Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20873 del 11/09/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 20873 Anno 2013
Presidente: DI PALMA SALVATORE
Relatore: MACIOCE LUIGI

Cdc 02.07.2013

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18712 del R.G. anno 2012
proposto da:
CANALE Giuseppe dom.to elett.te in Roma Piazzale delle Belle Arti 8
presso l’avv.to Antonino Pellicanò che lo rappresenta e difende per
procura speciale a margine del ricorso

ricorrente-

contro
Comune di Reggio Calabria in persona del Sindaco in carica dom.to
in ROMA, via dei Gracchi 130 presso l’avv. Filippo Neri con l’avv. Paolo
Neri del Foro di Reggio Calabria che lo rappresenta e difende per
controricorrente –

procura a margine del controricorso

Avverso la sentenza n. 116 in data 07.06.2011 della Corte di
Appello di Reggio Calabria ; udita la relazione della causa svolta nella
c.d.c del 02.07.2013 dal Consigliere Dott. Luigi MACIOCE; udito l’avv.
A.Pellicanò; presente il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Sergio Del Core che ha concluso come da relazione.
RILEVA

Il Collegio che il relatore designato nella relazione depositata ex art. 380
bis c.p.c. ha ricostruito la vicenda nel senso di cui appresso.
L’imprenditore Giuseppe Canale, sull’assunto di aver ricevuto incarico dal
Comune di Reggio Calabria di portare a termine lavori suppletivi approvati da delibera comunale 25.07.1984 ed in base a perizia di variante
dell’appalto di manutenzione ordinaria di cui al contratto 2.04.1984 e

1

C-, V, 4-

Data pubblicazione: 11/09/2013

Cr,

premesso di non aver ricevuto il compenso determinato, chiese ed ottenne dal Presidente del Tribunale ingiunzione per il pagamento di lire
48.744.122. L’Amministrazione si oppose ed il Tribunale con sentenza
4.7.1996 revocò l’ingiunzione. La sentenza venne appellata dal Canale,
che propose anche domanda subordinata di ingiustificato arricchimento.
La Corte di Reggio Calabria con sentenza 7.06.2011 ha rigettato
l’appello affermando in motivazione che dalla lettura degli atti emergeva che a seguito della invocata delibera 25.7.1984 non era seguito alcun

retta la decisione del Tribunale di ritenere inesistente alcun titolo per
invocare il compenso dei lavori suppletivi, che la domanda subordinata
di ingiustificato arricchimento era stata proposta solo con l’atto di appello e pertanto era da ritenersi affatto tardiva come affermato dalle SU con
la recente pronunzia, domanda peraltro affatto sfornita del requisito del
riconoscimento della utilitas, che sulla stessa non si era registrata alcuna acquiescenza da parte del Comune che aveva contestato alcuna propria obbligazione. Per la cassazione di tale sentenza il Canale ha proposto ricorso con sette motivi il 19.7.2012 al quale ha opposto difese il
Comune con controricorso del 3.10.2012.
OSSERVA
Il relatore ha proposto il rigetto dei motivi di ricorso. La relazione,
condivisa appieno dal controricorrente Comune, è stata fatta segno a
rilievi critici nella memoria del Canale e ad istanze di differimento e rinvio a p.u. del suo difensore.
Il Collegio, che pienamente condivide la proposta articolata di cui
alla relazione, non ritiene che sussista il necessario consenso del difensore del Comune (non presente alla adunanza) per addivenire al sollecitato rinvio per “trattative” e che la condivisibilità delle articolate proposte del relatore renda non adottabile lal richiesta rimessione alla pubblica udienza (vieppiù considerando come il difensore del Canale abbia espresso tutte le sue difese sia in memoria sia in discussione orale).
Il primo motivo accusa la sentenza di ultrapetizione per avere, a
fronte dell’appello che deduceva la esistenza della delibera autorizzatoria
(non riscontrata dal primo giudice) rilevato la inconferenza della sua
produzione dall’appellante, mancando radicalmente la stipula dell’atto
contrattuale aggiuntivo. Il secondo motivo censura la rilevazione officiosa di tale nullità in difetto della necessaria attivazione del contraddittorio. Se sulla prima questione appare ai Collegio sufficiente ricordare il
recente pronunciato di SU 14828 del 2012 , sulla seconda, afferente il
fatto che la Corte avrebbe posto a base della sua decisione una nullità

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necessario contratto stipulato in forma pubblica, che pertanto era cor-

rilevata d’ufficio senza attivare il contraddittorio delle parti, si rileva che
la censura è infondata. Questa Corte ( Cass. 9702 del 2010, 16612
del 2011, 9958 del 2012) ha affermato che l’omessa segnalazione
alle parti, ad opera del giudice, di una questione rilevabile d’ufficio, sulla
quale si fondi la decisione, determina la nullità della sentenza per lesione del diritto di difesa solo nell’ipotesi in cui la parte prospetti in concreto che sia derivata la violazione del dirftto di chiedere prove o di riottenere la rimessione in termini. Nella specie nulla è dedotto o prospettato

versamente indurre la decisione ma solo nei motivi successivi le difese
vengono articolate come ragioni di contestazione del merito della decisione. Infondata la censura, pertanto, si procede alla disamina delle ragioni di merito.
Il terzo motivo lamenta violazione dell’art. 343 legge 2248/1865 e
dell’art. 13 dPR 1063/1962 per avere la Corte preteso la stipula di nuovo
contratto là dove le dette norme imponevano solo l’atto di sottomissione
alla delibera 25.7.1984 di approvazione della perizia di variante e di richiesta delle ulteriori prestazioni. La censura è errata se pur la sommaria
motivazione della sentenza deve essere. corretta. La sequenza apparentemente attivata dal Comune si è mossa nel solco dell’art. 343 citato ratione temporis applicabile, per il quale non era previsto altro, per
l’appaltatore che aderisse alla richiesta di variante, che un atto di sottomissione in alternativa a nuovo contratto sostitutivo del precedente.
Ma è comunque indiscutibile che l’accordo e l’atto di sottomissione abbiano la natura e la portata di autonomo contratto modificativosostitutivo del precedente (Cass. 8094 del 2000, 13068 del 2003,
12416

del

2004, 10663 del

2011, 11272 del

2012).

