Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20879 del 11/10/2011

Cassazione civile sez. lav., 11/10/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 11/10/2011), n.20879

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25740-2007 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in

carica, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– ricorrente –

C.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CARLO

POMA 2, presso lo studio dell’avvocato ASSENNATO GIUSEPPE SANTE, che

la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8122/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/01/2007 r.g.n. 5793/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/06/2011 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’inammissibilità del primo

motivo e accoglimento del secondo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la sentenza n. 8122/06, depositata il 22 gennaio 2007, la Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento dell’impugnazione proposta da C.G. nei confronti del Ministero dell’economia e finanze, avverso la sentenza del Tribunale di Cassino del 2 ottobre 2001, condannava il suddetto Ministero al ripristino, con decorrenza dal settembre 2002, dell’assegno ordinario di invalidità della L. n. 118 del 1971, ex art. 13 compensando le spese di entrambi i gradi di giudizio.

2. Con ricorso del 7 dicembre 1999, l’assistibile aveva adito il suddetto Tribunale per ottenere la ricostruzione dell’assegno mensile di invalidità, revocato con provvedimento del 21 settembre 1999, a far data dal 5 luglio 1994.

2.1. Il Tribunale aveva rigettato la domanda.

3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre, nei confronti della C., il Ministero dell’economia e delle finanze, prospettando due motivi di ricorso.

4. Resiste con controricorso la C., che ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.

Ad avviso del ricorrente, la C. si era limitata a chiedere l’accertamento del grado di invalidità necessario per ottenere il riconoscimento dell’assegno L. n. 118 del 1971, ex art. 13. In assenza di domanda, quindi, la Corte d’Appello non avrebbe potuto emettere pronuncia di condanna al pagamento dei ratei della provvidenza in questione, se non incorrendo nel vizio di ultrapetizione.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se viola il disposto di cui all’art. 112 c.p.c. la statuizione con la quale venga condannato il Ministero dell’economia e delle finanze all’erogazione dell’assegno di invalidità, quando la parte privata si sia limitata a chiedere il riconoscimento della percentuale invalidante necessario per avere diritto all’assegno in questione.

1.1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato. Osserva il Collegio che è pacifico in giurisprudenza (si v., da ultimo, Cass., sentenza n. 455 del 2011) il principio che il giudice di merito ha il potere – dovere di inquadrare nella esatta disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della contestazione; tale potere incontra peraltro il limite del rispetto dell’ambito delle questioni proposte in modo che siano lasciati immutati il petitum e la causa petendi, senza l’introduzione nel tema controverso di nuovi elementi di fatto.

E pertanto il vizio di ultra o extra petizione ricorre allorchè il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato) ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato).

Ne consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato.

Tale situazione non si è verificata nel caso di specie, ove si osservi che la domanda introduttiva del giudizio aveva ad oggetto la ricostituzione dell’assegno mensile di invalidità, e che, pertanto, la statuizione del giudice di appello relativa al pagamento dei ratei maturati, in ragione del disposto ripristino dello stesso a partire dal 1 settembre 2002, rientra nel bene della vita il cui riconoscimento costituiva oggetto della suddetta domanda giudiziale, in ragione della legittima interpretazione della stessa effettuata dal giudice di merito.

2. Con il secondo motivo di impugnazione è dedotta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130 (art. 360 c.p.c., n. 3).

Assume il ricorrente che alla fattispecie in esame, dal momento che il ricorso introduttivo del giudizio veniva depositato il 9 dicembre 1999, andava applicato il D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130 secondo il quale il soggetto legittimato passivo, dell’erogazione in questione, andava individuato nell’INPS. Veniva formulato il seguente quesito di diritto: se viola il disposto di cui al D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130 la statuizione con la quale il Ministero dell’economia e delle finanze venga condannato all’erogazione dell’assegno di cui alla L. n. 118 de 1971, art. 13 richiesto con ricorso depositato il 9 dicembre 1999.

