Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20868 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. un., 30/09/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 30/09/2020), n.20868

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16156/2019 proposto da:

EREDI H.A., indicatisi come rappresentati dal figlio coerede e

in proprio H.M.; J.W.; J.E.;

V.E.W.J., V.E.W.K., dichiaratasi successore

per donazione da V.E.V.W., rispettivamente

comproprietari ed in qualità di aventi causa del defunto già

ricorrente V.E.A., e di K.W.;

G.R.; J.D.; P.B., in qualità di avente causa della

precedente proprietaria W.R.; B.E.;

BL.OT.; tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CASSIODORO 19,

presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CALO’, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SERGIO DRAGOGNA;

– ricorrenti –

contro

PROVINCIA ATUTONOMA DI TRENTO, in persona del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL VIMINALE 43, presso lo

studio dell’avvocato LIVIA LORENZONI, rappresentata e difesa dagli

avvocati NICOLO’ PEDRAZZOLI, MAURIZIO DALLA SERRA e LUDOVICO MARCO

BENVENUTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 54/2019 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE

PUBBLICHE, depositata il 04/02/2019.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso, se non inammissibile;

uditi gli avvocati Maurizio Calò e Giorgio Vasi per delega

dell’avvocato Ludovico Marco Benvenuti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Per il riconoscimento della loro proprietà su alcune porzioni di suolo (e connesse opere pertinenziali, quali darsene, scalette e scivoli), contigue al lago di Caldonazzo (TN) ed intavolate alla Provincia autonoma di Trento, i signori H.A., J.W. ed E., V.E.W.J. e V., G.R., J.D., P.B., Pa.Si., B.E. e Bl.Ot. adirono, con ricorso notificato il 28/09/2004 alla Provincia autonoma di Trento, il Tribunale regionale delle acque pubbliche presso la Corte d’appello di Venezia; in particolare, costoro si dichiarano oggi titolari o contitolari di diritti reali sui seguenti immobili intavolati al c.c. di Caldonazzo: lo H. sulle pp.ed. (OMISSIS); J.W. ed E. sulle pp.ed. (OMISSIS); i V.E.W. sulle pp.ed. (OMISSIS); il G. sulle pp.ed. (OMISSIS); J.D. sulle pp.ed. (OMISSIS); il B. della p.f. (OMISSIS) e della p.ed. (OMISSIS); il Bl. della p.f. (OMISSIS) e della p.ed. (OMISSIS); dal canto suo, la P. allega il diritto di proprietà sulla p.ed. (OMISSIS) c.c. Tenna (TN).

2. Gli attori contestarono la Delib. Giunta Provinciale n. 9274 del 1979, con cui era stato accertato, a loro svantaggio, il limite del demanio idrico lacuale, indicandone la linea a monte delle aree rivierasche su cui erano state realizzate le costruzioni: ritenendola annullata con sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche n. 16 del 23/05/1983 – il ricorso avverso la quale era stato respinto da Cass. Sez. U. n. 2002/88 – e lamentando che illegittimamente sulla base di quella erano state malamente respinte pure le istanze di sanatoria edilizia delle costruzioni abusive da loro realizzate.

3. All’esito delle operazioni di consulenza tecnica di ufficio protrattesi per anni, la causa fu definita in primo grado dall’adito tribunale regionale, che respinse la domanda con sentenza n. 1293 del 03/06/2016, in sostanziale adesione alle conclusioni raggiunte dal c.t.u., che aveva riconosciuto la linea reale della piena ordinaria del lago come corrispondente a quella – elaborata nel 1999 su nuovo incarico della Giunta provinciale – derivata dall’applicazione della Delib. del 1979, siccome l’alveo lacuale era stato, negli anni Cinquanta, più esteso di quello attuale, vedendo diminuita la propria estensione soltanto a causa di interventi antropici; specificamente argomentando nel senso della realizzazione di maggiori superfici disponibili, quanto alle particelle per cui era causa, dalla sistemazione in piano del terreno resa possibile dalla costruzione in prossimità della riva di un muro di sostegno di modesta altezza e dalla realizzazione della strada statale (OMISSIS) tra gli anni Sessanta e Settanta e di contigui piccoli spazi di riporti di terreno (cui si prestavano i materiali di risulta provenienti dalla costruzione della strada o dalla realizzazione di strutture di contenimento della stessa verso monte) per l’esigenza di collocarvi piccoli edifici.

4. Avverso la sentenza di primo grado gli attori (indicati nell’intestazione della qui gravata sentenza in: H.A., J.W., J.E., V.E.J.W., V.E.V.W., G.R., J.D., P.B., Pa.Si., B.E., Bl.Ot.), proposero appello al Tribunale superiore delle acque pubbliche, insistendo affinchè il limite demaniale fosse accertato conformemente ai confini fissati nella Delib. Provinciale del 1976, se del caso disposta nuova c.t.u. od ammesse le attività istruttorie sollecitate.

