Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20867 del 30/09/2020

Cassazione civile sez. un., 30/09/2020, (ud. 22/09/2020, dep. 30/09/2020), n.20867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Primo Presidente f.f. –

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente di Sez. –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 35807/2018 proposto da:

AZIENDA SANITARIA LOCALE N. (OMISSIS) AVEZZANO – SULMONA – L’AQUILA,

in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE DELLE ACCADEMIE 47, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE NERIO CARUGNO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CASA DI CURA PRIVATA DI LORENZO S.P.A., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato PAOLO STELLA RICHTER, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO GIGLIOTTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1890/2018 della CORTE D’APPELLO dell’AQUILA,

depositata il 10/10/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/09/2020 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato GIORGIO GIGLIOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Casa di cura privata Di Lorenzo s.p.a. chiese ed ottenne nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Avezzano – Sulmona L’Aquila dal Tribunale di Avezzano decreto ingiuntivo del 24/11/2009 per l’importo di Euro 3.050.784,18 per sorta e interessi ex D.Lgs. n. 231 del 2002, a titolo di saldo di quanto dovuto per prestazioni sanitarie erogate nel corso del 2007 in base al contratto di convenzionamento con la controparte del 14/03/2005; e l’opposizione dell’ingiunta fu respinta, con condanna anche alle spese di lite, dal tribunale, che dapprima disattese l’eccezione di difetto di giurisdizione e, nel merito, ritenne ritualmente fornita la prova delle prestazioni e generiche le contestazioni.

2. L’appello dell’ASL, articolato su sei motivi, fu respinto dalla corte territoriale dell’Aquila, la quale:

– ribadita la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, disattese le eccezioni di nullità delle clausole contrattuali sul diritto del compenso per i ricoveri da trasferimenti da altre strutture e per quelli in via di urgenza, per non essere stata ritualmente dedotta la prima e per essere legittima la clausola quanto alla seconda, ma pure per la novità degli accertamenti in fatto sollecitati in appello quanto alla sussistenza o rilevanza del requisito dell’urgenza ed alla contraddittorietà tra le risultanze dei verbali ispettivi del 19/06/2008 e del 29/10/2009;

– respinse le doglianze dell’ingiunta basate sulla sopravvenienza delle sentenze del Consiglio di Stato sulle delibere di Giunta regionale per la determinazione del compenso: sia perchè tardivamente proposte, sia perchè in ogni caso non pertinenti per la diversità delle fattispecie, quelle riguardando i contenziosi con altre Case di cura private e sul presupposto di un vuoto regolamentare invece insussistente nella specie, mentre nei rapporti tra le odierne parti era intervenuta anzi sentenza TAR n. 980 del 2008, neppure impugnata;

– rilevò la carenza di valida impugnazione della ratio decidendi della prima sentenza di non contestazione dell’esecuzione effettiva delle prestazioni, anzichè – come invano prospettato dall’appellante in non consentita analogica applicazione della normativa sugli appalti di opere pubbliche;

– prima di respingere le doglianze sulla mancata compensazione delle spese di lite, applicò Cass. 20391 del 2016 sulla spettanza degli interessi di mora nella misura di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002.

3. Per la cassazione di detta sentenza di appello, pubblicata il 10/10/2018 col n. 1890 e indicata come notificata lo stesso giorno, ha proposto ricorso, articolato su cinque motivi e notificandolo con atto spedito a mezzo posta il 07/12/2018, l’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) Avezzano – Sulmona – L’Aquila; resiste con controricorso, poi illustrato da memoria, la Casa di cura privata Di Lorenzo spa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I. Il primo motivo di ricorso.

