inopponibile alla massa, quindi al terzo
aggiudicatario.
2.6.-

Col sesto motivo si svolgono censure analoghe sotto il

profilo del vizio di motivazione sull’applicabilità dell’art. 10
del disciplinare alla vendita fallimentare.
3.- I motivi -da esaminarsi congiuntamente poiché concernenti una

sola decisiva questione- non sono fondati.
La questione che essi pongono riguarda la natura del vincolo di
che trattasi e la sua opponibilità alla procedura concorsuale e,
quindi, all’aggiudicatario della vendita in sede fallimentare.
Quanto al primo aspetto, non coglie nel segno la ricorrente
laddove riconduce il vincolo ad un divieto convenzionale di
alienazione regolato dall’art. 1379 cod. civ..

9

ricorrente.

Con la legge 4 febbraio 1958 n. 158 (in G.U. n. 69 del
20/03/1958,

recante

«Norme relative all’espropriazione di terreni e all’attuazione
di opere nella zona industriale e nel porto fluviale di
Padova>>), modificata dalla legge l ottobre 1969 n. 739 (in G.U.
«Modifiche alla legge 4 febbraio

1958, n. 158, contenente norme relative all’espropriazione di
terreni e all’attuazione di opere nella zona industriale e nel
porto fluviale di Padova>>), si

è prevista la pubblica utilità a

fini espropriativi di tutte le opere occorrenti per l’impianto,
l’esercizio e l’attrezzatura dei servizi della zona industriale e
portuale di Padova, nonché delle opere occorrenti per l’impianto
e la sistemazione nella zona stessa di stabilimenti industriali,
artigianali e commerciali tecnicamente organizzati e costruzioni
annesse. Si è quindi previsto che, all’esito dell’espropriazione
per pubblica utilità allo stesso affidata, il Consorzio per la
Zona Industriale e per il Porto Fluviale di Padova provvedesse
alla assegnazione delle aree, provenienti dalle espropriazioni, a
singole aziende per l’impianto di stabilimenti industriali,
artigianali e commerciali tecnicamente organizzati ed opere
annesse, alle condizioni previste dalla stessa normativa
speciale.
E’ così palesato l’interesse pubblico a favorire l’impianto di
stabilimenti destinati ad attività produttive sulle aree allo
scopo espropriate.

10

n. 279 del 05/11/1969 recante

Le aree espropriabili erano quelle ricomprese in piani
particolareggiati deliberati dagli organi del Consorzio ed esse,
per la realizzazione degli obbiettivi di legge, erano cedute in
proprietà («assegnate») a singole aziende per l’impianto degli
stabilimenti. A seguito dell’esproprio, il bene era destinato

d’interesse pubblico. Questa era raggiunta anche mediante
l’attribuzione al Consorzio del compito, oltre che di sistemare
l’area destinata allo sviluppo degli insediamenti produttivi, di
realizzare le opere necessarie per i servizi pubblici della zona
industriale e del porto fluviale.
Per quanto è dato evincere dagli scritti di parte, gli atti di
cessione del 7 dicembre 1989 e del 4 gennaio 1990 vennero
stipulati tra il Consorzio e le società Galtarossa per
l’assegnazione di aree destinate ad insediamenti produttivi ai
sensi della richiamata normativa.
Il disciplinare relativo alla cessione in proprietà delle aree come si afferma nella sentenza impugnata – contiene norme che non
si limitano a regolamentare il trasferimento, «ma prevedono
anche oneri e sanzioni a carico dei privati assegnatari».
Tra queste, la previsione dell’art. 10, per la quale «Per atti
di disposizione sugli immobili per un periodo di 19 anni e 11
mesi dalla data di stipulazione del contratto di assegnazione,
l’assegnatario non potrà cedere a terzi in tutto o in parte la
proprietà dell’area e/o delle costruzioni, né costituire sopra
detto immobile diritto reale di godimento, senza preventiva

11

direttamente al soddisfacimento dell’anzidetta finalità

autorizzazione

del

Consiglio

Direttivo

del

Consorzio.