5. I complessi motivi posti a base del gravame sarebbero stati così esposti dalla qui gravata sentenza:

– erroneità della mancata applicazione della Delib. Giunta Provinciale 9 gennaio 1976, che aveva disposto la configurazione del limite mediante l’apposizione di capisaldi di livellazione: confine quindi malamente non preso in considerazione dal c.t.u., nè dalla sentenza impugnata;

– nullità delle operazioni del consulente tecnico, per omissione delle indagini demandategli con ordinanza del 16/05/2013, con particolare riferimento all’acquisizione presso l’Anas del rilievo dello stato dei luoghi eseguito in vista della costruzione della strada statale (OMISSIS);

– difetto di istruttoria sulla valutazione batimetrica, anche mediante ecoscandaglio, al fine di accertare la natura orografica della riva antistante i fondi degli appellanti: per erronea qualificazione di tardività della relativa istanza, nonostante la possibilità, con essa, di smentire l’assunto di controparte circa gli intervenuti sversamenti di materiali nel lago da parte dei proprietari rivieraschi;

– travisamento delle osservazioni del consulente tecnico di parte attrice quanto al livello della strada pubblica rispetto all’acqua, come pure della pronuncia del Consiglio di Stato n. 4641 del 2013, di rigetto della domanda di condono edilizio proposta da parte di un terzo proprietario rivierasco;

– violazione dell’art. 195 c.p.c., comma 3 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, sul rilievo che la c.t.u. avrebbe avuto carattere sommario e si sarebbe basata sul solo recepimento dei dati tecnici forniti dalla Provincia, senza considerare le argomentazioni dei consulenti di parte attrice.

6. La Provincia autonoma contestò l’ammissibilità dell’appello del B. e dei V.E., per avere costoro dato espressamente atto della demanialità delle aree in precedenti istanze, nonchè della P., per avere ella già chiesto di essere estromessa dal processo per l’erroneità della sua inclusione nell’elenco dei ricorrenti; dedusse avere le controparti rinunciato alla domanda di pagamento dell’indennità di occupazione per l’indisponibilità giuridica delle porzioni dei fondi rimasti indebitamente intavolate in favore della Provincia; e contestò analiticamente i numerosi motivi di appello, opponendosi ad ogni ulteriore istanza od attività istruttoria.

7. Acquisito il fascicolo di primo grado, l’adito Tribunale superiore rigettò l’appello, in base alla seguente ricostruzione dei fatti di causa:

– dopo il trasferimento dei beni del demanio idrico statale alle Province autonome, la Giunta della Provincia autonoma di Trento, con Delib. 9 gennaio 1976, n. 77, aveva individuato il limite della zona demaniale lacuale del lago di Caldonazzo a quota m 448,92 sul livello del mare, così recependo la quota di piena già fissata dallo Stato con D.M. Lavori Pubblici 16 dicembre 1967, n. 729;

– con Delib. 26 novembre 1976, n. 10062, peraltro, la Giunta provinciale aveva affidato ad una ditta specializzata l’incarico di individuare la superficie demaniale del lago e il suo confine verso terra, in relazione alla situazione reale esistente, in presenza di imbonimenti realizzati negli anni ‘50 e ‘60;

– a seguito degli accertamenti erano stati apposti capisaldi di rilevazione nel corso dell’anno 1977, avendo il tecnico incaricato (con elaborato tecnico pubblicato sul bollettino ufficiale regionale) pure evidenziato che, in mancanza degli imbonimenti, la superficie del lago sarebbe stata certamente più ampia;

– con Delib. Giunta Provinciale 19 ottobre 1979, n. 9274, poi, si era delimitata la superficie del lago in relazione alla già indicata linea di quota di m 448,92, autorizzando il Presidente della Giunta a dar corso alle operazioni catastali e tavolari correlative;

– in tale ultima Delib. si era evidenziato che esistevano aree intavolate a favore di privati e poste al di sotto della quota demaniale, oltre ad aree facenti parte del lago ma sottratte alla superficie idrica tramite riporti abusivi di materiali, con costruzione di edifici abusivi;

– in conseguenza di ciò, la Provincia aveva ottenuto l’iscrizione tavolare delle particelle che individuavano come demaniali quelle porzioni, già estensione del lago, qualificate abusivamente imbonite e oggetto di contenzioso;

– con sentenza 28/05/1983, il Tribunale superiore delle acque pubbliche aveva accolto il ricorso proposto dal Comune di Calceranica, riferito al territorio dello stesso, rilevando un difetto di motivazione della Delib. n. 9274 del 1979, in relazione alla mancata estensione della demanialità alla spiaggia: sentenza divenuta definitiva a seguito di Cass. Sez. U. 28/04/1989, n. 2002;

– nel corso della vicenda processuale, la Giunta provinciale, con Delib. 10 aprile 1998, n. 3760, aveva dato esecuzione alla sentenza del T.s.a.p. in relazione alla definizione dei confini del lago con riferimento all’area interessata dalle sole contestazioni del Comune di Calceranica;

– nel contempo, una serie di privati, tra cui anche gli appellanti, avevano presentato istanze di condono edilizio per le costruzioni abusivamente realizzate sulle rive del lago;

– con Delib. Giunta Provinciale 13 ottobre 1995, n. 11403, quindi, erano stati fissati i criteri di valutazione per la definizione agevolata della violazioni edilizie, prevedendo l’insanabilità dei fabbricati realizzati sul demanio idrico provinciale o ad una distanza compresa tra 0 e 4 m dalla linea di piena ordinaria del lago;

– a seguito dell’adozione dei suddetti criteri per la sanatoria, la Provincia aveva assunto la Delib. 26 marzo 1999, n. 2099, ai fini della procedura di condono, dando incarico a un tecnico di individuare il confine fra le aree demaniali e quelle private;

– pure all’esito di tali accertamenti si era evidenziato un andamento della proprietà demaniale irregolare, derivante dalla modificazione nel tempo delle rive in seguito a riporti di terreno abusivamente effettuati da parte di privati;

– i provvedimenti di rigetto delle istanze di condono edilizio, ritenute non assentibili in base ai criteri previsti dalla già richiamata Delib. n. 11403 del 1995, erano stati impugnati dagli interessati di fronte al giudice amministrativo, che aveva rigettato i ricorsi.

