Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 2087 del 25/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 25/01/2022, (ud. 28/10/2021, dep. 25/01/2022), n.2087

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22313-2016 proposto da:

N.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BERENGARIO SNC,

presso lo studio dell’avvocato ELIA CURSARO, rappresentata e difesa

dagli avvocati ADELE RITORTO, TERESA CHIODO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 309/2016 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 15/03/2016 R.G.N. 477/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/10/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 15 marzo 2016, riformava la sentenza del Tribunale di Locri e, per l’effetto, respingeva la domanda proposta da N.M., dipendente del MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA (in prosieguo: MIUR) per l’accertamento del proprio diritto alla ripetizione della trattenuta operata dal datore di lavoro a decorrere dall’1 gennaio 2011, pari al 2,5% dell’80% della retribuzione lorda mensile.

2. In via pregiudiziale, la Corte territoriale respingeva la eccezione di inammissibilità dell’atto di appello del MIUR opposta dall’appellata, osservando che il ricorso in appello si discostava solo formalmente dal modello suggerito dal D.L. n. 83 del 2012, essendo impossibile isolare una parte di sentenza da riformare allorché l’impugnazione riguardasse, come nella fattispecie di causa, la ricostruzione in diritto posta a base della decisione. Nel ricorso erano indicate le circostanze dalle quali sarebbero emersi gli errori in diritto e la loro rilevanza.

3. Inoltre, il divieto di nova in appello non riguardava le mere difese in diritto ma piuttosto la allegazione di nuovi fatti e di eccezioni in senso stretto; nella specie le argomentazioni del MIUR erano mere difese, miranti a sollecitare la applicazione della legge, cui il giudicante era tenuto d’ufficio. Tale sollecitazione ben poteva essere compiuta con la citazione di intere parti della motivazione di altri provvedimenti giurisdizionali.

4. Nel merito, precisava essere pacifico che la lavoratrice era in regime di TFR. La ritenuta costituiva dunque una misura dettata per mantenere parità di retribuzione fra i soggetti in regime di TFR e quelli in regime di TFS.

5. In particolare, la L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 5, nel prevedere la applicazione ai dipendenti pubblici del regime del TFR, aveva demandato alla contrattazione collettiva ed ad un D.P.C.M. le modalità di attuazione.

6. La successiva L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, aveva fissato per l’emanando D.P.C.M. il criterio della invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici.

7. L’accordo quadro del 29 luglio 1999 aveva previsto l’applicazione del regime del TFR ai dipendenti assunti dopo l’entrata in vigore del D.P.C.M. ed a coloro che, assunti prima, avessero esercitato la relativa opzione, con applicazione della stessa aliquota stabilita per il settore privato (6,91% della retribuzione base) e soppressione della rivalsa del 2,5% prevista per il TFS.

8. Per rispettare il criterio della invarianza della retribuzione l’accordo (art. 6, comma 2) aveva stabilito di ridurre la retribuzione lorda in misura pari al contributo soppresso (con incremento figurativo in pari misura ai fini previdenziali e dell’applicazione delle norme sul TFR nonché ad ogni fine contrattuale ed agli effetti della determinazione della massa salariale per i contratti collettivi).

9. Il criterio era stato recepito dal D.P.C.M. 20 dicembre 1999.

10. Pertanto, il 2,5% oggetto di causa non era un contributo previdenziale ma una perequazione della retribuzione, che esulava dalla ratio della dichiarazione di incostituzionalità della L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 10.

11. L’apparenza della natura previdenziale della trattenuta era stata ingenerata da un errore dei codici indicati sulla busta paga, successivamente corretto con una dicitura più appropriata.

12. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza N.M., articolato in sei motivi di censura, notificato al MIUR, che è rimasto intimato, presso la avvocatura distrettuale dello Stato di Reggio Calabria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e mancata applicazione del D.L. n. 83 del 2012, conv. con mod. in L. n. 134 del 2012, in relazione all’art. 342 c.p.c., ed all’art. 348-bis c.p.c., censurando il rigetto della eccezione di inammissibilità dell’appello del MIUR nonostante l’accertamento, compiuto nella sentenza impugnata, del mancato rispetto nell’atto di impugnazione dello schema formale di cui al D.L. n. 83 del 2012.

2. Il motivo è infondato.

3. Le Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto del (OMISSIS) n. (OMISSIS) hanno chiarito che la riforma del 2012, lungi dallo sconvolgere i tradizionali connotati dell’atto di appello, ha recepito le indicazioni già fornite in epoca precedente da questo giudice di legittimità; ciò che il nuovo testo dei citati artt. 342 e 434, esige è che le questioni e i punti contestati della sentenza impugnata siano chiaramente enucleati e con essi le relative doglianze. In sostanza, nell’atto di appello deve affiancarsi alla parte volitiva una parte argomentativa, che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice. Tutto ciò senza che all’appellante sia richiesto il rispetto di particolari forme sacramentali o comunque vincolate né la redazione di un progetto alternativo di decisione.

