Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 20863 del 21/07/2021

Cassazione civile sez. I, 21/07/2021, (ud. 13/04/2021, dep. 21/07/2021), n.20863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13372/2017 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliata in Roma, Via Giorgio

Morpurgo n. 16, presso lo studio dell’avvocato Piancatelli Marco, che

la rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Prospero

Alpino n. 76, presso lo studio dell’avvocato Di Tosto Pietro, che lo

rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1230/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/2/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/04/2021 dal Cons. Dott. LAMORGESE ANTONIO PIETRO.

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott.ssa CERONI Francesca, la quale chiede, in

via principale, di trasmettere gli atti al Primo Presidente per

l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite e, in subordine, di

accogliere il ricorso per quanto di ragione.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

F.A. ha chiesto alla Corte d’appello di Roma di dichiarare efficace in Italia la sentenza del Tribunale Ecclesiastico, che aveva dichiarato la nullità del matrimonio concordatario contratto con S.P. il (OMISSIS), per incapacità di cui all’art. 1095 codice canonico.

Nel giudizio la S. ha eccepito il contrasto della sentenza canonica con l’ordine pubblico, in considerazione della convivenza ultratriennale tra i coniugi che precludeva alla sentenza di produrre effetti nella Repubblica italiana; la violazione del diritto di difesa nel giudizio ecclesiastico, per non avere potuto munirsi di un difensore a causa delle sue precarie condizioni economiche, tanto da avere redatto di suo pugno gli atti del giudizio.

La Corte, con sentenza del 23 febbraio 2017, ha accolto la domanda, rilevando che la sentenza ecclesiastica era passata in giudicato secondo il diritto canonico; che nel procedimento erano stati assicurati la corretta instaurazione del contraddittorio e l’esercizio del diritto di difesa delle parti; che non risultavano sentenze del giudice italiano contrastanti e che la sentenza canonica non conteneva disposizioni contrarie all’ordine pubblico, visto che l’eccezione (in senso stretto) di convivenza ultratriennale era stata proposta dalla S. tardivamente, nella memoria depositata all’udienza dell’11 giugno 2015, cioè oltre il termine di venti giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione, essendo così maturata la decadenza ex art. 167 c.p.c..

Avverso questa sentenza la S. ha proposto ricorso per cassazione; il F. ha resistito con controricorso. Le parti hanno presentato memorie.

Il PG ha chiesto la trasmissione degli atti alle Sezioni Unite e l’accoglimento del primo, terzo e quarto motivo del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 29 Cost., per avere ritenuto la convivenza ultratriennale tra i coniugi non rilevabile d’ufficio dal giudice o su eccezione del pubblico ministero, quale causa ostativa del riconoscimento della sentenza canonica per contrasto con l’ordine pubblico. Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1, non avendo la ricorrente offerto elementi per mutare il costante orientamento stabilizzatosi con la sentenza delle Sezioni Unite n. 16379 del 2014.

Con questo arresto, cui si deve dare continuità, la Corte ha stabilito che la convivenza triennale è oggetto di un’eccezione in senso stretto, non rilevabile d’ufficio, né opponibile dal coniuge per la prima volta nel giudizio di legittimità, essendo caratterizzata da una complessità fattuale strettamente connessa all’esercizio di diritti, adempimento di doveri e assunzione di responsabilità di natura personalissima, sicché nella ipotesi in cui “la domanda di delibazione sia proposta da uno soltanto dei coniugi, l’altro (coniuge) – che intenda opporsi alla domanda, eccependo il limite d’ordine pubblico costituito dalla “convivenza coniugale” con le evidenziate caratteristiche (…) – ha l’onere, a pena di decadenza, ai sensi dell’art. 167 c.p.c., commi 1 e 2 (di proporre la relativa eccezione)” (nel senso che l’eccezione di convivenza deve essere opposta, a pena di decadenza, solo con la comparsa di costituzione e risposta tempestivamente depositata, vd. ex plurimis Cass. n. 26188 del 2016, n. 2486 del 2017).

Gli argomenti svolti dal PG a sostegno della istanza di rimessione alle Sezioni Unite, ai fini di un ripensamento del principio inerente alla natura della eccezione di convivenza (in senso stretto o, come ritenuto nell’istanza, in senso lato con conseguente rilevabilità d’ufficio della convivenza ultratriennale da parte del giudice), sono stati già esaminati e disattesi in numerosi precedenti di questa Corte cui non resta che fare richiamo (cfr. Cass. n. 7923, 7924 e 7925 del 2020, n. 2486 del 2017).

Infondato è il secondo motivo che vanamente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., commi 2 e 3 e art. 11 Cost., comma 2 e art. 82 c.p.c., per non avere rilevato che il giudizio ecclesiastico si era svolto senza che la S. avesse avuto l’assistenza di un difensore. Ed infatti, la Corte territoriale ha spiegato che la parte era stata udita nel giudizio e quella di difendersi personalmente era stata una sua scelta, risultando eccentrica l’obiezione di non essere stata informata della possibilità di avvalersi del gratuito patrocinio.

Il terzo motivo denuncia omesso esame di fatto decisivo, per avere la Corte territoriale riconosciuto l’efficacia del provvedimento ecclesiastico di prima istanza del Vicariato di Roma n. 15743 del 27 maggio 2015, benché il procedimento si fosse concluso in appello con un decreto definitivo parzialmente diverso. Il motivo è inammissibile. Premesso che la sentenza impugnata ha dichiarato l’efficacia della sentenza del Tribunale Ecclesiastico di prima istanza n. 15743 del 27 maggio 2013, “ratificata con decreto in data 25.6.2014 e resa esecutiva con decreto del Tribunale della Signatura Apostolica del 10.11.2014”, la censura è poco comprensibile e astratta nella parte in cui lamenta la “difformità, in senso pure favorevole all’attore, fra la sentenza delibata e la sentenza ultima emessa dal Tribunale di Appello del Vicariato di Roma”, senza precisare i termini e la rilevanza della ipotizzata difformità, ai fini del giudizio di riconoscimento degli effetti della nullità nell’ordinamento civile.

Il quarto motivo – che denuncia, in modo poco comprensibile, la violazione degli artt. 70 e 71 c.p.c., per la mancata trasmissione degli atti e dei documenti al pubblico ministero – è infondato: nella sentenza impugnata si dà atto dell’intervento del P.G., mentre la questione delle modalità di tale intervento, mediante la concreta assunzione delle conclusioni e la partecipazione ai singoli atti istruttori, per i quali non si richiede un formale avviso, rientra nelle scelte discrezionali del medesimo pubblico ministero, al quale soltanto spetta di eccepire o meno l’eventuale inefficacia degli atti compiuti prima della sua chiamata in causa (vd. Cass. n. 12254 del 2020).

In conclusione, il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, liquidate in Euro 5200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021

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