8. Sulla base di tale ricostruzione, la qui gravata sentenza tralasciando per la maggiore liquidità dell’infondatezza nel merito le preliminari questioni sulla stessa ammissibilità del gravame di alcuni degli appellanti o per l’intervenuta rinuncia all’indennità di occupazione – dei motivi di appello ritenne infondati:

– il primo, derivando la qui contestata intavolazione dalla Delib. di delimitazione n. 9274 del 1979, impugnata sì ed annullata dal Tribunale superiore con la sua sentenza del 1982, ma limitatamente ai confini del Comune di Calceranica (secondo quanto già riconosciuto dal medesimo Tribunale con sentenza n. 57 del 2014) e mai prima di allora contestata dagli appellanti: con conseguente superamento della Delib. della Giunta provinciale del 1976, quanto alla concreta perimetrazione, in forza della successiva Delib. del 1979, del tutto legittima con riferimento alle aree oggetto del presente procedimento, presa a riferimento dall’espletata consulenza tecnica di ufficio;

– il secondo, in quanto era stata riscontrata l’impossibilità di rinvenire la documentazione sollecitata dagli attori (il rilievo dello stato dei luoghi eseguito in vista della costruzione della strada statale (OMISSIS)) e condivisa l’inattendibilità dell’alternativa ipotesi ricostruttiva del suo contenuto elaborata dagli attori, per incongruità con la stessa situazione esistente, messa in luce dall’ausiliario;

– il terzo, per essere stata disattesa l’istanza istruttoria di valutazione batimetrica, con verifica mediante ecoscandaglio e finalizzata all’accertamento della natura orografica della riva antistante i fondi degli appellanti, in quanto qualificata esplorativa e dilatoria, non potendo il dato batimetrico da solo fornire informazioni tali da inficiare le conclusioni del c.t.u. circa l’effettiva modificazione dello stato dei luoghi, per avere la costruzione della strada statale n. (OMISSIS) prodotto quantità di massi e rocce non più verificabili nell’attualità;

– il quarto, dovendo disattendersi le contrarie conclusioni del consulente di parte degli attori, in quanto meramente ipotetiche ed immotivate, vista l’erroneità della loro prospettiva di applicazione della Delib. del 1976 e la conseguente irrilevanza della sentenza n. 4641 del 2013 del Consiglio di Stato, sul rigetto della domanda di condono edilizio proposta da parte di diverso proprietario rivierasco;

– quello di violazione dell’art. 195 c.p.c., comma 3 e dell’art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, poichè la c.t.u. espletata aveva avuto carattere tutt’altro che sommario, essendosi svolta in un lungo periodo di tempo ed essendosi dato spazio – anche ben oltre il necessario – a prospettazioni difensive meramente ipotetiche sulle supposte cause del mutamento della quota del lago: risultando infatti, dall’esame della sentenza di primo grado e dell’elaborato tecnico, che tanto il Tribunale regionale quanto il c.t.u. avevano tenuto ampiamente conto delle plurime ed articolate osservazioni svolte dai consulenti di parte, confutandone in modo puntuale tesi e conclusioni.

9. Per la cassazione della sentenza del Tribunale superiore, pubblicata il 04/02/2019 col n. 54 e della quale risulta soltanto la formale comunicazione del dispositivo da parte della cancelleria di quell’ufficio addì 19/04/2019, ricorrono, con atto avviato per la notifica il 18/05/2019, i signori H.M., dichiarando di agire in proprio e quale coerede nonchè in rappresentanza degli altri coeredi del defunto H.A., J.W. ed E., V.E.W.J., V.E.W.K. nella dichiarata qualità di successore per donazione di V.E.W.V. ed aventi causa dal defunto già ricorrente V.E.A. e da K.W., G.R., J.D., P.B., B.E. e Bl.Ot..

10. Resiste con controricorso la Provincia Autonoma di Trento; e, per la pubblica udienza di discussione del 22/09/2020, i ricorrenti e la controricorrente Provincia autonoma di Trento depositano memoria. Ragioni della decisione

1. Va preliminarmente esaminata la legitimatio ad processum dei ricorrenti, corrispondendo a consolidata giurisprudenza di legittimità (Cass. 11/04/2017, n. 9250; Cass. ord. 23/11/2016, n. 23880; Cass. 02/03/2016, n. 4116; Cass. 17/07/2013, n. 17470; Cass. Sez. U. 25/02/2009, n. 4468; Cass. Sez. U. 18/05/2006, n. 11650; Cass. 07/03/1996, n. 1815; Cass. 18/06/1985, n. 3675; Cass. 09/02/1977, n. 588) il seguente principio di diritto: “il soggetto che abbia proposto impugnazione con ricorso per cassazione nella dedotta qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma è tenuto, altresì ed a maggior ragione quando gli intimati non abbiano svolto attività difensiva dinanzi alla Corte di cassazione, ad indicarne specificamente in ricorso il titolo ed a fornirne la prova con riscontri documentali, la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio, è rilevabile d’ufficio”.

