Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20882 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. II, 30/09/2020, (ud. 26/06/2020, dep. 30/09/2020), n.20882

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4542/2016 R.G. proposto da:

M.F., rappresentato e difeso dall’avv. Maria Gloria Di

Loreto, elettivamente domiciliato in Roma, alla Via della Balduina

n. 289.

– ricorrenti –

contro

COMUNIONE DEGLI EREDI DI I.P., in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Diego Manzo,

elettivamente domiciliata in Roma, alla Via Due Macelli 66, presso

l’avv. Alessandro Lanzi.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n. 3475/2015,

pubblicata in data 24.8.2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 26.6.2020 dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 25 giugno 2002, I.C., Im.Co., I.M. e I.P., quale rappresentante dei minori Ma. e m., nonchè I.F. e G. hanno evocato in giudizio M.F., dinanzi al Tribunale di Napoli, sostenendo che questi si era appropriato – mediante l’apposizione di un cancello – di una strada facente parte di una più ampia consistenza di loro proprietà, sita in (OMISSIS), censita in catasto al fl. (OMISSIS), part. (OMISSIS), fol. (OMISSIS), ed aveva realizzato sull’edificio di cui al mappale (OMISSIS) talune vedute poste a distanza illegale.

Hanno chiesto di ordinare l’eliminazione del cancello, il rilascio della strada e la chiusura delle vedute, con condanna al risarcimento dei danni.

M.F., costituitosi in giudizio, ha resistito alle domande proposte ex adverso, eccependo che l’immobile su cui erano state aperte le vedute (part. (OMISSIS)) era in comproprietà con il coniuge T.A. ed era parte di una più ampia superficie (p.lle (OMISSIS)) che egli aveva posseduto uti dominus per oltre un ventennio e di cui ha chiesto di dichiarare, in via riconvenzionale, l’intervenuto acquisto per usucapione.

Il tribunale ha respinto sia la domanda di rivendica della strada, che la domanda riconvenzionale di usucapione; ha dichiarato l’illegittimità delle vedute aperte dal convenuto, ordinandone la chiusura e regolando le spese.

La sentenza è stata parzialmente riformata in appello.

La Corte napoletana ha annullato la pronuncia limitatamente all’ordine di eliminazione delle vedute e ha disposto la rimessione della causa in primo grado, sostenendo che al giudizio dovesse partecipare anche la moglie del M., contitolare dell’immobile. Ha accolto la domanda di occupazione abusiva e di rilascio della strada, ritenendo raggiunta la prova della proprietà delle part. (OMISSIS) in capo agli appellanti, sia in ragione dell’attenuazione dell’onere probatorio derivante dalla domanda di usucapione del bene, sia in virtù del fatto che lo stesso M. aveva – a sua volta – acquistato dagli attori la part. (OMISSIS).

Ha invece respinto la riconvenzionale di usucapione, rilevando che i testi avevano dichiarato che il cancello era stato apposto solo negli anni 1985-1986 ed osservando che, anche a voler condividere le eccezioni di inattendibilità dei testimoni, non residuava comunque alcuna prova del possesso della strada per oltre un ventennio.

Secondo il giudice d’appello, benchè il fabbricato del M. fosse stato edificato nel 1977 e nonostante la produzione in giudizio dell’autorizzazione comunale rilasciata nel 1980, non vi era prova che la recinzione fosse stata realizzata da oltre un ventennio, poichè la presenza in loco del cancello non era documentata dai rilievi fotografici acquisiti in giudizio e non erano state depositate le planimetrie allegate alla richiesta di concessione.

La cassazione della sentenza è chiesta da M.F. con ricorso in due motivi.

La Comunione degli eredi di I.P. ha depositato controricorso e memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Sono infondate le censure di inammissibilità del ricorso, il cui esame consente di ripercorrere le vicende processuali e di individuare le questioni dibattute, le censure alla sentenza di appello e il risultato pratico cui mira l’impugnazione, non ostandovi la riproduzione integrale, nel corpo del ricorso stesso, del contenuto della decisione impugnata.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia – letteralmente – la violazione degli artt. 102 e 354 c.p.c., nonchè art. 111 Cost., ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 4 e l’erroneità e l’illogicità della motivazione, sostenendo che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di merito, occorreva integrare il contraddittorio nei confronti della T. anche sulle domande di rilascio della strada e di rimozione del cancello, trattandosi di opere di completamento del fabbricato di proprietà comune e quindi imputabili ad entrambi i contitolari, e che anche riguardo alla domanda riconvenzionale di usucapione, si configurava un’ipotesi di litisconsorzio necessario.

Il motivo è infondato.

In primo grado i resistenti avevano proposto sia una negatoria servitutis (per ottenere l’eliminazione delle vedute realizzate sull’immobile in comproprietà dei coniugi M. – T.), sia un’azione di rivendica della striscia di terreno utilizzata come strada, con richiesta di rimozione del cancello e di rilascio della parte occupata, oltre alla condanna al risarcimento del danno.

La partecipazione al giudizio della T., con riferimento alla negatoria servitutis, si rendeva necessaria non già per il fatto che le vedute fossero state realizzate da entrambi i proprietari dell’edificio, ma per eseguire la pronuncia ed eliminare le vedute illegittime realizzate sull’immobile comune, essendo altrimenti la sentenza inutiliter data.

