Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20884 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. II, 30/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 30/09/2020), n.20884

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25661/2016 proposto da:

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA

DIONIGI 43, presso lo studio dell’avvocato MARCO PILIA, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

P.A., PI.AS., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA DELLA VALLE,

rappresentati e difesi dall’avvocato PIERGIORGIO PIRODDI;

– controricorrenti –

e contro

PI.AN., P.M., p.a., C.M.,

P.D.I., P.Y., PI.MI.,

P.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 642/2016 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 05/08/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

26/06/2020 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Gli eredi di P.P. citavano in giudizio B.A. per accertare che la sottoscrizione apposta in calce ad una scrittura privata avente ad oggetto la compravendita di un terreno che P.P. avrebbe venduto, nel 1996, al convenuto B. non fosse attribuibile al medesimo P.P. e di conseguenza per dichiarare la nullità della suddetta scrittura privata, quantomeno ai sensi dell’art. 1418 c.c..

2. Il Tribunale di Lanusei, dopo aver espletato una consulenza tecnica d’ufficio, dichiarava inammissibile la domanda e compensava le spese del giudizio.

3. Pi.An., Pi.As., P.M., p.a.Piroddi Aldo i.q.d.e.d. P.C., nonchè C.M., P.D.I., P.C., P.Y., Pi.Mi. proponevano appello avverso la suddetta sentenza. Si costituiva B.A..

4. La Corte d’Appello, in accoglimento dell’impugnazione e in totale riforma della sentenza impugnata, dichiarava che la sottoscrizione recante il nome di P.P., presente in calce alla scrittura di compravendita avente ad oggetto gli appezzamenti di terreno sito in agro di (OMISSIS), catastalmente identificati nella scrittura stessa al foglio (OMISSIS), dai mappali (OMISSIS) e al foglio (OMISSIS) dal mappale (OMISSIS), non era stata apposta dal suindicato P.P. e che detta scrittura era nulla, ai sensi dell’art. 1418 c.c., in riferimento ai requisiti di cui all’art. 1325 c.c., nn. 1 e 4.

Per quel che in questa sede rileva, la Corte d’Appello evidenziava che dalla consulenza tecnica era emersa la falsità della firma. Secondo la Corte d’Appello il fatto che la consulenza non si fosse svolta sull’originale del documento ma su di una copia non rilevava, sia perchè non era stata eccepita la nullità della medesima consulenza sia perchè tale nullità, di carattere relativo, non era stata portata all’attenzione del giudice dell’appello neanche con la comparsa di costituzione del convenuto. Inoltre, il convenuto non poteva dolersi di tale nullità in quanto non aveva provveduto a depositare l’originale di cui non aveva mai contestato il possesso e non aveva rispettato l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c..

Peraltro, la mancata esibizione del documento in originale era comunque un elemento di prova che poteva essere valutato.

5. B.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi.

6. Pi.As. e P.A. hanno resistito con controricorso

7. Il ricorrente, con memoria depositata in prossimità dell’udienza, ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve esaminarsi l’eccezione dei controricorrenti costituiti di inammissibilità del ricorso per difetto di notifica.

L’eccezione è infondata dovendosi dare continuità al seguente principio di diritto: “In tema di notificazione al difensore mediante invio dell’atto tramite posta elettronica certificata, nel momento in cui il sistema genera la ricevuta di accettazione e di consegna del messaggio nella casella del destinatario, si determina, analogamente a quanto avviene per le dichiarazioni negoziali ai sensi dell’art. 1335 c.c., una presunzione di conoscenza da parte dello stesso, il quale, pertanto, ove deduca la nullità della notifica, è tenuto a dimostrare le difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione correlate all’utilizzo dello strumento telematico. Spetta quindi al destinatario, in un’ottica collaborativa, rendere edotto tempestivamente il mittente incolpevole delle difficoltà di cognizione del contenuto della comunicazione o di presa visione degli allegati trasmessi via PEC, legate all’utilizzo dello strumento telematico, onde fornirgli la possibilità di rimediare all’inconveniente, sicchè all’inerzia consegue il perfezionamento della notifica” (Sez. L, Ord. n. 4624 del 2020; Sez. 3, Sent. n. 25819 del 2017).

1.1 Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione dell’art. 2702 c.c. e art. 342 c.p.c., sull’invalidità della perizia grafologica su copia fotostatica.

Secondo il ricorrente la Corte territoriale avrebbe violato l’art. 2702 c.c., per aver erroneamente negato l’efficacia probatoria della scrittura privata, fondando il proprio convincimento sulla consulenza tecnica d’ufficio svolta nel primo grado di giudizio evidentemente nulla, giacchè espletata su di una mera copia fotostatica anzichè sull’originale. Peraltro, B.A. aveva contestato da subito le risultanze della CTU, reiterando le proprie eccezioni anche in sede di comparsa conclusionale di primo grado, precisando che l’elaborato peritale del CTU era stato svolto su una fotocopia del documento di verifica, mentre la perizia grafologica deve svolgersi sul documento originale nella sua interezza, in modo tale da prendere in considerazione la totalità delle circostanze che possono aver influito sulla sua compilazione. Peraltro, sarebbe erronea anche l’affermazione della Corte d’Appello circa il fatto che il B. non poteva dolersi della suddetta nullità in quanto non aveva ottemperato all’ordine di esibizione depositando l’originale. Egli, infatti, non disponeva dell’originale della scrittura privata. Inoltre, risulterebbe violato l’art. 342 c.p.c., non avendo assolto gli appellanti l’onere di allocazione nel corpo dell’atto dei riferimenti alle risultanze istruttorie e alle difese in particolare senza fare alcun riferimento alla consulenza tecnica d’ufficio espletata.