2. Può iniziarsi da H.M., che dichiara di agire in proprio e quale coerede, ma pure come rappresentante degli altri coeredi, di H.A., indicando essere costui mancato ai vivi il 17/02/2018; e, senza dare in ricorso idoneamente atto di quale documentazione si produca al riguardo, si allega solo un certificato di morte, per di più in lingua tedesca: ma un tale documento, al di là dell’evidente dirimente dubbio di ammissibilità per la lingua in cui è redatto, rimane del tutto inidoneo al fine di provare sia la qualità di erede in capo al ricorrente, sia quella di suo rappresentante degli altri coeredi.

3. Ancora, quanto a V.E.W.K., nella sentenza impugnata non vi è traccia di lei, figurandovi appellanti W.v.E.J. e W.v.E.V., ma non si rileva in ricorso espressa od adeguata menzione del titolo di successione e tanto meno in atti, se non altro con rituale produzione, alcuna prova dell’addotta sua successione per donazione a V.E.W.V..

4. In conclusione, dato pure atto che, degli originari appellanti, non risulta tra i ricorrenti Pa.Si., il ricorso è irritualmente proposto da H.M. – in proprio e nella predicata qualità – e V.E.W.K. e, quanto a tali apparenti ricorrenti, ne va dichiarata la conseguente inammissibilità: con conseguente definitività, per questo solo fatto, della gravata sentenza quanto allo H., al V.E.W.V. ed al Pa., estranei al processo i sedicenti successori dei primi due.

5. Ciò posto, la struttura del ricorso impone di riprodurre testualmente le rubriche dei motivi formulati, come appresso:

5.1. primo motivo: “Violazione del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 200, comma 1, lett. a) e b) e comma 2 (TU sulle acque), secondo i seguenti profili da trattarsi in mezzo unico e congiunto di impugnativa in quanto connessi salvo trattazione e valutazione disgiuntiva da parte dell’ecc.ma Corte:

a) violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 1), per difetto di giurisdizione e subordinatamente dell’art. 112 c.p.c., per ultra petizione rispetto ai provvedimenti amministrativi di delimitazione del demanio idrico già emessi, definitivi e non revocati o modificati e di competenza dell’Autorità amministrativa; e in ogni caso violazione della L.P. 8 luglio 1976, n. 18, art. 4, comma 1, per non aver accertato e dichiarato che i limiti di proprietà del demanio idrico provinciale era già stata effettuata dall’amministrazione provinciale con le delibere e le operazioni anche di restituzione cartografica del 1976 e di cui al successivo profilo b);

b) violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 2), 3) e 5), per violazione e falsa applicazione del T.U. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, lett. b) c) e d) e violazione della norma sulla competenza speciale dei Tribunali delle Acque pubbliche e per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 5) e per erronea applicazione del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, lett. b) e art. 167, n. 4 Testo Unico Acque e del R.D. n. 726 del 1895, artt. 2, 3, nonchè dell’art. 5 (L.P. Tn sulle Acque) e art. 950 c.c., dovendosi accertare in via preliminare assorbente la definitività della linea di confine del demanio idrico secondo quanto già deciso in via amministrativa dalla Giunta prov. di Trento con Delib. 9 gennaio 1976, n. 77 (lago di Caldonazzo – determinazione del limite della zona demaniale delle acque del lago la quota 448,92 s.l.m.) e Delib. 26 novembre 1976, n. 10062 (affidamento a tecnico esterno (studio L.) dell’incarico di delimitazione del demanio idrico con posa in opera dei pilastrini, delle relative operazioni, redazione e consegna e degli elaborati cartografici alla Provincia, conformi al “disciplinare 11 facente parte integrante della Delib. n. 10062) in attuazione della predetta quota ufficiale 448,92 s.l. m. stabilita con D.M. LLP n. 729 del 16.12.1967 che avevano approvato la confinazione del “limite del demanio idraulico” – del lago di Caldonazzo (sulla linea blu L.), operazioni e delibere mai annullate, modificate o revocate nella competente sede amministrativa come pur anticipato fin dal 1977 (cfr supra punto f) pag. 11); e per carenza assoluta di motivazione sia della sentenza Tsap qui impugnata sia Trap appellata su tale punto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti avente carattere pregiudiziale, assorbente e decisorio, preclusivo alle stesse indagini di accertamento tecnico con ctu esterno al Tribunale speciale senza motivare sulle “eccezionali ragioni” per il conferimento di incarico di consulenza esterna al Tribunale”;

c) violazione e falsa applicazione dell’art. 822 c.c. e del R.D. 1 dicembre 1895, n. 726, artt. 2), 3) e 4) e della L.P. 8 luglio 1976, n. 18, art. 5, per omessa motivazione sul rigetto della domanda di accertamento della estraneità delle proprietà rivierasche degli attori ricorrenti alla linea del demanio idrico esistente e definito dalle operazioni dagli atti e documenti definitivi, pubblicati e corrispondenti alla oggi esistente linea materiale di apposizione dei termini ufficiali PAT apposti nel 1976 secondo la cosiddetta recepita e accettata dai proprietari confinanti “linee blu” delle cartografie L. stabilita ai sensi della L.P. sulle acque 8 luglio 1976, n. 18, art. 5, commi 3 e segg., secondo quanto richiamato il profilo di censura di cui al precedente punto b); e in ogni caso;

