Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20874 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. II, 30/09/2020, (ud. 25/02/2020, dep. 30/09/2020), n.20874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 4931/2016 R.G. proposto da:

P.M., E P.S., rappresentate e difese dall’avv. Luca

D’ambrogio, e dall’avv. Raffaele Scuderi, domiciliati in Milano, Via

Manara n. 11.

– ricorrenti –

contro

G.R.N., G.R., E GI.RO.,

rappresentati e difesi dall’avv. Vincenza Casale, elettivamente

domiciliati in Roma, Borgo Angelico n. 6.

– ricorrenti in via incidentale –

e

G.G., E C.C..

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2874/2015,

depositata in data 1.7.2015.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 25.2.2020, dal

Consigliere Dott. Giuseppe Fortunato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELENTANO Carmelo, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso principale e di quello incidentale.

uditi gli avv. Raffaele Scudieri e l’avv. Daniela Muratori.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

G.R.N. nonchè R. e Ro., rispettivamente proprietario ed usufruttuari dell’immobile sito (OMISSIS), in catasto al fl. (OMISSIS), mappale n. (OMISSIS), hanno adito il Tribunale di Lecco, chiedendo di dichiarare la costituzione di una servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia o per intervenuta usucapione su un locale, identificato come vano n. 5, in proprietà di P.M. e S., instando, in subordine, per la costituzione coattiva della suddetta servitù.

A fondamento della domanda gli attori hanno dedotto che il loro immobile faceva parte di un orto destinato a pertinenza di una casa colonica; che l’intera consistenza era originariamente in proprietà di G.A. e S., rispettivamente nonno delle convenute e padre degli attori, e che, dopo la morte di G.S., G.R. aveva continuato ad esercitare il passaggio attraverso il predetto locale, il quale, anche nell’atto di provenienza della P., era indicato come “vano di passaggio al piano terra”.

Le convenute si sono costituite, chiedendo in via preliminare la chiamata in causa di G.G. e C.C. (proprietari di immobili limitrofi), eccependo: a) la nullità dei titoli di acquisto degli attori, poichè aventi ad oggetto immobili abusivi; b) l’impossibilità di costituire il passaggio all’interno di uno dei tre vani di cui era costituita l’unità di proprietà della P.; c) la mancanza del requisito dell’apparenza delle opere destinate al transito; d) che il possesso della servitù era stato esercitato per mera tolleranza e in virtù dei vincoli di parentela tra le parti.

Hanno proposto domanda riconvenzionale per far accertare l’insussistenza di servitù sulla porzione di loro proprietà o, in subordine, per ottenere l’imposizione del diritto di passaggio preteso dagli attori su una diversa porzione, previa realizzazione di un sottopasso e con il pagamento di una giusta indennità.

Si sono costituti C.C. e G.G., formulando le medesime richieste avanzate dagli attori.

All’esito, il tribunale ha dichiarato la costituzione della servitù pedonale e carrabile (per i soli mezzi impiegati per il giardinaggio e l’orticoltura) per destinazione del padre di famiglia sul vano n. 5 e su una porzione del viale in stralcio al mappale (OMISSIS), respingendo le riconvenzionali.

La sentenza è stata parzialmente riformata in appello.

La Corte di Milano ha rilevato che l’atto di divisione del 9.1.1959 aveva previsto che il passaggio poteva essere esercitato a termine e con pagamento di un corrispettivo, ritenendo detta pattuizione incompatibile con la volontà di mantenere la condizione di asservimento ed ostativa per la costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia.

Ha invece accolto la domanda di costituzione coattiva della servitù di passaggio attraverso il vano n. 5, ritenendo tale soluzione adeguata in base alle caratteristiche oggettive del locale e alla sua destinazione, ed ha determinato l’indennità in Euro 11.520,00 in favore di P.M. e di Euro 600,00 in favore di P.S., compensando le spese.

Avverso detta decisione propongono ricorso per cassazione P.S. e M. sulla base di 14 motivi.

G.R.N., R. e Ro. hanno depositato controricorso con ricorso incidentale in 5 motivi, illustrati con memoria, cui le ricorrenti principali hanno replicato con controricorso.

Le altre parti sono rimaste intimate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve respingersi l’eccezione di improcedibilità del ricorso. Dall’esame degli atti processuali risulta che l’ultima notifica dell’impugnazione si è perfezionata il 4.2.2016, mentre il successivo deposito è stato eseguito a mezzo spedizione postale, sicchè il ricorso è pervenuto in cancelleria il 24.2.2016, entro il termine di cui all’art. 369 c.p.c..

2. Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la Corte distrettuale omesso di pronunciare sul motivo di appello con cui le ricorrenti avevano eccepito l’impossibilità di costituire la servitù in via coattiva, sostenendo che l’interclusione del fondo era stata cagionata dalla divisione di cui al rogito stipulato il 10.2.2000 e che, quindi, la domanda poteva esser proposta solo nei confronti delle parti del contratto o i loro eredi, ai sensi dell’art. 1054 c.c..

Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 1051 e 1054 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte di merito implicitamente escluso che la servitù potesse essere costituita a carico dei fondi degli altri condividenti a causa del disposto dell’art. 1051 c.c., u.c., norma che esenta dalla costituzione della servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti.

Il terzo motivo denuncia la violazione – sotto altro profilo – degli artt. 1051 e 1954 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza costituito coattivamente la servitù sul vano n. 5, ritenendo che il fondo dominante fosse divenuto intercluso al momento della chiusura del predetto vano, non considerando che, nel periodo intercorrente dalla divisione del 1959 e la successiva divisione del 2000 (tra G.R. e i figli), l’intero immobile (incluso l’appartamento assegnato a G.G. e C.C.) costituiva un’unica proprietà dal quale si giungeva alla via pubblica tramite due porte/finestre poste presso il predetto appartamento e che l’interclusione era stata effetto della divisione, per cui la servitù andava chiesta agli altri condividenti ai sensi dell’art. 1054 c.c..

Il quarto motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte di merito trascurato che il fondo dei resistenti era rimasto intercluso fino alla divisione del 10.2.2000.

I quattro motivi, che, per la loro stretta connessione, vanno esaminati congiuntamente, sono fondati nei termini che seguono. Come è confermato dall’esame degli atti, le ricorrenti avevano contestato (anche in appello) la possibilità di costituire la servitù di passaggio ai sensi dell’art. 1051 c.c., deducendo che: a) la condizione di interclusione era stata determinata dalla divisione dell’unica consistenza immobiliare rimasta in comunione tra i fratelli G.A., dante causa delle ricorrenti, e G.S., dante causa dei resistenti; b) con atto di divisione del 1959 era stato attribuita a G.S. la proprietà della part. (OMISSIS) (attualmente part. N. (OMISSIS)) e che, con successiva divisione del 10.2.2000, detta porzione era pervenuta a G.R., R., G. e Ro., mentre al medesimo G.G. e a C.C. era stato assegnato anche l’appartamento in catasto alla (OMISSIS), che dava accesso alla via pubblica; c) che la situazione d’interclusione era stata creata da tale divisione, per cui il diritto di passaggio doveva esser richiesto agli altri condividenti (o, ai loro aventi causa a titolo universale), ai sensi dell’art. 1054 c.c..

La Corte di merito, affermando che l’interclusione era stata determinata dalla chiusura del vano n. 5 (cfr. sentenza, pag. 7), e non – quindi – dalla divisione del 10.2.2000, ha pronunciato sull’eccezione, avendo implicitamente escluso – con statuizione incompatibile con il riconoscimento della sussistenza dei presupposti applicativi della norma – la possibilità di invocare l’art. 1054 c.c. (Cass. 24155/2017; Cass. 17956/2015; Cass. 20311/2011).

Tuttavia, nel sostenere – da un lato – che l’intera consistenza era appartenuta ad un unico proprietario anche dopo la divisione del 9.1.1959 e – dall’altro – che il fondo degli appellanti in via incidentale non beneficiava di altro diritto di passaggio (essendo rimasto intercluso: cfr. sentenza, pag. 7), il giudice di merito ha individuato proprio nella chiusura di detto vano la causa della situazione di interclusione, ma ammettendo che nessuna servitù era stata costituita per contratto o acquistata per usucapione o destinazione del padre di famiglia (cfr. sentenza, pag. 7).

La situazione di interclusione, quale condizione indispensabile per la costituzione coattiva della servitù di passaggio, poteva però escludersi solo ove fosse stata accertata la costituzione (o comunque la sussistenza) di un diritto (esercitato iure proprietaris o iure successionis) di passaggio idoneo a soddisfare le esigenze del fondo dominante (Cass. 7996/1991; Cass. 4133/1981; Cass. 4060/1975), In altri termini, il fatto che il passaggio fosse stato esercitato solo in via di fatto e per mera tolleranza attraverso il vano n. 5 non valeva a superare la mancanza di un accesso alla via pubblica già in essere al momento della divisione, salvo ad accertare se l’interclusione risalisse alla divisione del 9.1.1959 o a quella del 10.2.2000, compito che va rimesso al giudice del rinvio.

3. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’art. 1051 c.c., comma 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza ritenuto che, per il vano n. 5, non fosse invocabile l’esenzione prevista dell’art. 1051 c.c., u.c. e per aver costituito il passaggio anche su un terreno che costituiva pertinenza dell’abitazione delle ricorrenti o, comunque, su porzioni ad esse attinenti e su cui esse esercitavano l’affaccio.

Il sesto motivo denuncia la violazione dell’art. 1051 c.c., comma 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza erroneamente ritenuto che il vano n. 5 costituisse un immobile autonomo e non fosse, invece, parte di un’unità composta da più locali esentata dalla costituzione della servitù, trascurando inoltre che l’asservimento, per come disposto, avrebbe influito sul pieno e libero godimento dell’intera costruzione.

Il settimo motivo denuncia la contraddittorietà della motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver il giudice di merito ritenuto che il locale n. 5 non fosse qualificabile come casa, pur avendo attribuito detta qualità agli altri vani del medesimo immobile.

L’ottavo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la sentenza omesso di pronunciare sull’eccezione delle ricorrenti concernenti il fatto che il vano asservito costituiva porzione di un’unica unità immobiliare, e per non aver tenuto conto della destinazione, anche potenziale, del vano a servizio della costruzione.

Il nono motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte distrettuale omesso di considerare che il vano n. 5 costituiva parte di una più ampia consistenza immobiliare su cui, ai sensi dell’art. 1051 c.c., non poteva essere costituita la servitù.

Il decimo motivo denuncia l’insuperabile contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza trascurato, nell’individuazione del percorso più opportuno, che il vano n. 5 costituiva parte di una più ampia unità immobiliare e che inoltre, come evidenziato dal c.t.u., il diritto di passaggio poteva essere costituito, in alternativa, su due terreni agricoli di B.A., An. e M.L..

I sei motivi, che vertono sull’applicabilità dell’esenzione di cui dell’art. 1051 c.c., comma 4 e che pertanto vanno esaminati congiuntamente, sono fondati per le ragioni che seguono.

Nel valutare le diverse opzioni prospettate dalla c.t.u., la Corte distrettuale ha escluso che il diritto di passaggio potesse essere costituito sul mappale (OMISSIS) e sul vano n. 4 di proprietà delle ricorrenti, osservando che entrambi gli immobili rientravano nell’esenzione di cui dell’art. 1051 c.c., u.c..

La sentenza ha escluso anche la possibilità di asservire i fondi di B.A., An., e M.L., rilevando che il passaggio sarebbe risultato assai incomodo, esigendo la realizzazione di percorsi lunghi decine di metri, caratterizzati dalla presenza di non trascurabili dislivelli, a fronte del transito attraverso il vano n. 5, “costituito da un percorso di pochi metri, coerente con la situazione esistente da tempo immemorabile”.

Ha infine considerato impraticabile la realizzazione di un passaggio al di sotto del fabbricato per la non riscontrata fattibilità tecnica in relazione alle condizioni di vetustà dell’immobile, per i rilevanti costi di realizzazione oltre che per i disagi che avrebbe arrecato la costruzione dell’opera, a fronte della soluzione prescelta, non comportante alcun costo aggiuntivo.

La servitù è stata – quindi – imposta sul vano n. 5, in quanto inutilizzabile a fini abitativi e perchè specificamente destinato all’esercizio del passaggio secondo le risultanze dei titoli, ma senza conferire il dovuto rilievo al fatto che detto vano era parte di un edificio costituito da altri due locali, uno dei quali – identificato con il n. 4 – ritenuto oggetto dell’esenzione ai sensi dell’art. 1051 c.c., u.c., il che implicava che l’immobile, che li includeva entrambi, costituiva cespite da ritenere tipologicamente esentato, nella sua interezza, dal diritto di transito, non potendosi considerare isolatamente – agli effetti dell’art. 1051 c.c., u.c. – i singoli locali da cui esso era composto e gli effetti che l’asservimento avrebbe quindi prodotto sull’utilizzo dell’intero cespite.