L’autorizzazione è condizionata al pagamento in solido tra
assegnatario e l’acquirente al Consorzio di un corrispettivo pari
al 20% della differenza fra il prezzo in vigore al momento
dell’ultima assegnazione e quello in vigore al momento
omissis…». La clausola

prevede altresì un’apposita disciplina per l’affitto e per la
successione mortis causa,

nonché l’esenzione dall’autorizzazione

«qualora si tratti di trasferimento dell’immobile unitamente
all’azienda sullo stesso insediata, fermo l’obbligo, tuttavia,
del cedente di comunicare immediatamente al Consorzio il
nominativo del nuovo utente e l’obbligo di non modificare
l’oggetto dell’attività aziendale.».
Come rilevato nel precedente di questa Corte n. 9508/97 citato in
sentenza -relativo all’analoga fattispecie dell’assegnazione ai
privati di immobili compresi nei piani particolareggiati delle
aree destinate gli insediamenti produttivi ai sensi dell’art. 27
della legge n. 865/1971- «il momento pianificatorio e quello
convenzionale sono pertanto legati da un rapporto di
interdipendenza: infatti, se la cessione trova il suo
ineliminabile presupposto nell’esistenza del piano, quest’ultimo
richiede, per la sua concreta attuazione, che l’area sia
trasferita in proprietà (o concessa in superficie) ad un
operatore economico.

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dell’autorizzazione di cui sopra

La cessione del bene non è quindi fine a sè stessa, ma concorre
alla realizzazione dell’assetto urbanistico prefigurato nel
piano.».
Sebbene nel caso di specie la normativa speciale non preveda il
potere di incidere unilateralmente sul rapporto in capo al
Consorzio (che, in quanto ente pubblico economico, non è dotato
di poteri autoritativi), tuttavia le finalità di pubblico
interesse dallo stesso perseguite (finalità, il cui
raggiungimento -contrariamente a quanto sotteso ai primi due
motivi di ricorso- ben può essere affidato ad un ente pubblico
economico) consentono di affermare che anche gli obblighi posti a
carico del cessionario circa l’utilizzazione dell’area trovino il
loro presupposto nell’esigenza di assicurare la realizzazione
degli obbiettivi perseguiti dalla normativa speciale. Quindi, si
tratta di obblighi preordinati alla tutela di interessi che
trascendono quelli che caratterizzano la posizione dell’alienante
in una compravendita che rilevi solo sul piano privatistico.
Appunto perché finalizzato alla tutela di un interesse pubblico
che si realizza per il tramite Consorzio alienante

(rectius,

cedente) -ma non è proprio di quest’ultimo come se si trattasse
di una parte privata-, il divieto di alienazione se non previa
autorizzazione non è riconducibile alla regola posta dall’art.
1379 cod. civ..
Questa norma, infatti, accorda prevalenza all’interesse di uno
dei contraenti, subordinando la validità della clausola negoziale

13

al fatto che si tratti di un interesse «apprezzabile», ma
sempre nella prospettiva della tutela di interessi privati.
Nel caso di specie,
perseguito,

allo sviluppo

per il tramite del Consorzio,

espropriata e

industriale o comunque produttivo dell’area,
sistemata allo scopo a spese dello stesso Consorzio.

Pertanto, se il prezzo di assegnazione resta favorevole per gli
assegnatari originari e per coloro che vi succedono, non solo
nella titolarità dell’immobile, ma anche dell’azienda, purché si
mantenga l’oggetto dell’attività aziendale
previsione del disciplinare),

(come da detta

è coerente con la tutela

dell’interesse generale perseguito dal Consorzio che questo
recuperi i costi di sistemazione delle aree qualora, a seguito
dell’atto dispositivo, venga meno la destinazione delle stesse
all’originaria attività produttiva.
Considerato tale impianto normativo e convenzionale, è corretto
ritenere che gli obblighi imposti al cessionario conformino il
diritto di proprietà sugli immobili ceduti.
3.1.-

Dato ciò, la vendita in sede fallimentare di un immobile

incluso nei piani di espropriazione del Consorzio Zona
Industriale e Porto Fluviale di Padova per gli insediamenti
produttivi finisce per sottrarre il bene alla sua originaria
destinazione.
Essa non consente di perseguire (più) le finalità di pubblico
interesse che hanno giustificato la cessione a prezzo di favore,
sicché si viene a determinare la situazione -del tutto analoga a