d) per omesso accertamento e con disconoscimento di demanialità idraulica originaria e attuale delle superfici di proprietà dei ricorrenti come identificate – anche nelle premesse di fatto della domanda originaria al Trap – e nelle conclusioni avanti al Tsap e ricomprese tra la linea cippata L. (del 1976) e la linea di preteso adeguamento su dati catastali Dacas (1998) ai soli effetti di altra procedura amministrativa in sede urbanistica (condono edilizio) e pendenti avanti al Giudice amministrativo e per la negatoria di intestazioni catastali e tavolari di demanialità lacuale relativa a dette superfici esterne al delineato confine attuativo delle piene ordinarie previo accertamento che le originarie p.f. 5525 c.c. Caldonazzo risultavano sottoposte a regime di proprietà privata sulla base della previgente legislazione austro-ungarica (signor G.T.) superfici riconosciute dalla stessa Amministrazione provinciale convenuta ricomprese nell'”alveo” del lago di Caldonazzo;

e) violazione e falsa applicazione dell’art. 950 c.c., richiamato dal R.D. 1 dicembre 1895, n. 726, art. 3, per aver la sentenza del Trap, confermata dalla qui impugnata decisione del Tsap, applicato in via esclusiva il criterio meramente residuale di dati catastali posto a base della ricostruzione unilaterale di cui alla linea Dacas pretesa dalla convenuta Amministrazione che estende – in base a asserite risultanze delle mappe catastali storiche – il limite demaniale del lago per oltre 12.000 mq complessivi sulla riva est del lago (tra cui le frazioni dei lotti di proprietà dei ricorrenti) comprendendovi una fascia ulteriore comunque da sempre esterna al corpo idrico del lago di Caldonazzo, facendo ricorso a “dati catastali”, meramente residuale pur in presenza di ulteriori prove documentali e logiche (costituite e costituende) di per sè sufficienti al giudizio tecnico di accoglimento della domanda negatoria della demanialità idrica (cartografie del Museo di storia naturale di Trento) nonchè delle prove compiutamente formulate tra cui l’accertamento con ecoscandaglio della immutabilità fisica della riva naturale dei lotti attorei confinanti con lo specchio d’acqua, erroneamente e illogicamente non ammesse con le impugnate sentenze del Trap e del Tsap che attraverso la ricostruzione del “fatto” si privilegia l’argomento di pretesi e indimostrati “imbonimenti” imputati a riporti del materiale di risulta Anas in sede di costruzione del tratto litoraneo sovrastante della 5547 assertamente ritenuti idonei a produrre modificazioni artificiali della riva e del limite del demanio lacuale originario rigettando prove, tempestivamente formulate dagli attori nel corso dell’istruttoria Trap e immotivatamente disattese in primo e secondo grado; (con rinvio anche ai successivi motivi n. 2, n. 3 e n. 4 del presente ricorso);

– violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per mancanza assoluta di motivazione sul 1 motivo del ricorso di appello al Tsap nel testo riprodotto e riproposto nel “fatto” della qui restaurata narrativa sullo svolgimento del processo di primo grado, al punto 7 (pag. 31 e 32) del presente atto, cui si fa rinvio con istanza di riproposizione”;

– integrandosi il motivo in esame dalle precisazioni contro la ricostruzione in fatto storico-documentale di cui al punto 5.1 della sentenza per la quale si rinvia a quanto già dedotto e contestato sopra nella narrativa di fatto e svolgimento del processo sub p. 1, 2, 3, 4, 5 e 6″;

5.2. in via gradata:

– secondo motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360, nn. 2 e 3, del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, lett. b) e art. 167, n. 4 Testo Unico Acque per nullità dell’accertamento eseguito dal consulente tecnico in violazione dei limiti di legge e di mandato per la omessa prosecuzione delle indagini specificamente deputategli dall’ordinanza collegiale del Trap 02-16.05.2013 di parziale rinnovo istruttorio e dal quesito conferitogli 11.06.2015 dal Cons. Del. mediante accesso ed acquisizione presso il deposito – archivio Anas di Bolzano o altro archivio Anas segnalato di accertato deposito del progetto esecutivo e degli atti di collaudo della 5547 tratto Levico-Tenna al fine di rinvenire e acquisire della necessariamente redatta “sezione longitudinale”; e per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per omesso e corretto esame del motivo n. 2 di appello; per omesso insufficiente e contraddittoria motivazione al punto 5.2. sul 2 motivo di appello in violazione di legge e di procedura censurate come sopra”;

– terzo motivo: “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per falsa applicazione del R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, lett. b) e art. 167, n. 4 Testo Unico Acque per omessa e travisata motivazione sul motivo 3 dell’atto di appello (devoluto) in ordine alla mancata conclusione istruttoria/peritale mediante la richiesta acquisizione degli altri elementi necessari al giudizio fattualmente concludenti, e tempestivamente istanziati fin dal 2005 in violazione dell’ordinanza collegiale Trap 2-16 maggio 2013 ivi compresa la omessa valutazione batimetrica da integrare con accertamento mediante ecoscandaglio della documentazione depositata e proposta della pubblicazione del Museo naturale Trentino in ordine alla natura orografica della riva antistante i fondi degli appellanti (-39 mt. al sottostante fondale del lago di Caldonazzo); e per motivazione erronea, contraddittoria ed omissiva; e per violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per omesso e corretto esame del motivo n. 3 di appello essendovi stata omessa insufficiente e contraddittoria motivazione al punto 5.3. per la violazione di legge e di procedura censurata come sopra e nelle precedenti censure di specifica violazione di legge di cui al motivo 1”;