1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente ASL lamenta “Difetto di giurisdizione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1). Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c) e s.m.i.”. Si sostiene al riguardo che il contenzioso tra le parti era connesso all’esercizio del potere pubblicistico in materia di organizzazione del servizio sanitario ed alla validità di atti autoritativi di tipo organizzativo-contabile, in particolar modo involgendo il potere di tariffazione delle prestazioni erogate ed i limiti di spesa fissati, nonchè il contenuto del rapporto concessorio e le prestazioni rese nell’espletamento del servizio pubblico. Pertanto, la stessa pronuncia di Cass. Sez. U. 10149 del 2012, richiamata dalla CdA, avrebbe dovuto confermare tale conclusione, perchè riconosce devolute al giudice ordinario le sole controversie aventi contenuto strettamente patrimoniale, sicchè quando invece, come nella specie, si coinvolge la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sull’intera economia del rapporto concessorio, la giurisdizione è appunto del giudice amministrativo (invocando, sul punto, pure Cons. Stato 3638/13).

2. Il motivo va disatteso, alla stregua del consolidato approdo della giurisprudenza di legittimità per il quale spetta alla giurisdizione ordinaria la controversia avente ad oggetto le prestazioni a carico dell’amministrazione quali corrispettivi di prestazioni erogate nell’ambito di una concessione di pubblico servizio sanitario, anche ove si invochi la disapplicazione – e non l’annullamento – dei provvedimenti amministrativi che ne costituiscono i presupposti idonei a delimitarne l’oggetto, come i tetti di spesa (Cass. Sez. U. 20/09/2019, n. 23536), perfino quando di quelli sia invocata la caducazione in sede amministrativa a travolgimento delle clausole che prevedevano la non remunerabilità delle prestazioni eccedenti (Cass. Sez. U. ord. 16/10/2019, n. 26200).

3. Infatti (Cass. 02/11/2018, n. 28053), in tema di prestazioni sanitarie effettuate in regime di c.d. accreditamento provvisorio, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario, secondo il criterio di riparto fissato dalla sentenza della Corte Cost. n. 204 del 2004 ed ora dall’art. 133, comma 1, lett. c), cod. proc. amm., le controversie sul corrispettivo dovuto in applicazione della disciplina del rapporto concessorio determinata nell’accordo contrattuale stipulato, in condizioni di pariteticità, tra la ASL e la struttura privata concessionaria; peraltro, ove la ASL opponga alla domanda di pagamento (petitum formale immediato) l’esistenza di una propria deliberazione che, in attuazione di quella regionale a contenuto generale, determini in concreto il tetto di spesa e la creditrice replichi, negando la soggezione della propria pretesa creditoria a tali atti o sostenendone l’illegittimità, il petitum sostanziale della domanda non è automaticamente inciso da siffatte replicationes, le quali devono essere considerate irrilevanti ai fini della individuazione della giurisdizione, a meno che non si sostanzino in una richiesta di accertamento con efficacia di giudicato dell’illegittimità del provvedimento posto a fondamento dell’eccezione sollevata dalla ASL; in quest’ultimo caso, poichè il petitum sostanziale investe anche l’esercizio di un potere autoritativo, il giudice ordinario deve declinare la giurisdizione sulla domanda di annullamento della deliberazione, trattenendo la sola domanda di condanna alle indennità, canoni o corrispettivi, salvo poi sospendere il giudizio ex art. 295 c.p.c., in attesa della definizione del giudizio sul provvedimento rimesso alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

4. Risulta, in altri termini, nella giurisprudenza di queste Sezioni Unite ormai acquisito il principio (per tutte, v., da ultimo, Cass. Sez. U. n. 33691 del 2019) secondo cui, anche in tema di concessioni di servizi pubblici, le controversie relative alla fase esecutiva del rapporto sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario, al quale spetta di giudicare sugli adempimenti e inadempimenti (e sui relativi effetti) con indagine diretta alla determinazione dei diritti e degli obblighi dell’amministrazione e del concessionario, nonchè di valutare, in via incidentale, la legittimità degli atti amministrativi incidenti sulla determinazione delle somme dovute (Cass. Sez. U. n. 32728 del 2018).

5. Si è quindi superato l’orientamento, elaborato in un diverso contesto normativo, secondo cui la giurisdizione del giudice ordinario in tema di indennità, canoni ed altri corrispettivi non fosse piena ed anzi rimanesse del tutto residuale, ovvero limitata, in sostanza, ai casi in cui la pretesa patrimoniale fosse certa nell’an e predeterminata nel quantum.

