Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2088 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. I, 25/01/2022, (ud. 04/06/2021, dep. 25/01/2022), n.2088

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 11075/2018 r.g. proposto da:

CONSORZIO PER LO SVILUPPO INDUSTRIALE DELLA PROVINCIA DI RIETI, (cod.

fisc. (OMISSIS)), con sede in (OMISSIS) s.n.c., in persona del

Presidente pro tempore F.A., rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata in calce al ricorso, dall’Avvocato

Ermanno Mancini, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via

della Bufalotta n. 174, presso lo studio dell’Avvocato Patrizia

Barlettelli.

– ricorrente –

contro

SAFAB S.R.L., IN LIQUIDAZIONE E CONCORDATO PREVENTIVO (cod. fisc.

(OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), società unipersonale soggetta a

direzione e coordinamento della MDC Partecipazioni s.r.l. in

liquidazione, già SAFAB s.p.a., in persona del liquidatore

rappresentante del patrimonio separato Avv. Simona Capriolo, in

qualità di conferitaria di ramo di azienda della S.A.F.A.B. –

Società Appalti e Forniture per Acquedotti e Bonifiche s.p.a., e

GECOPRE – GENERALE COSTRUZIONI E PREFABBRICAZIONE S.R.L. (cod. fisc.

(OMISSIS)), con sede in (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore Dott. A.F., entrambe

rappresentate e difese, giusta procure speciali allegate al

controricorso, dall’Avvocato Prof. Raffaele Titomanlio, presso il

cui studio elettivamente domiciliano in Roma, alla via Nicolò

Porpora n. 12.

– controricorrenti –

e

GESAFIN S.R.L., (cod. fisc. (OMISSIS)) – incorporante per fusione la

Gesafin Immobiliare s.r.l., già s.p.a., già SAFAB, Società

Appalti e Forniture per Acquedotti e Bonifiche s.p.a. – già con

sede in Roma, alla via dell’Antartide n. 7, ed ora corrente in Roma,

al Viale del Poggio Fiorito n. 27, in persona del legale

rappresentante pro tempore.

– intimata –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO DI ROMA depositata in data

06/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 04/06/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Rieti (d’ora in poi, breviter, Consorzio) impugnò i lodi arbitrali, non definitivo e definitivo, rispettivamente deliberati e sottoscritti in Roma, il 2 dicembre 2008 ed il 14 gennaio 2010, per la risoluzione della controversia insorta tra la GECOPRE s.r.l. (già s.p.a.) – Generale Costruzioni e Prefabbricazione (d’ora in poi, solo GECOPRE s.r.l.), che aveva invocato il riconoscimento dei maggiori oneri derivanti da alcune delle iscritte riserve, il Consorzio medesimo e la SAFAB s.p.a. – Società Appalti e Forniture per Acquedotti e Bonifiche s.p.a., in dipendenza del contratto di appalto del 17 luglio 1990, avente ad oggetto l’esecuzione dei lavori di completamento del (OMISSIS) – Progetto (OMISSIS). Il Consorzio chiese la dichiarazione di nullità, ex art. 827 c.p.c., comma 3 e art. 829 c.p.c., nn. 1), 2) e 4), dei lodi predetti e, in subordine, l’accoglimento dei diversi motivi di gravame specificamente indicati.