14

rileva invece l’interesse pubblico,

quella

che

si

ha

in

caso

di

atto

di

disposizione

dell’assegnatario- che impone di adeguare il prezzo di vendita
all’effettivo valore dell’immobile, ripagando il Consorzio dei
costi di sistemazione delle aree.
La differente natura degli interessi perseguiti non consente
alcuna equiparazione tra gli obblighi degli assegnatari delle
aree espropriate e gli obblighi volontariamente assunti dal
contraente privato, per la tutela di interessi di natura
individuale, con clausole contrattuali riconducibili all’art.
1379 cod. civ. (clausole, queste ultime, incompatibili, di norma,
con la procedura fallimentare).
Ne segue,

in primo luogo,

l’opponibilità alla procedura

fallimentare delle previsioni del disciplinare dettate nel
pubblico interesse, quindi la successione del curatore negli
obblighi imposti all’originario assegnatario poi fallito.
Ne segue, altresì, la compatibilità dell’obbligo posto dall’art.
10 del disciplinare con le norme che regolano la procedura
fallimentare. E ciò anche in ragione del fatto che le previsioni
di legge e convenzionali di cui si è detto non sottraggono, in
assoluto, all’assegnatario la facoltà di disporre del bene (né
prevedono la risoluzione dell’assegnazione,

come nel caso

esaminato da Cass. n. 9508/97, di cui si è detto), ma la
subordinano

al

rilascio

dell’autorizzazione,

condizionata

soltanto al pagamento del corrispettivo al Consorzio. Questo
pagamento consente un adeguamento del prezzo originario di
vendita che non è in contrasto con gli interessi della massa. Con

15

*

l’ulteriore previsione della solidarietà, per tale pagamento, tra
assegnatario (cui è subentrato il Fallimento) ed aggiudicatario
(avente causa dalla procedura), a maggior tutela dei pubblici
interessi.
Si tratta di conclusioni coerenti con i precedenti di legittimità

6517/80 e n. 6748/87), in quanto da essi si trae il principio
generale per il quale l’opponibilità o meno alle procedure
esecutive e concorsuali dei vincoli di indisponibilità o dei
divieti di alienazione sugli immobili che ne sono oggetto dipende
dalla natura del vincolo e dalla relativa disciplina, legale e/o
convenzionale. Anzi, proprio il primo dei due precedenti che la
società ricorrente cita a sostegno dei propri assunti smentisce
questi ultimi e corrobora le conclusioni sopra raggiunte poiché
riconosce il subentro del curatore fallimentare
nell’amministrazione, ma anche negli obblighi degli assegnatari
degli alloggi economici e popolari, con riserva di dominio in
favore dell’ente venditore (compreso, tra questi obblighi, quello
del pagamento del prezzo residuo per il definitivo trasferimento
della proprietà: così Cass. n. 6517/80).
I primi sei motivi di ricorso vanno perciò rigettati.
b
4.

Quanto posto a fondamento di tale rigetto consente di

confermare le affermazioni della Corte d’Appello riportate sopra
sub c) e d), costituenti una

ratio decidendi

sorreggere la decisione.

16

idonea da sola a

citati in sentenza (Cass. n. 9508/97) ed in ricorso (Cass. n.

Pertanto, ritenuta l’opponibilità alla procedura fallimentare del
divieto di alienazione senza autorizzazione e delle condizioni
poste per il rilascio dell’autorizzazione da parte del Consorzio,
e ritenuta, quindi, l’assoggettabilità a tali condizioni
dell’aggiudicatario della vendita coattiva, restano assorbite le

(relative alle affermazioni della sentenza riportate sopra sotto
la lettera b).
Col settimo motivo si denuncia infatti la violazione e la falsa
applicazione di norme di diritto in relazione alla affermata
applicazione analogica al caso di specie dell’art. 508 cod. proc.
civ. richiamato dall’art. 586 cod. proc. civ. e con l’ottavo
l’insufficienza di motivazione sui presupposti di applicabilità
dell’art. 508 cod. proc. civ.
Il richiamo -in effetti scorretto- che la Corte d’Appello ha
fatto degli artt. 508 e 586 cod. proc. civ. è assorbito da quanto
detto a proposito della successione del Fallimento negli impegni
negoziali della società fallita.
4.1.-

In merito poi, alle affermazioni del giudice del gravame

secondo cui con l’adesione alla procedura di vendita l’appellante
avrebbe accettato di accollarsi l’obbligazione verso il
Consorzio, si osserva quanto segue.
Se intesa come autonoma

ratio decidendi,

tale che la Corte

d’Appello avrebbe fondato la propria decisione, non
sull’applicabilità diretta dell’art. 10 del disciplinare, ma
sulla volontaria assunzione di un impegno che sarebbe disceso