6. La scelta del legislatore, risalente alla L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 2 e confermata nel codice del processo amministrativo, di riservare detta tipologia di controversie al giudice ordinario, si è rivelata costituzionalmente obbligata (si veda Corte Cost. n. 204 del 2004) e coerente con la progressiva attrazione delle concessioni nell’orbita dei contratti su impulso del diritto Europeo (cfr. Cass. n. 32728 del 2018, citata) e con l’evoluzione del sistema di riparto della giurisdizione, che ha visto valorizzare l’esercizio del potere amministrativo come condizione sufficiente ma anche necessaria e ineludibile per radicare la giurisdizione amministrativa (anche esclusiva), potere evidentemente non configurabile quando a venire in discussione sia il profilo paritario e meramente patrimoniale del rapporto concessorio, in presenza di una contrapposizione di situazioni giuridiche soggettive di obbligo/pretesa (Cass. Sez. U., n. 31029 del 2019; Cass. Sez. U. nn. 22769 e 26200 del 2019).

7. E, nel caso di specie, la domanda è fondata dal privato sul contratto del 23/03/2005 con la controparte ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8 quinquies, mentre la stessa ASL invoca la nullità di alcune di quelle clausole per contrasto con normative di vario rango o con provvedimenti amministrativi attuativi di queste ultime ed integrativi delle prime.

8. Pertanto, il rapporto concessorio non viene in considerazione in via immediata e diretta, ma quale contesto nel cui ambito sono azionate posizioni di diritto soggettivo, che trovano il loro fondamento nelle previsioni dell’accordo liberamente intercorso tra il privato stesso e la pubblica amministrazione.

9. E, poichè il petitum sostanziale investe unicamente la verifica dell’esatto adempimento di una obbligazione correlata ad una pretesa del privato riconducibile nell’alveo dei diritti soggettivi, senza coinvolgere il controllo di legittimità dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio, la controversia non può che rientrare, ai sensi del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 133, comma 1, lett. c), nella giurisdizione del giudice ordinario.

II. Il secondo motivo di ricorso.

10. Col secondo motivo la ricorrente lamenta: “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). In particolare, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 bis. Violazione e falsa applicazione degli artt. 1418,1419,1421 e 1339 c.c.. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 29, art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c.”.

11. In estrema sintesi, la ASL Avezzano – Sulmona – L’Aquila si duole del risultato della riconosciuta spettanza della controprestazione per l’erogazione di prestazioni in carenza di alcuni requisiti formali, tra cui la modulistica tassativamente prevista: la nullità della clausola contrattuale sul riconoscimento, a prescindere dalle condizioni formali così stabilite, delle prestazioni da ricoveri da trasferimento o da emergenze deriverebbe dal complesso normativo appena delineato, essendo analoghe precedenti disposizioni state riconosciute conformi alla Costituzione dalla Consulta con sentenze 1103/88 e 416/95; pertanto, non rilevava la proposizione della questione solo in appello e malamente si è invertito l’ordine logico con l’esame del merito della clausola, dovendo invece ritenersi non contestati i fatti come accertati nei verbali e, quanto alla negata affidabilità per contraddittorietà, soprattutto nel secondo di quelli quanto a rilevata carenza di urgenza.

12. Il motivo è inammissibile sotto tutti i profili, a cominciare dal primo: la qui gravata sentenza non pone a base della decisione la pure prospettata irritualità della formulazione dell’eccezione di nullità soltanto in appello, ma l’argomentata conclusione della concreta irrilevanza della clausola, che ne era oggetto, quanto alle prestazioni da trasferimenti, non essendo queste oggetto di controversia, come pure quella – implicante evidentemente la reiezione della doglianza di nullità della clausola – della legittimità del riconoscimento della remunerazione per prestazioni urgenti alla stregua dei principi generali fissati da Cass. Sez. U. nn. 15897 del 2006 e 6065 del 1993; e tale specifica ratio decidendi non è attinta da adeguata censura, con idonea confutazione delle ragioni svolte nelle pronunce di riferimento (soprattutto quando espressamente richiamate) o contestazione altrettanto idonea dell’irrilevanza delle prestazioni da trasferimenti.