1.1. Costituitesi la GECOPRE s.r.l. e la SAFAB s.p.a. – Società Appalti e Forniture per Acquedotti e Bonifiche s.p.a., l’adita Corte di appello di Roma respinse l’impugnazione con sentenza del 6 febbraio 2018, n. 723. In estrema sintesi, e per quanto qui ancora di interesse, quella corte ritenne: i) infondato il primo motivo di impugnazione, concernente la declinatoria della competenza arbitrale, perché il Consorzio l’aveva esercitata oltre il termine di 30 giorni stabilito dal testo originario del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 47; ii) infondato il secondo motivo, riguardante la violazione del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 45, perché il collegio arbitrale si era legittimamente costituito ai sensi del D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 253, comma 34; iii) inammissibile il quarto motivo, in quanto la motivazione del lodo definitivo risultava chiaramente esplicitata, sicché le contestazioni dell’impugnante erano di puro merito; iv) inammissibile il quinto motivo, avente ad oggetto la nullità del lodo definitivo dedotta con riferimento alla nuova normativa di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, in relazione all’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 12), perché inapplicabile ratione temporis. In ogni caso, era infondata la censura ivi proposta sotto il profilo dell’omessa pronuncia su specifiche eccezioni e domande, perché il collegio arbitrale aveva motivato su tutte le questioni dedotte, in alcuni casi espressamente, in altre facendo proprie le osservazioni del c.t.u.; v) infondato il settimo motivo, in quanto l’illegittimità della sospensione dei lavori non fu immediatamente chiara nella sua portata, tanto che la D.L., si riservò un accertamento in merito; vi) infondato il nono motivo, in quanto la natura meramente ricognitiva del verbale di consegna sottoscritto senza riserva non determinava alcuna decadenza; vii) infondato il decimo motivo, valendo quanto detto in ordine al nono, gravando anche la rimozione delle opere interferenti sul committente; viii) infondato l’undicesimo motivo, sia perché, dopo la sospensione, i lavori erano ripresi nell’immediatezza, sia perché, in ogni caso, nessun rilievo aveva mosso il collaudatore nelle trentotto visite di cantiere, sia perché il collegio aveva correttamente provveduto alla liquidazione delle voci di danno; ix) inammissibile il dodicesimo motivo, in quanto le censure avevano avuto ad oggetto una valutazione di merito, sottratta al giudice dell’impugnazione; x) infondato il quattordicesimo motivo, non essendo il diritto dell’appaltatore agli interessi moratori condizionato dalla fatturazione.

2. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso il Consorzio, affidandosi a quattordici motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c.. Hanno resistito, con unico controricorso, la SAFAB s.r.l. in liquidazione e concordato preventivo, in qualità di conferitaria del ramo di azienda della SAFAB s.p.a. – Società Appalti e Forniture per Acquedotti e Bonifiche s.p.a. (per il prosieguo, semplicemente SAFAB s.r.l.), e la GECOPRE s.r.l.. E’ rimasta solo intimata la GESAFIN s.r.l. (incorporante la Gesafin Immobiliare s.r.l., già SAFAB s.p.a. – Società Appalti e Forniture per Acquedotti e Bonifiche s.p.a.).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. In via pregiudiziale rispetto all’esame dei formulati motivi, – che ascrivono alla sentenza impugnata asserite, plurime violazioni di legge e pretesi difetti motivazionali riguardanti la ivi ritenuta applicabilità del D.P.R. n. 1063 del 1962, art. 47, nel suo testo originario; la composizione numerica del collegio arbitrale; la disciplina della iscrizione delle riserve, da parte dell’appaltatore, nell’ipotesi di sospensione dei lavori e la concreta quantificazione del loro importo; il riconosciuto risarcimento dei danni; l’esigibilità del credito per interessi moratori – ritiene il Collegio che, in accoglimento della specifica, dettagliata e motivata eccezione delle controricorrenti, l’odierno ricorso deve essere dichiarato complessivamente inammissibile per diversi ordini di ragioni.

1.1. Anzitutto, va rilevato che, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorso per cassazione deve indicare, in modo chiaro ed esauriente, sia pure non analitico e particolareggiato, i fatti di causa da cui devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, in modo da consentire al giudice di legittimità di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto senza dover ricorrere ad altre fonti ed atti del processo, dovendosi escludere, peraltro, che i motivi, essendo deputati ad esporre gli argomenti difensivi possano ritenersi funzionalmente idonei ad una precisa enucleazione dei fatti di causa (cfr. Cass. n. 24432 del 2020).

1.1.1. Ai fini del rispetto dei limiti contenutistici di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità al dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva, dovendo il ricorrente selezionare i profili di fatto e di diritto della vicenda sub indice posti a fondamento delle doglianze proposte in modo da offrire alla Corte di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 c.p.c.; l’inosservanza di tale dovere pregiudica l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata e, pertanto, comporta la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ponendosi in contrasto con l’obiettivo del processo, volto ad assicurare un’effettiva tutela del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nel rispetto dei principi costituzionali e convenzionali del giusto processo (art. 111 Cost., comma 2 e art. 6 CEDU), senza gravare lo Stato e le parti di oneri processuali superflui (cfr. Cass. 8425/2020).