4. A tali criteri si è attenuto il giudice dell’appello, dando rilievo al fatto che la contestazione svolta in appello era relativa a tutta la ricostruzione in diritto posta a base della sentenza impugnata e che erano indicate le ragioni che sorreggevano la denuncia dell’errore di diritto.

5. Con la seconda critica si denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c., Si assume che l’atto di appello introduceva nuove eccezioni in senso stretto e si censura il decisum per aver ammesso che la sollecitazione ad applicare la legge possa avvenire riportando la motivazione di altre sentenze.

6. Il motivo è inammissibile nella parte in cui genericamente afferma che l’atto di appello conteneva nuove eccezioni in senso stretto, senza individuare quali eccezioni sarebbero state introdotte nel secondo grado e quale rilevanza decisiva avrebbero avuto nella decisione impugnata.

7. Va peraltro ribadito in questa sede il principio, già enunciato da Cass. SU 3 febbraio 1998 n. 1099, secondo cui sono eccezioni in senso stretto soltanto quelle che per legge sono rilevabili esclusivamente ad istanza di parte e quelle corrispondenti alla titolarità di una azione costitutiva.

8. Nel resto, la censura è all’evidenza infondata; la deduzione di questioni di mero diritto non è soggetta ad alcun onere di forma, giacché è compito esclusivo del giudice individuare le norme di diritto applicabili.

9. Con il terzo mezzo la parte ricorrente ha impugnato la sentenza per violazione e/o mancata applicazione del D.L. n. 78 del 2010, e dell’art. 2120 c.c., nonché per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., imputando al giudice dell’appello di non essersi pronunciato sulla domanda proposta ai sensi del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 10, ancor prima della dichiarazione di incostituzionalità della norma.

10. Il motivo è infondato.

11. La Corte territoriale si è pronunciata sulla domanda proposta, respingendola; la individuazione delle norme di diritto applicabili in causa, -sulla base degli elementi di fatto allegati e delle conclusioni formulate dall’attore- non rientra, invece, nel potere di disposizione delle parti ma è compito esclusivo del giudice.

12. Con il quarto mezzo si denuncia la errata interpretazione delle sentenze della Corte Costituzionale n. 223/2012 e n. 244/2018 e la mancata attuazione dei principi nelle stesse contenuti.

13. La quinta critica è proposta sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 38 Cost.; si assume che la trattenuta del 2,5% oggetto della domanda di accertamento negativo costituirebbe una violazione dei precetti costituzionali.

14. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.

15. Questa Corte si è già pronunciata su analoghi ricorsi proposti da dipendenti del MIUR con le ordinanze 17 settembre 2019 n. 23115; 8 ottobre 2019 n. 25171; 11 ottobre 2019, n.25678; 25 ottobre 2019, n. 27383. Ai principi ivi affermati si intende assicurare in questa sede continuità.

16. Come correttamente evidenziato dal giudice dell’appello occorre distinguere:

– la trattenuta a carico del dipendente operata per il finanziamento della indennità di buonuscita, ai sensi del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 37, comma 1, (pari al 2,5% della base contributiva della buonuscita).

– la riduzione della retribuzione prevista dal D.P.C.M. 20 dicembre 1999, art. 1, commi 3 e 4 (egualmente pari al 2,5% della base contributiva della buonuscita).

TRATTENUTA PER IL FINANZIAMENTO DELLA BUONUSCITA

17. La indennità di buonuscita è finanziata mediante un contributo pari al 9,60% dell’80% della retribuzione utile a tal fine (base contributiva): il 7,10% è a carico del datore di lavoro, il 2,50% è trattenuto dalla retribuzione del lavoratore.

18. Il D.L. n. 78 del 2010, convertito in L. n. 122 del 2010, aveva previsto, all’art. 12, comma 10, l’applicazione generalizzata a decorrere dall’1 gennaio 2011, dell’art. 2120 c.c., ai trattamenti di fine servizio dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, comunque denominati, che non fossero già regolati da tale regime; l’accantonamento complessivo non sarebbe stato più calcolato in misura del 9,60% sull’80% della retribuzione, bensì in misura al 6,91% dell’intera retribuzione. Successivamente la Corte Costituzionale, con sentenza n. 223 del 2012, dichiarò l’illegittimità costituzionale di tale articolo nella parte in cui non escludeva l’applicazione a carico del dipendente della rivalsa pari al 2,50% della base contributiva.