13. Quanto agli altri profili, anche a voler prescindere dai dubbi di ammissibilità derivanti dall’omessa trascrizione, in ricorso, delle parti dei verbali indicati dalla corte territoriale come contraddittorie e quindi inattendibili, neppure è attinta da valida censura in questa sede l’ulteriore ratio decidendi di inammissibilità in appello della questione per la riscontrata necessità di espletare non consentiti nuovi accertamenti di fatto, dovuta proprio alla contestata carenza del requisito dell’urgenza per i pure numerosi ricoveri erogati: e tale mancata censura rende priva di interesse ogni altra contestazione, potendo tale non impugnata ragione del decidere da sola sorreggere la raggiunta conclusione.

III. Il terzo motivo di ricorso.

14. Col terzo motivo di ricorso la ASL Avezzano – Sulmona L’Aquila deduce “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8 sexies. Violazione dell’art. 111 Cost., comma 6”: in estrema sintesi dolendosi del computo dei compensi in violazione dei criteri fissati dalle delibere di Giunta regionale nn. 658/07 e 833/07, nonostante le sentenze del Consiglio di Stato nn. da 4141 a 4146 del 2011, riformando i precedenti annullamenti del TAR, avessero comportato la reviviscenza di quelle delibere regionali, sicchè in secondo grado sarebbe stato necessario prenderle a riferimento o parametro.

15. Anche a voler prescindere dalle complesse problematiche sull’estensione o meno del giudicato amministrativo inter alios e dai dubbi sulla sufficienza della mera allegazione di profili di contrarietà di clausole contrattuali a norme imperative ai fini di una valida formulazione dell’eccezione di nullità, del motivo va rilevata comunque l’inammissibilità, per altri e concorrenti ordini di ragioni.

16. In primo luogo, infatti, le sentenze del giudice amministrativo predicate come idonee a determinare la reviviscenza delle delibere regionali sulla cui base l’ASL invoca oggi un diverso – evidentemente minore – importo del corrispettivo non sono in ricorso riportate nelle loro parti fondamentali, in base alle quali riscontrare se ed in quale misura quel giudicato sussista e soprattutto possa estendersi appunto anche ai rapporti tra le parti oggi in causa.

17. In secondo luogo, la valutazione di non pertinenza segue ad un argomento in punto di rito che – a prescindere dalla sua obiettiva opinabilità – non è stato qui attinto da specifica valida censura, cioè l’inammissibilità della produzione in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c..

18. In terzo luogo, non è stato adeguatamente attinto da censura il dirimente argomento (ottava facciata della gravata sentenza, primo periodo) dell’annullamento delle delibere invocate a proprio favore dall’ASL, nn. 658 e 833 del 2007, ad opera della sentenza n. 980 del 2008 del TAR, intervenuta stavolta proprio tra le stesse medesime parti e per la quale allora il problema dell’estensione del giudicato amministrativo inter alios non si porrebbe per definizione, riscontrata dalla corte territoriale come non impugnata.

IV. Il quarto motivo di ricorso.

19. Col quarto motivo di ricorso, l’Azienda Sanitaria Locale n. (OMISSIS) di Avezzano – Sulmona – L’Aquila adduce “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c.”: e deduce che onerata delle allegazioni e prove dei fatti costitutivi fosse appunto l’appaltatrice e quindi la creditrice, con la conseguenza che sarebbe stato sufficiente allegare, a confutazione di quelli, anche solo in appello, le indicate irregolarità, tra cui quelle di centosessantuno ricoveri, mentre infine i verbali ispettivi non erano tardivi, a termini degli artt. 6 e 10 del contratto intercorso tra le parti.

20. Una tale complessa doglianza è inammissibile, perchè non risponde ai paradigmi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità.

21. Infatti, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio, fermo restando il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo stesso art. 115 (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è dedicato alla valutazione delle prove; Cass. Sez. U. 05/08/2016, n. 16598).