2.1. Il motivo d’impugnazione è fondato e deve essere accolto.

2.2. Occorre, innanzitutto, precisare che l’oggetto del giudizio non è il provvedimento di revoca dell’assegno, ma la verifica della sussistenza dei requisiti della suddetta prestazione, che, come si è detto, ha dato luogo a pronuncia di accertamento e condanna al pagamento della prestazione, con decorrenza posteriore (di alcuni anni) a quella in cui era stata revocata. In tale caso “la domanda di ripristino della prestazione, al pari di quelle concernenti il diritto ad ottenere per la prima volta prestazioni negate in sede amministrativa, non da luogo ad un’impugnativa del provvedimento amministrativo di revoca, ma riguarda il diritto del cittadino ad ottenere la tutela che la legge gli accordi” (Cass., sentenza n. 4254/09).

2.3. Tanto precisato, deve rilevarsi che la giurisprudenza di questa Corte, in materia di assistenza pubblica, in ragione del D.Lgs. 112 del 1998, art. 130 e della L. n. 448 del 1998, art. 37, comma 5, onchè dell’articolato e complesso quadro normativo di riferimento, con orientamento che si condivide e che si intende ribadire, ha affermato che nelle controversie di assistenza sociale, il citato art. 37, comma 5, nel riconoscere la legittimazione passiva del Ministero dell’economia e delle finanze, ha finito per derogare al principio generale della corrispondenza tra titolare del diritto e soggetto abilitato a farlo valere, introducendo una forma di sostituzione processuale, ex art. 81 c.p.c., dell’obbligato sostanziale che continua a rimanere l’INPS alla stregua del D.Lgs. n. 112 del 1998, art. 130, comma 1. Però, ha, poi, puntualizzato che occorre accedere ad una opzione ermeneutica della L. n. 448 del 1998, art. 37, comma 5, in termini riduttivi, suscettibile pertanto di validare la legittimazione passiva dell’INPS in relazione alla domanda di condanna al pagamento dei ratei della prestazione, oltre alla legittimazione passiva del Ministero in relazione all’accertamento dello stato di invalidità ed al diritto al ripristino della prestazione assistenziale.

Può dirsi, quindi, che, nel regime processuale della L. n. 448 del 1998, art. 37, comma 5 cit., l’accertamento dello stato di invalidità e del diritto alla prestazione (o meglio, del diritto al ripristino della prestazione) va domandato nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, ferma restando però la possibilità, per la parte privata che agisce in giudizio, di chiedere la condanna dell’INPS (soggetto obbligato) al pagamento dei ratei della prestazione stessa. Laddove invece la domanda abbia ad oggetto soltanto la verifica dello stato di invalidità ovvero la legittimità del provvedimento di revoca della prestazione, e quindi miri ad una pronuncia di mero accertamento del diritto alla prestazione, l’unico contraddittore, nel regime processuale introdotto dalla L. n. 448 del 1998, art. 37, comma 5 cit., è il Ministero dell’economia e delle finanze, che in tal caso sta in giudizio anche come sostituto processuale dell’INPS (Cass., sentenza n. 7062 del 2007).

2.4. Nella fattispecie in esame, dunque, la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi laddove ha condannato il Ministero dell’economia e finanze al pagamento dei ratei dell’assegno di invalidità, come ripristinato dalla data innanzi indicata.

2.5. Pertanto, il ricorso va accolto in relazione al secondo motivo d’impugnazione.

2.6. La sentenza della Corte d’Appello di Roma deve essere cassata senza rinvio, non potendo, nella specie, la domanda di condanna al pagamento delle prestazioni, essere proposta nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze.

2.7. Sussistono giusti motivi, in ragione dell’evoluzione normativa che ha interessato la materia in esame, per compensare tra le parti le spese dell’intero processo facendo salve le statuizioni delle spese di consulenza tecnica già poste a carico del Ministero.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo.

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto. Compensa tra le parti le spese dell’intero processo facendo salve le statuizioni delle spese di consulenza tecnica già poste a carico del Ministero.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2011

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