La medesima esigenza non sussisteva – invece – per la definizione delle restanti domande proposte in via principale.

La necessità della partecipazione al processo di tutti i soggetti della situazione sostanziale dedotta in giudizio ricorre unicamente quando, in assenza anche di uno soltanto di essi, la sentenza finisca per risultare inidonea a produrre un qualsiasi effetti giuridico anche nei confronti degli altri.

L’azione di rivendicazione, non inerendo ad un rapporto giuridico plurisoggettivo unico ed inscindibile e non tendendo ad una pronuncia con effetti costitutivi, non introduce un’ipotesi di litisconsorzio necessario, con la conseguenza che essa può essere esercitata anche da uno solo o da taluni dei proprietari (Cass. 685/2011).

Parimenti, come già affermato da questa Corte, nel caso di detenzione del bene che si assuma esercitata senza titolo da più soggetti, l’azione recuperatoria deve ritenersi esperibile nei confronti di uno solo di detti detentori, senza necessità di integrare il contraddittorio nei riguardi degli altri, perchè la pronuncia è idonea a spiegare effetti nel rapporto con la parte evocata in giudizio (Cass. s.u. 2427/1992; Cass. 1044/1995; Cass. 13624/2004).

Difatti, la richiesta di rilascio e di ripristino dello stato dei luoghi tende all’attuazione di un mero obbligo giuridico, cosicchè la domanda può essere proposta anche soltanto contro taluni dei possessori del bene rivendicato, avendo l’effetto pratico di escludere dal compossesso i convenuti, lasciando impregiudicato il diritto del rivendicante di agire separatamente contro coloro che ostacolino l’esecuzione della sentenza (Cass. 24260/2018; Cass. 1011/1962; Cass. 3108/2005; Cass. 1590/1962; Cass. 790/1964; Cass. 4049/1974).

Analogamente, la riconvenzionale di usucapione, avendo a sua volta natura di rivendica, non inerisce ad un rapporto giuridico plurisoggettivo unico ed inscindibile e non tende neppure ad una pronuncia con effetti costitutivi (Cass. 685/2011; Cass. 6697/2002) In tali ipotesi, la fattispecie del litisconsorzio necessario ricorre esclusivamente nel caso in cui la pluralità soggettiva sia rinvenibile dal lato passivo del rapporto, cioè tra coloro in danno dei quali la domanda è diretta, non anche nell’ipotesi in cui essa si riscontri dal lato attivo, atteso che, in tale evenienza, l’azione proposta è diretta a costituire una situazione compatibile con la pretesa che i soggetti non citati in giudizio potranno eventualmente vantare in futuro (Cass. 6163/2003).

2. Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza escluso che il ricorrente avesse recintato la propria costruzione già in data 13.10.1980 allorquando aveva ottenuto la concessione edilizia per realizzare un muro con sovrastante rete metallica, sebbene il rilascio della concessione, nel corso del 1980, fosse circostanza munita di valore presuntivo che, unitamente alla situazione dei luoghi, avrebbe dovuto indurre a ritenere provato il possesso dell’immobile per il tempo necessario alla maturazione dell’usucapione.

Il motivo è infondato.

La sentenza, dopo aver escluso che la prova dell’epoca dell’impossessamento e della chiusura della strada potesse desumersi in via presuntiva dalla data di realizzazione dall’edificio (osservando che il fatto ignoto non appariva conseguenza probabile del fatto noto, poichè “non può ritenersi normale che alcuno, avendo acquistato un terreno ed avendovi costruito, provveda contestualmente, per assunti motivi di sicurezza, a recintare ed interciudere un fondo altrui), ha inoltre rilevato, riguardo al rilascio della concessione a realizzare la recinzione, che, per quanto riferito dai testi, il cancello oggetto di lite era stato realizzato solo nel 19851986, che dai rilievi fotografici non risultava – all’epoca – alcuna recinzione e che nessuna certezza poteva ritenersi acquisita circa il fatto che detta recinzione si identificasse col in cancello oggetto di causa, non essendo state prodotte le planimetrie allegate all’istanza amministrativa.

In definitiva, secondo il giudice distrettuale, non era possibile far coincidere la data di rilascio della concessione a recintare l’immobile con quella in cui era stato realizzato il cancello, data la pluralità di elementi contrari, idonei da inficiare la valenza del fatto oggetto dell’ipotizzata presunzione semplice.

Le conclusioni raggiunte in proposito appaiono incensurabili alla luce del principio per cui compete al giudice di merito la selezione delle circostanze di fatto eventualmente munite di valenza presuntiva, nonchè il potere di ritenere prevalente sulla prova presuntiva eventualmente raggiunta, acquisizioni processuali ulteriori che ne riducano o che la privino di valore processuale.

Non è consentito – in definitiva – censurare la scelta di ricorrere alle presunzioni e la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge (Cass. 3974/2002; Cass. 11530/2002; Cass. 1216/2006; Cass. 5332/2007; Cass. 1234/2019).

Il ricorso è quindi inammissibile, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore dei controricorrenti, pari ad Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4000,00 per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%. Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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