22. D’altra parte (tra le ultime: Cass. Sez. U. 27/12/2019, n. 34474, con richiami pure a Cass. 19/06/2014, n. 13960, ovvero a Cass. 20/12/2007, n. 26965), la violazione dell’art. 116 c.p.c., è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonchè, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia invece dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura era consentita ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo previgente ed ora solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. Sez. U. nn. 8053 e 8054 del 2014.

23. Il motivo è quindi inammissibile, perchè le allegazioni e le prove sono state in concreto valutate dai giudici del merito, che per di più correttamente – così escludendosi la fondatezza della doglianza di violazione dell’art. 2697 c.c. – hanno ricostruito quali fatti costitutivi della pretesa creditoria azionata le prestazioni sanitarie oggetto di causa, siccome effettivamente eseguite e mai contestate in quanto tali, ascrivendo a fatti impeditivi non dimostrati dall’onerata debitrice pubblica le irregolarità formali o i presupposti dell’urgenza.

24. Quanto alla dedotta non contestazione dei fatti posti a base del secondo verbale o delle altre irregolarità, costituisce ragione di inammissibilità della doglianza il fatto che non sia attinta da valida censura in questa sede la ratio decidendi della qui gravata sentenza sull’inammissibilità in appello di quelle deduzioni difensive in quanto implicanti nuovi accertamenti di fatto in quel grado di giudizio.

25. D’altra parte, difetta comunque in ricorso la prospettazione specifica di quando e come la relativa questione, che la corte territoriale rileva essere stata posta perfino dal primo giudice a fondamento della sua decisione, sia stata proposta al giudice di secondo grado: ciò che rende inammissibile, sotto tale profilo, la censura in esame.

26. Infatti, il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica, la quale implichi accertamenti di fatto, ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (per l’ipotesi di questione non esaminata dal giudice del merito: Cass. 02/04/2004, n. 6542; Cass. 10/05/2005, n. 9765; Cass. 12/07/2005, n. 14599; Cass. 11/01/2006, n. 230; Cass. 20/10/2006, n. 22540; Cass. 27/05/2010, n. 12992; Cass. 25/05/2011, n. 11471; Cass. 11/05/2012, n. 7295; Cass. 05/06/2012, n. 8992; Cass. 22/01/2013, n. 1435; Cass. Sez. U. 06/05/2016, n. 9138).

V. Il quinto motivo di ricorso.

27. Infine, col quinto motivo la ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 5”: ed argomenta negando sia trattarsi di controprestazione di natura contrattuale, anzichè di obbligo di natura pubblicistica, sia, comunque, sia potersi imputare al debitore il ritardo nel pagamento, attesa l’oggettiva incertezza del presunto credito.

28. Il motivo è inammissibile nella parte in cui non contesta adeguatamente la ratio decidendi consistente nel richiamo a Cass. 20391 del 2016 e, quindi, alle articolate ragioni esposte in quella sede, idoneamente così poste a base della decisione, di conseguenza omettendo la ricorrente di farsene carico: il merito della relativa questione è lasciato, pertanto, impregiudicato, non essendone queste Sezioni Unite state ritualmente investite.

29. Inoltre, la doglianza è manifestamente infondata nella parte in cui invoca quale causa non imputabile la contestazione o l’incertezza sull’esatto ammontare del credito, poichè la prima deve di norma consistere in un fatto esterno alla sfera di controllo della parte o del suo difensore, da allegarsi e spiegarsi specificamente nella sua efficienza causale, tanto da non potersi risolvere non solo in una mancanza di diligenza, ma neppure in una deliberata determinazione dell’obbligato, sia pure giustificata con considerazioni in diritto, rivelatesi poi, per quanto fin qui argomentato, non condivisibili.

VI. Conclusioni.

30. Il ricorso, infondato il primo motivo e inammissibili gli altri, va allora rigettato, con condanna della soccombente ricorrente al pagamento delle spese anche del presente giudizio di legittimità, in relazione all’ingente valore della controversia.

31. Va infine dato atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti processuali (a tanto limitandosi la declaratoria di questa Corte: Cass. Sez. U. 20/02/2020, n. 4315) per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per l’impugnazione da essa proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidate in Euro 14.000,00 (quattordicimila/00) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli esborsi liquidati in Euro 200,00.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2020

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