19. Allo scopo di evitare l’aggravio di spesa che sarebbe scaturito dalla decisione della Consulta, il legislatore disponeva, dapprima con il D.L. n. 185 del 2012, non convertito, poi con la L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 98, contenente disposizioni per l’attuazione della sentenza della Corte Costituzionale, l’abrogazione del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 10, a decorrere dall’1.1.2011.

20. L’abrogazione ha determinato, di fatto, il ripristino della normativa previgente; pertanto, il contributo previdenziale sulla retribuzione contributiva utile rimane dovuto per i dipendenti statali in regime di buonuscita anche per il periodo successivo al 31 dicembre 2010.

RIDUZIONE DELLA RETRIBUZIONE IN MISURA DEL 2,5%

21. I dipendenti pubblici in regime di TFR non sono mai stati destinatari della norma del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 10, dichiarata illegittima.

22. Ad essi si applica, invece, la disciplina contenuta nella L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, e nel D.P.C.M. 20 dicembre 1999.

23. La norma della L. n. 448 ha delegato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri previsto per l’introduzione del TFR nel pubblico impiego (L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, commi 6 e 7) a definire, tra l’altro, per il personale che opta per la trasformazione dell’indennità di fine servizio in trattamento di fine rapporto, gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva “ferma restando l’invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici”.

24. Il D.P.C.M. (D.P.C.M. 20 dicembre 1999), art. 1, comma 2, ha escluso per i dipendenti che passano dal pregresso regime del trattamento di fine servizio, comunque denominato, al TFR l’applicazione del contributo previdenziale obbligatorio nella misura del 2,5 per cento sulla base contributiva (previsto per la buonuscita dal D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, art. 37); tanto al fine di garantire la coerenza interna della disciplina del TFR, escludendo che continuassero a trovare applicazione discipline che non si giustificano nel sistema di cui all’art. 2120 c.c..

25. Tale soppressione avrebbe determinato un aumento della retribuzione complessiva netta, in contrasto con la regola di invarianza fissata dalla L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19; per questa ragione, il D.P.C.M. ha disposto, con il successivo art. 1, comma 3, una riduzione della retribuzione lorda in misura pari al contributo previdenziale obbligatorio soppresso (poi recuperata attraverso un corrispondente incremento figurativo ai fini previdenziali e dell’applicazione delle norme sul trattamento di fine rapporto).

26. La medesima riduzione è stata disposta, infine, dall’art. 1, comma 4, per i dipendenti soggetti ab initio al regime del TFR, in quanto assunti dal giorno successivo alla entrata in vigore del D.P.C.M.. In questo caso la riduzione rispondeva, come si legge nell’incipit dello stesso comma 4, ad esigenze di parità del trattamento retributivo giacché ove essa non si fosse operata l’effetto sarebbe stato quello di corrispondere ai dipendenti assunti in origine in regime di TFR una retribuzione complessiva netta superiore a quella di tutti gli altri dipendenti.

27. In sintesi, lavoratori in regime di TFR, non subiscono una ritenuta, in senso tecnico, del 2,5% della retribuzione lorda (calcolata sull’80% della retribuzione utile ai fini della buonuscita) bensì una riduzione, in pari misura, della retribuzione.

28. Il regime esposto è stato ritenuto costituzionalmente legittimo dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 22 novembre 2017 n. 213.

29. Tanto premesso in punto di diritto, per quanto accertato nella sentenza impugnata, la parte ricorrente era nel periodo di causa in regime di TFR; non vi è stata dunque contribuzione del 2,5% ma riduzione della retribuzione.

30. La decisione assunta appare pertanto immune dalle censure che le sono state mosse.

31. Il sesto motivo torna a denunciare l’omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., per non avere la Corte di merito pronunciato sulla contestazione circa la esistenza del principio, invocato dal MIUR appellante, della necessità di mantenere invariata la retribuzione.

32. Il motivo è infondato. Il vizio di omissione di pronuncia è configurabile se nella sentenza impugnata non sia stato esaminato un motivo di appello, o una domanda o un’eccezione che solo la parte può proporre (e che sia stata proposta o riproposta ritualmente) e non anche una mera difesa, quale quella di cui si denuncia il mancato esame.

33. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

34. Tale conclusione esime, per il principio della durata ragionevole del giudizio, dal disporre la rinnovazione della notificazione alla Presidenza della Regione Sicilia presso l’Avvocatura generale, stante la nullità della notifica eseguita presso l’Avvocatura distrettuale (sul principio, ex alias, Cass. 13/01/2021, n. 394; Cass. 26/11/2020, n. 26997; Cass. n. 6924/2020).

35. Non vi è luogo a provvedere sulle spese.

36. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1-quater) della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 28 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022

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