17

questioni poste con il settimo e con l’ottavo motivo di ricorso

direttamente

dalla

partecipazione

dell’aggiudicataria

alla

vendita all’asta, essa non risulta, in sé, censurata dalla
6

ricorrente (in tal senso è il precedente di cui a Cass. n.
. 8348/14, prodotto con la memoria della resistente), fatto salvo
quanto si dirà a proposito degli ultimi due motivi di ricorso.

essere formulata avverso la sentenza di merito- che la vicenda
traslativa all’esito della vendita coattiva non si possa
configurare -come sembra aver fatto la Corte d’Appello- come
effetto di una proposta della procedura, contenuta nel bando di
gara, cui sia seguita l’accettazione dell’aggiudicatario; e
quindi nemmeno pongono la questione della configurabilità della
partecipazione alla procedura di vendita all’asta in sede
fallimentare come autonoma fonte di obbligazioni
dell’aggiudicatario nei confronti di terzi -come sembra aver
ritenuto la Corte di merito. In ogni caso, anche tale,
discutibile,

ratio decidendi

sarebbe assorbita da quanto già

detto a proposito dell’operatività dell’art. 10 del disciplinare.
Se, invece, il riferimento fatto dalla Corte di merito alla
menzione dell’obbligo nell’avviso di vendita venga apprezzato
come riscontro, da parte del giudice del gravame, della
pubblicità data alla clausola del disciplinare (contenente il
divieto di alienazione senza autorizzazione e le condizioni per
il relativo rilascio), l’argomento consente di superare le
perplessità manifestate dall’appellante, oggi ricorrente, in
punto di mancata trascrizione del vincolo (al fine di ritenerne

18

Questi tuttavia non pongono la censura -che pur avrebbe potuto

l’opponibilità ai terzi, ed in specie agli acquirenti in sede
fallimentare).

In conclusione, i motivi settimo ed ottavo sono assorbiti a
seguito del rigetto dei precedenti.
5.-

Col nono motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa

applicazione dell’art. 1273 cod. civ. , perché, pur avendo la
Corte d’Appello ritenuto sussistente un accollo di quanto sarebbe
stato da corrispondere al Consorzio ai sensi dell’art. 10 del
disciplinare, non ne avrebbe tratto le dovute conseguenze. In
particolare, non avrebbe applicato, come sostenuto da Acciaierie
Venete S.p.A., le norme in materia di accollo; specificamente,
su:

la mancanza di qualsivoglia riconoscimento di debito nei

confronti del Consorzio da parte dell’aggiudicataria, essendo
configurabile soltanto un accollo interno nei rapporti tra
l’aggiudicataria ed il Fallimento;
– l’opponibilità al Consorzio di tutte le eccezioni relative al
rapporto tra accollato (Fallimento Galtarossa) e creditore
(Consorzio Zona Industriale e Porto Fluviale di Padova), quindi
sull’esistenza e sulla validità dell’originaria obbligazione
(prima

fra

tutte

la

inapplicabilità

dell’art.

10

del

disciplinare).
Col decimo motivo la stessa censura è ricondotta al vizio di
omessa motivazione sull’opponibilità al creditore (Consorzio) da
parte dell’accollante (Acciaierie Venete) delle eccezioni
spettanti al debitore originario (Fallimento).

19

4

5.1.-

Il rigetto dei due ultimi motivi consegue alle ragioni

sopra esposte in merito alla successione del Fallimento
nell’obbligazione nei confronti del Consorzio già gravante sulle
società originarie assegnatarie delle aree espropriate, che
comporta l’assoggettamento agli stessi obblighi della società

Restano così superate anche tutte le questioni riguardanti le
previsioni inserite nell’avviso di vendita. Queste previsioni
risultano infatti dirette per lo più a disciplinare i rapporti
tra l’aggiudicataria ed il Fallimento (quali obbligati in solido
nei confronti del Consorzio, in specie in merito all’azione di
regresso della prima verso il secondo ed alla relativa rinuncia);
rapporti, invero, del tutto estranei al contenzioso in oggetto.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.
Per questi motivi

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento
delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in favore
del resistente, nell’importo di C 10.500,00, di cui C 200,00 per
esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge.
Così deciso in Roma, in data 8 luglio 2015.

aggiudicataria.

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