– quarto motivo: “Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 1), 2) e 5), in relazione al R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 140, lett. b) e art. 167, n. 4, Testo Unico Acque per omessa, irragionevole e travisata valutazione delle osservazioni del ctp in ordine al livello della strada pubblica p.f. (OMISSIS) considerata dalla ctu a pelo dell’acqua senza aver tenuto conto del “rilevato stradale” necessario alla agibilità della strada rispetto all’eventuale livello della piena ordinaria (almeno + 1,00 mt.); (erronea motivazione con riferimento a valutazioni e accertamenti della linea di piena eseguiti in sede giurisdizionale incompetente (vedi sentenza del Consiglio di Stato sez. VIA 18.09.2013 n. 4641)”: accolto)”;

– quinto motivo: “Violazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 4) e dell’art. 195 c.p.c., comma 3, per nullità delle operazioni peritali e accelerazione della fase conclusiva del processo con termini inesigibili e in violazione dell’art. 6 della Convenzione Cedu ed abuso di diritto essendosi formato giudizio sommario basato esclusivamente su relazioni amministrative dell’Autorità idraulica provinciale attraverso recepimento di argomentazioni tecniche del ctp della parte pubblica in dichiarata volontà di osservare la direttiva Strasburgo 15 sull’accelerazione dei processi, escludendo pregiudizialmente e immotivatamente le conclusioni e argomentazioni del ctp degli appellanti, non esaminate dal ctu ed esplicitamente espunte dalla appellata sentenza; violazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 195 c.p.c., comma 3, nelle operazioni di deposito del supplemento della consulenza; e per omessa motivazione sul 5 motivo di appello sovrariproposto”.

6. A dispetto dello sviluppo delle stesse rubriche, articolate su sintassi e paratassi di complessità inusualmente intricata, la questione enucleabile dalla ridondante esposizione di ragioni di fatto e di diritto può adeguatamente riassumersi nella contestazione della reiezione della pretesa degli originari attori di escludere la demanialità di alcune zone di terreno che invece sono state, prima dalla Provincia e poi dalla stessa c.t.u., riconosciute rientranti nel demanio lacuale in base all’individuazione della linea ordinaria di piena del lago, comprendendo all’interno di essa anche porzioni emerse solo a seguito di interventi antropici, quali la sistemazione in piano del terreno resa possibile dall’erezione in prossimità della riva di un muro di sostegno di modesta altezza e dai riporti di terreno derivanti dalla realizzazione della strada statale (OMISSIS) tra gli anni Sessanta e Settanta.

7. In estrema sintesi, il Tribunale superiore, nella qui gravata sentenza, ha escluso che potesse giovare agli originari attori la Delib. del 1976, in quanto superata in concreto da quella del 1979, la quale ha dato luogo ad una delimitazione che, pur prendendo a base il normalmente residuale dato delle risultanze catastali, ha compreso nella linea ordinaria di piena i presumibili mutamenti dei luoghi dovuti ad interventi antropici; ed ha avvalorato al riguardo le conclusioni del consulente tecnico di ufficio, che non è riuscito, incolpevolmente, ad acquisire i disegni ANAS per la realizzazione di una strada lungo la costa, indicati dagli attori quale prova dell’effettivo libero andamento della linea di quota, a sua volta elemento meramente ipotetico o comunque presuntivo per escludere la ricostruzione operata al netto degli interventi antropici.

8. Va ricordato che il demanio lacuale, analogamente a quello marittimo, comprende l’alveo, cioè l’estensione che viene coperta dal bacino idrico con le piene ordinarie, e la spiaggia, vale a dire quei terreni contigui lasciati scoperti dalle acque nel loro volume ordinario, che risultano necessari e strumentali al soddisfacimento delle esigenze della collettività di accesso, sosta e transito (per trasporto, diporto, esercizio della pesca ecc.); e che, a tal fine, l’alveo deve essere determinato con riferimento alle piene ordinarie allo sbocco del lago e, quindi, mediante dati emergenti da rilevamenti costanti nel tempo, i quali siano idonei ad identificare la normale capacità del bacino idrografico, al di fuori di perturbamenti provocati da cause eccezionali e senza tener conto delle opere antropiche realizzate su detti terreni, le quali rimangono acquisite al demanio per accessione una volta accertata la demanialità dell’area su cui siano sorte (in tali esatti termini, v. Cass. Sez. U. 13/11/2012, n. 19703; sulla prima parte, v. anche Cass. Sez. U. 18/05/2015, n. 10089).

9. Va pure ricordato che è inammissibile l’impugnazione con cui si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 18/12/2015, n. 26831; Cass. Sez. U., 08/05/2017, n. 11141, p. 6 delle ragioni della decisione; Cass. Sez. U. 09/08/2018, n. 20685), poichè la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione: sicchè non può lamentarsi un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione del diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 18/12/2015, n. 26831); o, in altri termini, in virtù del generale principio di diritto processuale, elaborato da questa Corte (Cass. 22/02/2016, n. 3432; Cass. 24/09/2015, n. 18394; Cass. 16/12/2014, n. 26450; Cass. 13/05/2014, n. 10327; Cass. 22/04/2013, n. 9722; Cass. 19/02/2013, n. 4020; Cass. 14/11/2012, n. 19992; Cass. 23/07/2012, n. 12804; Cass. 09/03/2012, n. 3712; Cass. 12/09/2011, n. 18635; Cass. Sez. U. 19/07/2011, n. 15763; Cass. 21/02/2008, n. 4435; Cass. 13/07/2007, n. 15678), per il quale nessuno ha diritto al rispetto delle regole del processo in quanto tali, ma solo se, appunto in dipendenza della loro violazione, ha subito un concreto pregiudizio.