1.1.2. Per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati causa petendi e petitum, nonché degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perché tanto equivarrebbe a devolvere alla Suprema Corte un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che, invece, è riservata al ricorrente. Il requisito non è adempiuto, pertanto, laddove i motivi di censura si articolino in un’inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, riproduzione di atti e documenti incorporati nel ricorso, argomentazioni delle parti e frammenti di motivazione della sentenza di primo grado (cfr. Cass. 13312/2018).

1.1.3. Nel caso di specie, l'”antefatto processuale”, che dovrebbe contenere l’indicazione dei fatti di causa, si svolge per circa 10 pagine, nelle quali lo svolgimento del processo è limitato alle pp. 4, 6 e 7, nelle quali, peraltro, non vi è la riproduzione – sintetica, ma chiara – delle ragioni giuridiche poste a fondamento delle domande ed eccezioni delle parti, e delle ragioni in diritto delle decisioni degli arbitri e della decisione oggi impugnata. Per il resto, l'”antefatto” consiste nella sostanziale riproduzione della memoria dell’odierno ricorrente, in data 15 marzo 2008, e dell’atto di impugnazione per nullità del lodo. Altri riferimenti ai fatti di causa sono sparsi nei singoli motivi, e talvolta nelle note, rendendo alla Corte ardua e ben poco chiara la ricostruzione dei fatti medesimi.

1.2. Il Consorzio ricorrente, nella nota n. 1) a pag. 4, dichiara che deliberatamente non si è attenuto ai principi – in punto sinteticità del ricorso – “del noto protocollo procedurale in ragione della complessità della vicenda e del notevole numero delle questioni trattate”. Stai di fatto che – a fronte di una sentenza di poco più di venti pagine – il ricorso si snoda per quasi ottanta pagine.

1.2.1. Orbene, in tema di ricorso per cassazione, il mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali che, fissato dall’art. 3, comma 2, del c.p.a., esprime tuttavia un principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, espone il ricorrente al rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, non già per l’irragionevole estensione del ricorso (la quale non è normativamente sanzionata), ma in quanto rischia di pregiudicare l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscura l’esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 4, assistite queste sì – da una sanzione testuale di inammissibilità (cfr. Cass. n. 21297 del 2016; Cass. n. 8009 del 2019; Cass. n. 8425 del 2020).

1.3. La scarsa chiarezza del ricorso, che ne comporta l’inammissibilità per inintelligibilità delle questioni, è – nella specie – aggravata dalla tecnica espositiva adottata, consistita nell’ampia riproduzione ed interpolazione nel testo di stralci di atti difensivi, nonché nella trasposizione – molto spesso – di interi brani di atti e di fatti processuali nelle note, delle quali sono corredati diversi motivi di ricorso. Il tutto con evidenti negative ricadute sulla chiarezza del ricorso.

1.3.1. Senonché, il ricorso per cassazione redatto mediante la giustapposizione di una serie di documenti integralmente riprodotti è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza, il quale postula che l’enunciazione dei motivi e delle relative argomentazioni sia espressa mediante un discorso linguistico organizzato in virtù di un concatenazione sintattica di parole, frasi e periodi, sicché, senza escludere radicalmente che nel contesto dell’atto siano inseriti documenti finalizzati alla migliore comprensione del testo, non può essere demandato all’interprete di ricercarne gli elementi rilevanti all’interno dei menzionati documenti, se del caso ricostruendo una connessione logica tra gli stessi, non esplicitamente affermata dalla parte (cfr. Cass. n. 26837 del 2020).

1.4. I motivi recanti vizio di violazione di legge o di difetto di motivazione si traducono, sovente, nella riproposizione di questioni di merito non consentita in questa sede.

1.4.1. Invero, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (cfr. ex plurimis, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 5987 del 2021), altresì ricordandosi che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo, qui applicabile ratione temporis (risultando impugnata una sentenza depositata il 6 febbraio 2018), modificato dal D.L. D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr. Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono inammissibili le censure che irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (cfr., ex aliis, Cass. n. 4477 del 2021, in motivazione; Cass. n. 395 del 2021, in motivazione; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).

2. In definitiva, l’odierno ricorso va dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità tra le sole parti costituite regolate dal principio di soccombenza, altresì dandosi atto – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del Consorzio ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il Consorzio per lo Sviluppo Industriale della Provincia di Rieti al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 12.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del Consorzio ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

 

 

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