Ebbene

nell’articolata narrativa del motivo vi è ampio spazio per la trascrizione
della delibera G.M. 1584/84 e del certificato finale 17.1.1985 ma non vi
è traccia alcuna del necessario atto di sottomissione, la cui assenza, in
un quadro di indispensabile autosufficienza delle censure, ben può costituire quel difetto dell’elemento negoziale che, con errata qualificazione
giuridica, l’impugnata sentenza ha nondimeno rettamente rilevato.
Resta dunque acclarata la sola esistenza di un atto deliberativo dell’Ente
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, in difetto del momento
negoziale a forma pubblica successivo, non è idoneo a fondare pretesa
contrattuale (da ultimo Cass. n. 10299 del 2010 e, tra le altre, Cass.
nn. 14570 del 2004 – 3042 del 2005 – 24296 del 2005 – 17650 del
2007 – 27407 del 2008).
Il quarto motivo denunzia in via subordinata l’errore commesso nel

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nel motivo quale ragione che, sottoposta al giudice, avrebbe potuto di-

non aver liquidato, rispetto al maggior importo libellato, quello inferiore
di C 9.437, comunque ammesso nella delibera 1584/84: la pretesa di
veder riconosciuto un errore nel non avere reinterpretato una delibera,
già prospettata come fondante il diritto al corrispettivo della prestazione,
quantomeno quale fonte di una ricognizione di debito, non ha ingresso in
sede di legittimità.
Il Quinto motivo denunzia la violazione del pre-vigente art. 345
c.p.c. nel non aver ammesso la proposizione di domanda nuova in appel-

nandone la eventuale novità e pertanto rilevandone la indiscutibile proponibilità. La censura sposta sulla questione della ammissibilità in appello della subordinata domanda ex art. 2041 c.c. la diversa ed assorbente
questione, ben decisa dalla sentenza con il pertinente richiamo a S.U.
26128 del 2010, della inammissibilità della domanda dell’opposto a decreto ingiuntivo: nella specie l’impresa ricorrente del Canale, attrice per
ingiunzione, avrebbe avuto modo, alle condizioni indicate dalla appena
citata sentenza, di proporre con la comparsa di risposta la riconvenzionale di arricchimento ingiustificato ma se ciò non ha fatto è incorsa in
decadenza irreversibile e certamente non poteva proporre la stessa domanda per la prima volta nell’atto di appello (come esattamente accertato dalla Corte di merito).
Il sesto motivo invoca i noti arresti delle S.0 di questa Corte in tema
di overruling per affermare che non si sarebbe potuto “punire” con la inammissibilità – in ossequio all’ultima decisione – la Impresa che aveva
fatto affidamento sulla consolidata giurisprudenza afferente la ammissibilità della azione ex art. 2041 c.c. in appello. La censura ad avviso del
Collegio è mal posta, perché la Corte di merito con il richiamo a S.U.
26128 del 2010 ha dimostrato di aver collocato la inammissibilità nel
terreno della improponibilità della domanda da parte del ricorrente per
d.i., su titolo contrattuale; la censura, dall’altro canto, invoca in modo
non pertinente le pronunzie sulla overruling posto che questa Corte (SU
15144 del 2011 e 17402 del 2012) hanno rammentato che la “sorpresa” non consentita, perché collidente con un legittimo affidamento della
parte, si ha quando la Cassazione procede ad una repentina, inattesa e
non preannunziata svolta. E pare appena il caso di rammentare che la
statuizione di SU 26128/2010 è maturata in sede di

composizione di

contrasto quale segnalato dalla ordinanza interlocutoria 1/2010, e quindi
in presenza di diffuse, contrastanti, decisioni e di ampli dibattiti dottrinari.

4

lo nel mentre il giudicante avrebbe dovuto esaminarla nel merito, scruti-

•-•

Il settimo motivo lamenta, ove superata la questione di inammissibilità, che la Corte abbia negato ingresso alla subordinata della quale sussistevano i requisiti (il riconoscimento della utilitas essendo implicito nella emissione del certificato di collaudo). La censura – lo si afferma per
copmpletezza stante la confermata inammissibilità – non ha fondamento
sol che si consideri come l’emissione del detto certificato, ed a monte di
quello di liquidazione dello stato finale, non provengono dall’organo autorizzato a riconoscere la utilità dei lavori chiesti e resi extracontratto,

giudice del merito alla stregua dei principii rammentati da questa Corte,
tra le tante, con Cass.

3322

e

24626

del

2010

(principii dei quali la

Corte di merito alle ultime righe di pag. 4 ha mostrato piena consapevolezza).
Va dunque rigettato il ricorso e va disposta condanna del ricorrente
alla refusione delle spese (secondo il valore della lite) in favore del Comune.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a versare al contro ricorrente
Comune, per spese del giudizio, la somma di C 2.700 (C 200 per esborsi)
oltre a IVA e CPA.
Così deciso nella c.d.c. del 2.07.2013.

difettando dunque la debita ricognizione della utilitas che è imposta al

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