Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20876 del 02/08/2019

Cassazione civile sez. II, 02/08/2019, (ud. 30/11/2018, dep. 02/08/2019), n.20876

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11245-2015 proposto da:

M.F., T.E., MO.RO., elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA ANGELO EMO 106, presso lo studio

dell’avvocato CIRO CASTALDO, rappresentate e difese dall’avvocato

MICHELE BOCCIA;

– ricorrenti –

contro

D.G.V.N., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LAGO TANA, 59, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA MATTIOLI,

rappresentata e difesa dall’avvocato LUIGI AMBROSIO;

– controricorrente –

e contro

MO.RA., MO.LU., MO.AN., C.G.,

U.G., U.C., U.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1071/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 10/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

Rilevato:

che le signore Mo.Ro., M.F. ed T.E. hanno proposto ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Napoli – all’esito di una complessa vicenda processuale che in questa sede non è necessario riepilogare – le ha condannate, insieme con i rispettivi mariti Mo.An., Mo.Lu. e Mo.Ra., nonchè con le sigg.re V. e C.G., ad arretrare le fabbriche insistenti sul loro fondo, in Comune di (OMISSIS), sino alla distanza di 8 metri dalla costruzione insistente sul limitrofo fondo in proprietà dei coniugi D.G.V. e U.L., al contempo rigettando la loro domanda riconvenzionale avente ad oggetto l’abbattimento di un capannone con tettoia in lamiera insistente nel fondo D.G./ U. a distanza inferiore a quella di legge rispetto ad una tettoia insistente nel fondo delle ricorrenti medesime;

che la corte d’appello, premesso che lo strumento urbanistico ratione temporis applicabile prevedeva una distanza minima tra fabbricati di otto metri e non imponeva alcuna distanza minima tra fabbricati e confini, riteneva che il principio di prevenzione – nella specie applicabile – imponesse di accogliere la domanda di arretramento del fabbricato in proprietà Mo./ M./ T., in quanto posteriore al fabbricato D.G./ U., mentre non consentisse di accogliere la domanda di arretramento di un capannone con tettoia in lamiera e ferro in proprietà D.G./ U. posto a distanza inferiore a quella di legge da una tettoia, anch’essa metallica, insistente nella proprietà delle signore Mo., M. e T., non avendo queste ultime dimostrato l’anteriorità della loro tettoia rispetto a detto capannone;

che con il primo motivo, riferito all’art. 360 c.p.c., n. 3, le ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 873 e 875 c.c., nonchè dell’art. 26 del Regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS), in cui la corte di appello sarebbe incorsa ritenendo applicabile nella fattispecie il criterio della prevenzione previsto dagli art. 873 e 875 c.c.; secondo le ricorrenti la corte d’appello avrebbe dovuto applicare il principio giurisprudenziale alla cui stregua la prevenzione non opera quando una norma locale preveda, come nella specie, una distanza minima tra fabbricati superiore a quella prevista dal codice civile, dovendosi in tale previsione ritenersi compreso un implicito riferimento al confine, dal quale chi costruisce per primo dovrebbe osservare una distanza non inferiore alla metà di quella prescritta;

che con il secondo motivo – con il quale si censura il rigetto della domanda di arretramento del capannone in proprietà D.G./ U. fino a distanza legale dalla tettoria delle odierne ricorrenti – queste ultime denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli art. 873 e 875 c.c. e dell’art. 26 del Reg. Ed. del Comune di (OMISSIS), in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo non raggiunta la prova dell’anteriorità della tettoia delle odierne ricorrenti rispetto al suddetto capannone;

che D.G.V. ha depositato controricorso, mentre gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva;

che la causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 30 novembre 2018, per la quale non sono state depositate memorie illustrative;

Ritenuto:

che il primo motivo va disatteso in quanto l’orientamento giurisprudenziale cui fanno riferimento le ricorrenti (sostenuto, tra le altre, da Cass. 4199/07) è stato superato dalle Sezioni Unite di questa Corte, le quali, con la sentenza n. 10318/16, da cui il Collegio non ritiene di doversi discostare, hanno affermato il principio che la prevenzione si applica anche nell’ipotesi in cui il regolamento edilizio locale preveda una distanza tra fabbricati maggiore di quella prevista dall’art. 873 c.c. e, tuttavia, non imponga una distanza minima delle costruzioni dal confine; ciò sul rilievo che la portata integrativa della disposizione regolamentare si estende all’intero impianto codicistico, inclusivo del meccanismo della prevenzione, cosicchè il preveniente conserva la facoltà di costruire sul confine o a distanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni e il prevenuto la facoltà di costruire in appoggio o in aderenza ai sensi degli artt. 874,875 e 877 c.c..

che il secondo motivo va pur esso rigettato in quanto, pur denunciando un vizio di violazione di legge, esso si risolve nella contestazione dell’apprezzamento delle risultanze istruttorie operato dalla corte territoriale, con particolare riferimento sia ad un rilevo aerofotogrammetrico, sia alle considerazioni sviluppate nella relazione del C.T.U. ing. Co. sull’anteriorità della tettoia delle odierne ricorrenti rispetto all’immobile indicato come “fabbricato A” nella stessa relazione, sia, infine, alle fotografie allegate alla relazione del consulente di parte ing. F.;

che pertanto detto secondo motivo censura il giudizio di fatto della corte territoriale, senza, tuttavia, rispettare il paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012;

che, al riguardo, va qui ribadito che, come questa Corte ha più volte affermato (cfr. sent. n. 7972/07), nel giudizio di cassazione la deduzione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito;

che, infatti, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonchè la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, dovendosi ritenere, a tal proposito, che egli non sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (sent. n. 16499/09);

che in definitiva il ricorso va rigettato in relazione ad entrambi i motivi nei quali esso si articola;

che le spese seguono la soccombenza.

che deve altresì darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna le ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000, oltre Euro 200 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2019

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