Va evidenziato che l’art. 1051 c.c., nel prescrivere che sono esenti dalla servitù coattiva di passaggio le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse attinenti, non impone una preclusione assoluta, ma contempla solo un criterio di scelta, utilizzabile nei casi in cui le esigenze cui è diretta la servitù siano realizzabili mediante percorsi alternativi, tra i quali deve attribuirsi priorità a quelli non interessanti le suddette consistenze (Cass. 12340/2008).

Detta esenzione è in ogni caso limitata all’ipotesi in cui il proprietario dell’immobile intercluso abbia la possibilità di scegliere tra più fondi attraverso i quali attuare il passaggio (di cui almeno uno non sia costituito da case o dalle relative pertinenze), mentre la disposizione non trova applicazione allorchè, rispettando l’esenzione, l’interclusione non potrebbe essere eliminata, dato che quest’ultima comporta conseguenze ben più penalizzanti rispetto al disagio costituito dal transito attraverso cortili, aie, giardini e simili.

Nel caso concreto, il giudice di merito, oltre a ritenere impraticabili sul piano tecnico talune soluzioni alternative (ad es., la costruzione di un sottopasso), e a riconoscere l’esenzione di cui dell’art. 1051 c.c., u.c., per il mappale (OMISSIS) e per il vano n. 4, ha giudicato più disagevoli le ulteriori opzioni (riguardo, ad es., al terreno di B.A., An. e L.), riconoscendo quantomeno per implicito – che il rispetto dell’esenzione, riguardo al vano n. 5, non avrebbe fatto persistere la situazione di interciusione del fondo dominante, potendosi costituire la servitù con un percorso diverso da quello prescelto.

Nell’individuare il tragitto più opportuno non poteva darsi rilievo alla ridotta estensione e all’inutilizzabilità a fini abitativi del vano n. 5, occorrendo valutare che l’immobile era strutturalmente e funzionalmente integrato nell’unità immobiliare dei ricorrenti, ricompresa nella tipologia contemplata dell’art. 1051 c.c., u.c. (e che ricomprende anche gli immobili a destinazione non abitativa: Cass. 3097/1987), e che quindi la soluzione prescelta era da ritenersi gravosa per esplicita valutazione normativa, data la sussistenza di soluzioni alternative che consentivano di rispettare l’esenzione di legge.

4. L’undicesimo motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la Corte ritenuto erroneamente assorbito il quinto motivo di appello (vertente sulla nullità della consulenza tecnica) per effetto dell’accoglimento del quarto motivo, mentre la censura andava definita nel merito essendo rilevante ai fini della pronuncia sui motivi dell’appello incidentale e ai fini dell’utilizzabilità della consulenza.

Il dodicesimo motivo denuncia la insanabile contraddittorietà della motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver la sentenza costituito la servitù su altra porzione, previa creazione di un sottopasso, avendo valorizzato costi non meglio definiti e generici disagi determinati dalla realizzazione dell’opera, non tenendo conto della gravosità del peso imposto sul vano n. 5.

Il tredicesimo motivo denuncia l’erroneità e l’assoluta contraddittorietà della motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la Corte di merito negato la costituzione della servitù sul vano n. 4 – in proprietà delle ricorrenti – alla luce della preclusione dell’art. 1051 c.c., comma 4, non applicando l’esenzione al vano n. 5, facente parte della medesima unità immobiliare.

Il quattordicesimo motivo denuncia l’omessa, apparente o erronea motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza liquidato l’indennità di asservimento, senza tener conto del deprezzamento arrecato all’intero immobile.

I quattro motivi sono assorbiti, essendo rimesso al giudice del rinvio il riesame delle vicende di causa e il compito di individuare il percorso meno gravoso per il fondo servente, adottando le conseguenti statuizioni attuative e liquidando anche la relativa indennità (se dovuta), attenendosi ai principi di diritto enunciati.

5. Il primo motivo del ricorso incidentale denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 1062 c.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la sentenza escluso che la servitù fosse stata costituita per destinazione del padre di famiglia, trascurando che nell’atto di divisione del 9.1.1959, nella donazione del 29.6.1987, nella compravendita del 16.3.1995 e nelle donazioni del 10.2.2000 e del 27.10.2006, era chiaramente evidenziato che il locale n. 5 era destinato a passaggio, essendo quindi provate l’apparenza delle opere destinate all’esercizio della servitù e la volontà dell’originario proprietario di lasciare le cose nello stato in cui si trovavano al momento della divisione.

Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1062 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la Corte d’appello ritenuto che il requisito dell’apparenza riguardasse non le opere destinate all’esercizio della servitù, ma la stessa sussistenza del diritto di transito, e per aver escluso la costituzione del diritto per destinazione del padre di famiglia per effetto della clausola dell’atto di divisione del 9.1.1959, con cui era stato concesso l’esercizio temporaneo del passaggio dietro pagamento di un corrispettivo, pur trattandosi di volontà non incompatibile con la creazione dell’asservimento ai sensi dell’art. 1062 c.c..

Il terzo motivo denuncia la violazione della L. n. 52 del 1985, artt. 2651, 1470, art. 29, comma 1 bis, nonchè l’omessa motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la sentenza affermato che la missiva con cui il professionista incaricato dai controricorrenti aveva chiesto di formalizzare la servitù presupponeva che il diritto di passaggio non fosse stato costituito ai sensi dell’art. 1062 c.c., trascurando che la stipula del contratto era necessaria solo per la trascrizione e per poter disporre pienamente e liberamente dell’immobile.

I tre motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, sono infondati.

La costituzione della servitù per destinazione del padre di famiglia, richiede, notoriamente, che i fondi dominante e servente siano originariamente in proprietà di un unico titolare e che questi abbia creato, prima della divisione o della vendita, una relazione oggettiva di asservimento, lasciando poi immutato lo stato di fatto. Il diritto sorge – in tal caso – allorquando i fondi cessano di appartenere ad un unico proprietario, se questi nulla abbia disposto relativamente alla servitù.

Tale contraria manifestazione di volontà può rinvenirsi sia in una clausola (della divisione od ella vendita) che escluda espressamente il sorgere del diritto, sia in qualsiasi altra pattuizione il cui contenuto risulti incompatibile con la volontà di lasciare integra ed immutata la situazione di fatto (cfr. Cass. 4872/2018; Cass. 13534/2011; Cass. 6520/2008).

La sussistenza di un’eventuale disposizione incompatibile è rimessa all’accertamento del giudice di merito ed insindacabile in cassazione, se correttamente motivata.

Nello specifico, con motivazione del tutto adeguata, la Corte distrettuale ha negato la sussistenza dei presupposti applicativi dell’art. 1062 c.c., osservando che la clausola dell’atto di divisione del 9.1.1959, con cui era stato concesso a G.S. il diritto temporaneo di passaggio attraverso il vano n. 5 (fino alla cessazione della locazione a terzi di parte degli immobili) costituiva disposizione contraria alla costituzione della servitù ai sensi dell’art. 1062 c.c., posto che, qualora il diritto fosse già sorto, sul medesimo percorso, per destinazione del padre di famiglia, non avrebbe avuto alcun senso prevederne l’esercizio a termine e dietro pagamento di un corrispettivo.

La stessa richiesta, formulata del 2006, di formalizzare la servitù avanzata dai G. è stata intesa – con apprezzamento in fatto meramente confermativa di quanto già evincibile dall’esame del rogito divisionale.

In tale contesto non aveva alcun rilievo che la porzione asservita fosse indicata come vano di passaggio o che sussistessero opere visibili destinate al passaggio, prevalendo – in ogni caso – la volontà di escludere la costituzione del diritto.

6. Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 1, art. 1158 c.c., 1144 c.c. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per aver la sentenza omesso di pronunciare sulla domanda di usucapione della servitù di passaggio sul vano n. 5 e sulla porzione di terreno di cui al catasto fl. (OMISSIS), part. (OMISSIS) e per aver sostenuto che il possesso fosse stato esercitato a titolo di mera detenzione sulla base della clausola dell’atto di divisione del 9.1.1959 e per non aver ammesso le prove volte a dimostrare l’esercizio del transito da epoca risalente, come già risultante dai titoli prodotti in giudizio.

Il motivo è infondato.

Si è detto che la Corte d’appello ha ritenuto che il transito fosse stato esercitato a titolo detenzione, evidenziando che, in forza della clausola dell’atto di divisione, tale esercizio era stato concesso a titolo provvisorio, dietro corrispettivo ed in virtù dei rapporti di parentela intercorrenti tra le parti.

Non solo, quindi, l’aver esplicitamente escluso che la servitù fosse stata usucapita (cfr. sentenza, pag. 7) rende insussistente la denunciata omissione di pronuncia, ma inoltre la decisione appare incensurabile anche laddove ha ritenuto che l’esercizio del transito per un considerevole lasso di tempo – dopo la scadenza della locazione – non integrasse il possesso ad usucapionem, atteso che, per stabilire se un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o altro diritto reale sia stata compiuta con l’altrui tolleranza e sia quindi inidonea all’acquisto del possesso, la lunga durata dell’attività medesima può integrare un elemento presuntivo nel senso dell’esclusione della tolleranza qualora, però, non sussistano tra le parti, come invece nel caso di specie, rapporti di parentela (Cass. 11277/2015; Cass. 13443/2007; Cass. 3255/2009).

