Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20866 del 02/08/2019

Cassazione civile sez. II, 02/08/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 02/08/2019), n.20866

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8794-2015 proposto da:

T.P., T.G., T.F., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIA RAFFAELE CAVERNI, 6, presso lo studio dell’avvocato

MICHELE DI CARLO, rappresentati e difesi dall’avvocato SEBASTIANO DE

FEUDIS;

– ricorrenti –

contro

T.B., N.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA CASSIODORO 9, presso lo studio dell’avvocato MARIO NUZZO, che li

rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 882/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 12/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/03/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Brindisi, sezione distaccata di Fasano, accoglieva la domanda proposta da G., F. e T.P. nei confronti di N.M. e T.B. e dichiarava abusiva la realizzazione da parte loro di alcune opere sullo stabile sito in (OMISSIS), condannava i convenuti al ripristino dello status quo ante in ordine alla scala esterna di accesso al primo piano, condannava i convenuti al ripristino della veduta preesistente al piano terra e alla rimozione della serramenta posta sulla veranda esistente al primo piano, e alla chiusura delle luci e vedute realizzate al secondo piano e li condannava al ripristino del preesistente varco di accesso al lastrico solare e della preesistente veduta nel vano scale. Infine, accoglieva la domanda riconvenzionale spiegata dai convenuti dichiarando che tutti manufatti costruiti sul fondo identificato in catasto al foglio (OMISSIS), inclusa la scala esterna erano di loro proprietà.

2. Avverso la suddetta sentenza proponevano appello N.M. e T.B..

3. La Corte d’Appello accoglieva il gravame, riformava la sentenza di primo grado e rigettava le domande proposte dai germani T..

In particolare, la Corte d’Appello di Lecce con riferimento alla scala esterna riteneva che la stessa fosse di proprietà esclusiva degli appellanti e destinata all’uso esclusivo della loro abitazione al primo piano, in quanto non vi era un’inscindibilità funzionale con la proprietà degli appellati. Infatti, alla confinante abitazione degli appellati poteva accedersi da una scala interna condominiale come accertato dal consulente tecnico. Pertanto, sulla scorta dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità circa l’assenza di un’inscindibilità funzionale tra i beni non era nata una comunione incidentale di uso o di godimento, sicchè in accoglimento dell’appello rigettava la domanda di accertamento della comunione incidentale sulla scala esterna di proprietà esclusiva dei coniugi appellanti, nonchè quella di ripristino dello status quo ante.

3.1 Con riferimento alle modifiche apportate alla scala esterna la Corte d’Appello rilevava l’erroneità del riferimento all’art. 1108 c.c. in quanto entrambe le parti avevano apportato modificazioni alle rispettive costruzioni, mediante l’apertura reciproca di luci e vedute. Pertanto, sia dalla genesi di detto cavedio che dall’uso che ne era stato fatto da entrambe le parti, era nata una comunione impropria e, dunque, doveva applicarsi necessariamente l’art. 1102 c.c. in conformità con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, sicchè l’unica indagine che poteva essere fatta era sul pregiudizio arrecato dall’apertura delle luci rispetto all’uso comune del cavedio.

La stessa motivazione sorreggeva il rigetto della domanda relativa alla finestra e alla porta che davano accesso al lastricato comune che insistevano sulla scala interna condominiale.

4. T.P., T.G., T.F. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi.

5. T.B. e N.M. hanno resistito con controricorso.

6. Con memorie depositate in prossimità dell’udienza entrambe le parti hanno insistito nelle rispettive richieste.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

I ricorrenti censurano la decisione della corte territoriale in relazione all’erronea valutazione della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado, con riferimento alla domanda di accertamento di una comunione impropria sulla scala esterna di proprietà dei controricorrenti. In particolare, i ricorrenti contestano che la Corte territoriale abbia omesso di richiamare la risposta data dal consulente tecnico d’ufficio al terzo ed ultimo quesito formulato, sicchè il giudice dell’appello pur manifestando di aver recepito l’intero elaborato peritale si sarebbe del tutto illogicamente discostato dallo stesso sul punto decisivo della controversia senza offrire motivazione alcuna.