1.2 Il primo motivo è inammissibile.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’esame peritale condotto su copie fotografiche del documento o dei documenti assunti a comparazione è inattendibile (Cass. 1831/00). Tuttavia, su colui che abbia disconosciuto la sottoscrizione in calce al documento invocato ex adverso incomba l’onere di dedurre che l’esame peritale si sia svolto su una mera copia del documento, e non sull’originale, e di aver sollevato la relativa eccezione di inutilizzabilità.

Tale principio deve combinarsi con quello secondo il quale in tema di disciplina delle nullità processuali chi ha concorso a determinare la nullità non può rilevarla, se non quando si tratta di nullità rilevabile d’ufficio ex art. 157 c.p.c., comma 3.

La parte appellata si legge nella sentenza impugnata, non aveva mai contestato nè anteriormente, nè successivamente all’ordine di esibizione, ex art. 210 c.p.c., di essere in possesso dell’originale. Deve, dunque, farsi applicazione del seguente principio di diritto: è precluso alla parte del processo nel corso del quale si sia svolta la perizia e che non abbia prodotto l’originale nonostante l’ordine di esibizione da parte del giudice, eccepire la nullità dell’elaborato peritale, trattandosi di una nullità relativa (Cass. 11434/02 e 10394/94 Sez. 1, Sentenza n. 6022 del 2007) la cui denunzia è rimasta preclusa dall’avervi dato causa mediante il comportamento defensionale tenuto innanzi al giudice del merito.

Peraltro, deve ribadirsi che: “La regola dettata dall’art. 157 c.p.c., comma 3, secondo cui la parte che ha determinato la nullità non può rilevarla, non opera quando si tratti di una nullità rilevabile anche d’ufficio, ma tale inoperatività è correlata alla durata del potere ufficioso del giudice, sicchè una volta che quest’ultimo abbia deciso la causa omettendo di rilevare la nullità, la regola si riespande, con la conseguenza che la parte che vi ha dato causa con il suo comportamento, ed anche quella che, omettendo di rilevarla, abbia contribuito al permanere della stessa, non possono dedurla come motivo di nullità della sentenza, a meno che si tratti di una nullità per cui la legge prevede il rilievo officioso ad iniziativa del giudice anche nel grado di giudizio successivo” (Sez. 3, Sent. n. 21381 del 2018).

Infine, deve affermarsi anche che il convenuto che fonda il diritto preteso dall’attore su una scrittura privata che questi disconosce, ha l’onere di produrla in originale, o di chiedere al terzo depositario di produrla, ovvero di dimostrarne il contenuto, nei limiti in cui le prove sono ammissibili (per un caso simile vedi Sez. 2, Sentenza n. 1831 del 18/02/2000). Sicchè, nel resistere in giudizio, il convenuto B. aveva l’onere di produrre la scrittura privata in originale, posto che come si è detto, non aveva contestato di esserne in possesso.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione degli artt. 189,345 e 346 c.p.c., sulla reiterazione delle istanze istruttorie nella comparsa conclusionale.

Il ricorrente evidenzia che in sede di comparsa conclusionale del giudizio di primo grado ha chiesto, tra le altre cose, di revocare l’ordinanza del 26 novembre 2009 con la quale il giudice istruttore aveva revocato l’ammissione dei testimoni che senza giustificazione non si erano presentati all’udienza nella medesima data dell’ordinanza.

Le medesime istanze istruttorie del giudizio di primo grado sono state, tra l’altro, riformulate da B.A. nella comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale del 29 marzo 2011, pertanto, sarebbe erronea la sentenza nella parte in cui ha ritenuto che le prove indicate nella comparsa in appello non potevano assumere rilevanza perchè non erano state coltivate in sede di conclusioni di primo grado come risulta dalla comparsa conclusionale del 14 giugno 2010.

2.1 Il secondo motivo è inammissibile.

La censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale in appello è inammissibile qualora con essa il ricorrente non abbia allegato le ragioni che avrebbero dovuto indurre ad ammettere tale prova, nè adempiere agli oneri di allegazione necessari a individuare la decisività del mezzo istruttorio richiesto.

Nella specie il ricorrente lamenta che l’ammissione della prova testimoniale era stata revocata in primo grado e che il giudice dell’appello ha errato nel ritenerla non coltivata nella comparsa conclusionale del 24 giugno 2020, e, tuttavia, omette di riportare le ragioni che rendono la suddetta prova testimoniale decisiva ai fini della statuizione sulla attribuibilità al P. della firma apposta sulla scrittura privata oggetto del giudizio.

In ogni caso deve darsi continuità al seguente principio di diritto:

“Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” risulti priva di fondamento” (Sez. 6-1, Ord. n. 16214 del 2019)

3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.500 più 200 per esborsi.

4. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 3.500, più 200 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

 

 

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