10. Ciò posto, l’intera complessa vicenda si risolve in un accertamento di fatto sulla precisa ricostruzione della linea di piena ordinaria del lago di Caldonazzo, fissata in linea generale a m. 448,92 sul livello del mare, quale sarebbe stata senza gli interventi antropici specificamente individuati dalla Provincia.

11. E’ allora nel suo complesso infondato il primo motivo, sotto ognuno degli articolati profili esposti, ad iniziare dalla doglianza di violazione di norme in tema di giurisdizione o di competenza e di ultrapetizione: infatti, ognuna delle delibere di Giunta provinciale è stata presa in considerazione per valutare, comparandone la portata, il fatto storico dell’intervenuta ricostruzione dell’andamento della linea ordinaria di piena depurata degli interventi antropici individuati sui luoghi; quegli atti e soprattutto le specifiche attività di concreta delimitazione che ne sono seguite rilevano quindi nel presente giudizio sostanzialmente petitorio quali presupposti e non in via immediata e diretta, in quanto tali autonomamente sottoposti a verifica ed avvalorati dall’autonomo percorso motivazionale tecnico dell’ausiliario del giudice.

12. Il tribunale specializzato non si è quindi ingerito di quelle delibere (essendo sul punto comunque munito di giurisdizione, a tutto concedere nella composizione di cui all’art. 143 del t.u. acque, ma senza che risulti tempestivamente ed in questi specifici termini sollevata o prospettata la questione, tanto da restare definitivamente ed irrimediabilmente preclusa in questa sede), solo rilevando per di più che la Delib. del 1979 andava ritenuta come di implicita revoca di quella del 1976, sia per evidente incompatibilità, sia, soprattutto, basandosi la più recente sul corretto presupposto di diritto della necessità di includere nel demanio lacuale anche le porzioni di immobili derivanti da interventi antropici.

13. A stretto rigore, poi, ulteriore ragione di inammissibilità della censura qui esaminata riposa nel fatto che neppure è contestata la specifica ratio decidendi della qui gravata sentenza, circa la vincolatività della Delib. del 1979, per difetto di impugnazione ad opera degli odierni ricorrenti e per non estensione a loro dell’effetto dell’annullamento derivato dalla precedente pronuncia del medesimo Tribunale superiore del 1983: seconda conclusione del resto conforme a diritto, per la peculiarità del giudicato amministrativo erga omnes e la carenza di idonei ed adeguati elementi, in ricorso e a dispetto della profusione di argomenti in fatto e in diritto, da cui poter desumere con la dovuta affidabilità se e fino a qual punto quello possa essere esteso anche agli odierni ricorrenti.

14. Il secondo profilo del primo motivo di ricorso è del pari infondato, oltre che per ragioni sostanzialmente sovrapponibili, anche perchè non deriva alcuna nullità dall’espletamento di una consulenza tecnica di ufficio, questa essendo consentita anche nel rito delle acque di cui al R.D. n. 1775 del 1933, sia pur con meno intensa discrezionalità rispetto al giudizio ordinario: il cui concreto espletamento sfugge di per sè a qualsiasi sindacato di legittimità, a maggior ragione ove neppure si adduca quale pregiudizio possa avere risentito il diritto di difesa dall’espletamento della c.t.u. quale mezzo di integrazione del materiale istruttorio, anche soltanto se in luogo di altri procedimenti di contenuto o finalità analoga previsti da quel rito, ma pur sempre in via alternativa e mai esclusiva di quelli ordinari.

15. Ancora, è tutt’altro che carente – nè affetta dai soli gravissimi vizi soli rilevanti dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come individuati a partire da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014 – la motivazione del Tribunale superiore sul rigetto della domanda di accertamento dell’estraneità delle proprietà attoree, avendo la gravata sentenza, almeno in sede di rigetto del primo e del terzo motivo di appello, argomentato per la piena affidabilità della diversa demarcazione in base ad una linea di piena ordinaria integrata dalle porzioni di immobili risultanti da interventi antropici.

16. Nè vi è alcuna omissione, avendo avuto l’accertamento luogo in base agli atti ed ai criteri di cui alla Delib. del 1979 ed essendo stato espressamente e condivisibilmente indicato che la loro definitività derivava dalla non estensione dell’annullamento del 1983 (riferito ad altro tratto della sponda lacuale, diverso da quello per cui era causa), nonchè dall’irrilevanza degli altri elementi precedenti, tra cui quelli ricavati dal catasto austroungarico, in una comparazione evidentemente fattuale e, in quanto tale e poichè scevra dai manifesti gravissimi vizi logici o giuridici soli rilevanti dopo la novella dell’art. 360 c.p.c., n. 5, insuscettibile di sindacato nella presente sede di legittimità.

17. Inoltre, benchè residuale, il dato catastale è risultato in concreto l’unico applicabile ed affidabile, per la valutazione di irrilevanza della ricognizione provvisoria del 1976: valutazione del tutto corretta in diritto per non avere detta ricognizione tenuto conto degli interventi antropici ed essersi limitata alla constatazione dell’esistente, anzichè tener presente pure gli altri ed aggiornati elementi, precostituiti o costituendi, nonchè per l’impraticabilità di altri mezzi di ricostruzione degli elementi utili alla decisione.