1.2 Il motivo è inammissibile.

I ricorrenti ritengono che la Corte d’appello abbia erroneamente valutato la consulenza tecnica disposta nel giudizio di primo grado della quale riportano solo il terzo quesito oltre ad un brevissimo passo dell’elaborato, nel quale si afferma che la scala in oggetto serve gli appartamenti al primo piano, uno di proprietà dell’attore T.G. e uno dei convenuti N.M. e T.B..

Il motivo, dunque, difetta di specificità non essendo possibile ricostruire le effettive reali conclusioni del consulente tecnico sulla base dell’estrapolazione fatta dai ricorrenti. Infatti, ai fini dell’assolvimento dell’onere di specificità del ricorso ex art. 366 c.p.c. per consentire la valutazione in termini di decisività e di rilevanza dell’omesso esame di un fatto decisivo non è sufficiente riportare un singolo passaggio dell’elaborato peritale, atteso che, una mera disamina di un singolo passaggio, corredato dalle notazioni critiche del ricorrente, si risolve nella prospettazione di un sindacato di merito inammissibile in sede di legittimità.

In proposito si richiama il seguente principio di diritto cui il collegio intende dare continuità: “In tema di impugnazione per cassazione, ed in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso, la parte che alleghi la mancata valutazione delle consulenze tecniche d’ufficio espletate nei gradi di merito, ha l’onere di indicare compiutamente (e, se del caso, trascrivere nel ricorso) gli accertamenti e le risultanze peritali, al fine di consentire alla corte di valutare la congruità della motivazione della sentenza impugnata che si sia motivatamente dissociata dalle conclusioni peritali, dovendosi, in carenza di detta specificazione, dichiarare il ricorso inammissibile” (Sez. L, Sent. n. 3224 del 2014).

Inoltre, al di là della promiscuità del motivo che involge sia il vizio di violazione di legge che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le partì, deve evidenziarsi che i ricorrenti non indicano specificamente le norme che ritengono violate e richiedono una rivalutazione delle emergenze istruttorie inammissibile in sede di legittimità.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione di norme di diritto relazione all’art. 1108 e 1102 c.c. ed omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

I ricorrenti ritengono che la corte distrettuale abbia omesso di accertare la conformità o meno alla destinazione della cosa comune della modifica con la quale i controricorrenti avevano adibito ad esclusivo accesso alla loro proprietà la preesistente porta che un tempo era di uso comune, fungendo da porta di accesso al lastrico solare. In sostanza le modifiche apportate dei contro ricorrenti erano l’apertura di una porta in sostituzione di una precedente finestra nel vano scala e l’aver adibito a porta d’ingresso dell’appartamento sopraelevato al secondo piano, la preesistente porta di accesso al lastrico solare. Secondo i ricorrenti, l’omesso esame sull’innovazione con la quale era stata modificata la porta di accesso al lastrico solare in porta di accesso all’unità immobiliare avrebbe portato ad una diversa statuizione ai fini dell’esatta ricostruzione della fattispecie sotto il disposto normativo di cui all’art. 1102 c.c.

2.1 Il secondo motivo è infondato.

Anche con riferimento a questo secondo motivo, i ricorrenti formulano una censura che involge sia il vizio di violazione di legge che l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e che, in concreto, si risolve, da un lato, in una censura di omessa pronuncia peraltro su un motivo di appello dei controricorrenti che avevano chiesto il rigetto della domanda di ripristino dello status quo ante anche rispetto alla porta finestra di accesso al lastrico solare e, dall’altro, nella richiesta di una rivalutazione in fatto di quanto emerso nel corso dell’istruttoria.

In ogni caso la Corte d’Appello ha espressamente preso in considerazione il fatto che le modifiche erano state realizzate a seguito dell’edificazione, da parte dei convenuti, di un appartamento sul lastrico solare nella parte di esclusiva proprietà degli stessi, con la conseguenza che quella che originariamente era la porta comune di accesso alla rispettiva quota di lastricato, fungeva da porta d’ingresso della nuova abitazione. La prospettazione, pertanto, di un omesso esame di un fatto decisivo si rivela infondata così come la violazione dell’art. 1102 c.c..

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 3500 più 200 per esborsi;

ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2019

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