E’ in ogni caso rimessa al giudice di merito l’indagine volta a stabilire, alla stregua delle prove acquisite al processo, se determinate attività siano idonee a concretare situazioni tutelabili in sede possessoria, o non lo siano, per esser fondate su un titolo di natura personale ed il relativo apprezzamento è censurabile solo per vizi di motivazione (Cass. 50/1979; Cass. 2119/1973; Cass. 880/1972).

Ravvisata in fatto una situazione di mera detenzione, era necessario, ai fini dell’usucapione, il compimento di atti di interversione, restando irrilevanti l’esercizio del passaggio da tempo risalente (circostanza oggetto delle richieste istruttorie trascritte in ricorso) e anche dopo la scadenza del termine previsto nell’atto di divisione del 2000, configurandosi una mera inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali la detenzione era stata costituita o un abuso della situazione di vantaggio determinata dalla materiale disponibilità del bene, tali da non dar luogo al possesso della servitù (Cass. 26327/2016; Cass. 27411/2019).

Non si configura infine la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè l’omessa pronuncia che determina la nullità della sentenza si configura esclusivamente con riferimento a domande attinenti al merito e non anche in relazione ad istanze istruttorie, per le quali l’omissione è sindacabile soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 13716/2016; Cass. 24830/2017).

Riguardo alla eccepita violazione dell’art. 115 c.p.c., per il fatto che la sentenza non abbia valorizzato i documenti comprovanti che il passaggio era stato esercitato “da sempre”, deve ribadirsi che la norma impone di pronunciare sulla base delle prove ritualmente assunte in giudizio, con divieto del giudice di utilizzare quelle non dedotte dalle parti o acquisite d’ufficio al di fuori dei casi in cui la legge conferisce un potere officioso d’indagine (Cass. 27000/2016; Cass. 13960/2014), senza possibilità di censurare la scelta degli elementi ritenuti utili per sostenere le conclusioni raggiunte in sentenza (Cass. 23940/2017; Cass. 24434/2016).

Neppure si configura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ossia l’esercizio del transito per un notevolissimo lasso di tempo), poichè la Corte ha ritenuto che il passaggio fosse stato esercitato per mera tolleranza e che non si fosse affatto consolidato il possesso ad usucapionem (sentenza, pag. 6), il che è sufficiente ad escludere la violazione denunciata (Cass. s.u. 8053/2014).

7. Il quinto motivo denuncia la violazione degli artt. 1032,1053 e 1054 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che, poichè il vano n. 5 era specificamente destinato a passaggio già nella divisione del 9.1.1959 e poi nei titoli successivi, e poichè, con la chiusura del vano, si era determinata l’interclusione, la costituzione della servitù doveva aver luogo a titolo gratuito e senza corresponsione di alcuna indennità. In ogni caso, sulle somme riconosciute a tale titolo non potevano attribuirsi anche gli interessi dal 18.1.22007 al saldo, posto che l’asservimento era stato costituto con sentenza costitutiva, destinata a produrre effetto solo dal passaggio in giudicato.

Il motivo è fondato nel senso che, come già osservato riguardo ai primi quattro motivi del ricorso principale, la situazione di interclusione non poteva farsi risalire alla chiusura del vano n. 5, essendo ricollegabile alla divisione consensuale dell’originaria proprietà indivisa, allorquando le singole porzioni era rimaste prive di accessi alla via pubblica.

Sarà compito del giudice del rinvio accertare quale dei due atti di

divisione abbia determinato l’interclusione, applicando eventualmente il disposto dell’art. 1054 c.c., comma 1, in presenza degli ulteriori presupposti normativi.

Dall’esito di tale accertamento, dipenderà – infine – il riconoscimento dell’indennità di asservimento, con la decorrenza dei relativi accessori.

Sono quindi accolti i primi dieci motivi del ricorso principale, sono assorbite le altre quattro censure, sono respinti i primi quattro motivi del ricorso incidentale ed è accolto il quinto motivo.

La sentenza impugnata è cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio della causa ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie i primi dieci motivi del ricorso principale dichiara assorbiti gli altri, rigetta i primi quattro motivi del ricorso incidentale ed accoglie il quinto, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Milano, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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