18. Una tale valutazione è qui insindacabile, in quanto eminentemente di merito, attesa l’implicita ragione del tempo remoto di formazione di alcuni o del carattere esplorativo e perfino non decisivo di altri: come nel caso della ricostruzione dell’andamento della sezione a monte della riva all’atto della realizzazione della strada statale, riguardo alla quale si specifica che il dato batimetrico non avrebbe potuto da solo fornire informazioni tali da inficiare le conclusioni del c.t.u. in ordine all’effettiva modificazione dello stato dei luoghi, per avere la costruzione della strada statale n. (OMISSIS) prodotto quantità di massi e rocce non più verificabili nell’attualità; con la conseguenza che l’ecoscandaglio non darebbe la prova dell’assoluta impossibilità di riporti o imbonimenti o altre immutazioni antropiche; e, comunque, essendo normalmente vietato il ricorso alla c.d. praesumptio de praesumpto o, in ogni caso, irrilevante ai fini della normativa sulle presunzioni un fatto a sua volta ipotetico.

19. Nessuna omessa pronuncia sarebbe, neppure in tesi, ammissibile: infatti, in materia di impugnazioni di sentenze rese dal Tribunale superiore delle acque pubbliche in grado di appello, la rettificazione prevista dall’art. 517, nn. da 4 a 6, del c.p.c. 1865, richiamata dal R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 204 cpv. (rimedio concesso quando la sentenza “abbia pronunciato su cosa non domandata” – dell’art. 517 c.p.c., n. 4 del 1865, “abbia aggiudicato più di quello ch’era domandato” – del medesimo art. 517, n. 5 – ovvero “abbia omesso di pronunciare sopra alcuno dei capi della domanda stati dedotti per conclusione speciale…” – n. 6 di detta disposizione -), comporta l’identificazione dell’oggetto dell’impugnazione nel vizio di ultra, infra od extrapetizione come elaborato anche successivamente nel vigore dell’art. 112 c.p.c., del 1942; peraltro, poichè la rettificazione è ammessa in via alternativa e mutuamente esclusiva col ricorso per cassazione (per pluridecennale giurisprudenza di legittimità; da ultimo, v. Cass. Sez. U. 09/01/2020, n. 157), essa non è ammissibile se non nel caso in cui l’omissione lamentata integri una totale pretermissione della domanda o dell’eccezione, derivante dalla radicale carenza di considerazione di argomenti anche con l’una o con l’altra incompatibile ed alla stregua dei quali ricostruire appunto una pronuncia implicita o per assorbimento: dovendo, in mancanza di tali caratteristiche, risolversi in altro dei vizi di ricorso per cassazione, ove – beninteso – ne ricorrano i presupposti specifici ed altrimenti restando irrilevante.

20. Tanto esime dal rilievo che alcuna omessa pronuncia sarebbe comunque qui configurabile, poichè è esauriente la motivazione sul merito della controversia, anche sulla necessità di prendere a riferimento le operazioni basate sugli atti amministrativi del 1979 e non su quelli del 1976 (tra l’altro, per la precarietà e la scorrettezza di questi ultimi e la correttamente ritenuta definitività od inoppugnabilità dei primi) e sulla ritualità ed affidabilità degli accertamenti del consulente di ufficio, riguardo al quale si dà atto dell’ampio spazio concesso ai ricorrenti per sottoporgli argomentazioni e richieste, come pure della non imputabilità del mancato rinvenimento di documenti peraltro neppure decisivi.

21. Le conclusioni così raggiunte si attagliano anche ai motivi successivi per connotarne l’infondatezza: la gravata sentenza ha dato infatti pienamente atto del vano espletamento delle ricerche di ogni ulteriore documentazione e comunque dell’inaffidabilità perfino della ricostruzione di quella non rinvenuta secondo la prospettazione degli interessati, sottolineandosene pure la non decisività, ma ha pure ed idoneamente rilevato che le argomentazioni difensive degli attori erano state prese in considerazione, per essere però analiticamente disattese e senza che la carenza di quella non rinvenuta documentazione potesse influire negativamente sulla conclusione.

22. E le contestazioni alla mancata adeguata considerazione delle tesi del consulente tecnico impingono in considerazioni di merito, in quanto tali del tutto precluse nella presente sede di legittimità, mentre è infondata la doglianza di violazione di norme processuali o perfino del principio, costituzionale o sovranazionale, del giusto processo.

23. E’ infatti intuitivo che, esaminate come sono state nel merito le argomentazioni difensive comunque proposte o che la parte è stata messa ampiamente in grado di proporre nei diversi anni di sviluppo delle operazioni peritali, non può dirsi in violazione di quel principio l’esito infausto della valutazione del giudice – poichè la giustizia del processo non dipende certo dal fatto che si veda riconosciuta la propria ragione, ma dalla sola circostanza che questa sia correttamente presa in considerazione – nè la fissazione di termini conclusivi infine stringenti per la conclusione di una fase istruttoria dalla durata obiettivamente singolare.

24. Il ricorso, dichiaratane l’inammissibilità nella parte in cui è stato proposto dai ricorrenti indicati sopra ai punti 2 a 4, va così rigettato, con condanna dei ricorrenti, tra loro in solido (ivi compresi quelli tra i ricorrenti quanto ai quali si è qui rilevata l’inammissibilità del ricorso), per l’identità della posizione processuale e dell’interesse al giudizio alle spese del presente giudizio di legittimità.

25. Va infine dato atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per l’impugnazione da essa proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso proposto da H.M. e da V.E.W.K. nelle qualità rispettivamente addotte; rigetta il ricorso proposto dagli altri ricorrenti. Condanna tutti i ricorrenti, tra loro in solido, al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidate in Euro 7.800,00 (settemilaottocento/00) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli esborsi liquidati in Euro 200,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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